Nella cornice spettacolare del Gugghenheim Museum, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella a New York in visita ufficiale, mercoledì sera ha incontrato una calorosissima ed emozionata comunità italiana locale ed è stato accolto da un altrettanto caloroso abbraccio del governatore dello Stato, Andrew Cuomo.
Il capo dello Stato italiano, che a sua volta è sembrato sinceramente colpito da così tanto affetto, ha ringraziato “la collettività italiana e italo-americana per il caloroso benvenuto che ha voluto rivolgermi in occasione della mia prima visita negli Stati Uniti”. Mattarella, in numerosi passaggi del suo intervento che forse è sembrato un po’ lungo solo per il fatto che si interrompeva ad ogni frase per essere tradotto in inglese (ottima la traduzione per fortuna!), ha ribadito come le relazioni tra Italia e USA siano strette e siano il prodotto di un articolato intreccio di relazioni politiche, economiche e culturali.
Il presidente Mattarella, che aveva accanto la figlia Laura, è stato introdotto, oltre che da un appassionato discorso del governatore Cuomo (“New York è lo stato che dei cinquanta dell’Unione ha il maggior numero di italoamericani e noi tutti siamo così orgogliosi di esserlo!”), anche dal Console Generale Natalia Quintavalle, che ha ricordato come il Guggenheim abbia spesso ospitato l’arte e la cultura italiane (di recente con la mostra dedicata ad Alberto Burri) e che con questo evento ha salutato la comunità dopo quattro anni a Park Avenue. L’enorme pubblico che ha partecipato alla serata organizzata dal Consolato, era composto dagli esponenti del mondo imprenditoriale, accademico, artistico e di tutti i numerosi mestieri e professioni con cui la comunità italiana e italoamericana dà il suo enorme contributo a rendere New York la città più importante del mondo. Mattarella ci ha tenuto all’inizio del suo discorso a elencare il contributo dell’associazionismo degli italoamericani, ringraziando quindi gli esponenti “della Conferenza dei presidenti delle maggiori organizzazioni italo-americane, la NIAF, la Fondazione dei cittadini di Cristoforo Colombo, l’Ordine dei Figli d’Italia in America, l’Associazione americana dei decorati dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana, l’Associazione nazionale delle donne italo-americane e la Camera di commercio italo-americana hanno dimostrato, e continuano a dimostrare, un particolare attaccamento al nostro Paese”.
“New York è un’antologia del mondo”, ha detto Mattarella sottolineando che “la città di New York ha rappresentato a lungo un porto di approdo per i connazionali alla ricerca di migliori condizioni di vita rispetto a quelle offerte dal nostro Paese alla fine dell’800 o all’indomani delle due Guerre Mondiali. L’America – ha aggiunto – ha aperto loro le porte, dimostrando come accoglienza ed integrazione rappresentino la spina dorsale di qualunque società che voglia definirsi autenticamente democratica, libera e forte”.
Mattarella, in un passaggio importante del suo discorso, ha tenuto a fare riferimento il Giorno del ricordo, ben sapendo che la città di New York accolse molti di quei dalmati e istriani che dovettero fuggire dagli orrori della guerra e poi delle persecuzioni comuniste: “Consentitemi oggi, Giorno del ricordo, di rivolgere un pensiero particolare agli emigrati istriani, fiumani e dalmati e alle loro famiglie che hanno trovato conforto in questo Paese sfuggendo agli orrori subiti durante la Seconda Guerra Mondiale e anche al termine del conflitto. Costretti ad abbandonare le loro case e le loro terre, sono arrivati qui, con la fiducia che questa straordinaria città, questa terra straordinaria, questo grande Paese, avrebbero offerto loro una nuova opportunità di plasmare liberamente il proprio destino. E così è avvenuto”.
Il presidente ha tenuto a ricordare il contributo dell’ingegno italiano a New York, e dopo aver citato anche il magnifico lavoro dell’architetto e senatore a vita della Repubblica, Renzo Piano, ha detto: “Vorrei, in particolare, ricordare un’opera che non è frutto del talento italiano ma che di un italiano porta il nome: Giovanni da Verrazano. Quel grande ponte, con le sue lunghissime e imponenti campate, unisce Staten Island a Brooklyn; la sua costruzione ha consentito a milioni di persone di ammirarne la maestosità. Da molti anni, a seguito dell’intuizione di due persone, di cui un italo-americano, migliaia di persone da ogni parte del mondo si danno appuntamento su quel ponte per una sfida sportiva, unica al mondo, la maratona di New York. Una gara divenuta simbolo della città, della sua energia, che è quella dell’intera America, del suo intramontabile spirito competitivo, della sua capacità di sfidare le avversità, emergendo sempre più forte e sempre più sicura”.
E poi Mattarella, ha continuato celebrando il rapporto che unisce gli italiani di New York e degli Stati Uniti con la madrepatria: “Come quel ponte che unisce, anziché isolare, che accoglie anziché respingere, voi rappresentate un “ponte” tra Stati Uniti e Italia. Siete cittadini degli Stati Uniti, leali al vostro Paese, non avete però mai smesso di guardare all’Italia, unendo con le vostre energie le due sponde dell’Atlantico. Se l’Italia è ammirata, se i suoi talenti sono apprezzati, se la nostra amicizia è così grande, questo si deve anche al vostro operato e al modo in cui avete vissuto la vostra identità, americana con origini italiane”.
Alla fine, dopo aver ricordato che l’articolato intreccio dell’importanza delle relazioni politiche, economiche, culturali e personali tra le due sponde dell’Oceano è stato sottolineato dalla calda accoglienza che il presidente Barack Obama gli aveva riservato solo due giorni prima a Washington, Mattarella a New York ha concluso il suo discorso con una frase di stampo “kennediano” ricevendo un grande applauso e l’abbraccio del governatore Cuomo: “Vorrei concludere con queste parole che spero siano adatte e adeguate per esprimervi l’affetto dell’Italia nei vostri confronti e la mia personale amicizia. Lo faccio con un’espressione breve e simbolica: today I am a New Yorker!”