Per chi segue da vicino gli avvenimenti della politica internazionale, le primarie americane sembrano una pausa rinfrescante. Dopo bambini siriani morti di fame o annegati, rifugiati abbandonati nel fango al confine tra Francia e Gran Bretagna, attentati terroristi a ritmi già doppi, in quest’inizio 2016, di quelli dell’anno scorso e altri orrori quotidiani, ecco apparire, sullo sfondo piatto e ben pettinato di Des Moines, Iowa, tutta la sfilza dei candidati alle presidenziali americane, a commentare educatamente il voto di lunedì al caucus dello Stato, prima pietra miliare del lungo percorso per arrivare alla Casa Bianca.
In realtà, la pausa è solo apparente, perché il percorso iniziato la scorsa estate, e di cui le primarie di lunedì scorso sono una tappa importante, è strettamente legato allo stillicidio di orrori quotidiani di cui sopra. Non solo per la banale ragione che, a novembre, sarà eletto il capo della prima potenza mondiale, che porta, volente o nolente, un fardello di responsabilità su tutto, o quasi, quel che accade nel mondo. Ma anche per quello che è emerso da questa campagna presidenziale fino ad oggi, fino ai caucus di lunedì scorso.
Negli Stati Uniti si annunciano i primi segni di un fenomeno che ormai ha attecchito in molti paesi, anche dei più importanti: lo scollamento tra politica e realtà. Prendiamo il caso francese: dal 2012, il dibattito politico in Francia orbita quasi esclusivamente attorno alle elezioni presidenziali del 2017, e gran parte delle parole, delle posture e delle decisioni della classe politica sono scelte in funzione della loro (presunta) efficacia elettorale. La questione dei rifugiati siriani è un altro esempio: se la Turchia è in grado di accoglierne 2.503.549, o la Giordania 633.466 (dati UNHCR al 31 dicembre 2015), è evidentemente impossibile che la Germania non possa accoglierne 184.054, la Svezia 102.870 o la Francia 9.431 (stime novembre 2015). Le reazioni di rigetto sono un fatto di psicologia sociale, che non ha niente a che vedere con il problema reale. Tant’è vero che le chiusure più rigide nei confronti dei rifugiati sono state adottate da paesi come la Repubblica Ceca, dove i profughi siriani sono 400, o la Polonia, dove sono 150, o la Lettonia, dove il loro numero è talmente insignificante da non apparire in alcuna statistica.
Nella vulgata della “società civile”, lo scollamento della politica dalla realtà è attribuito comunemente ai “politici” (leggasi: i mestieranti della politica). Il problema è l’opposto: è la cosiddetta “società civile” che, disorientata da una realtà sempre più sfuggente, si fa stregare da un problema e ne fa la sua ossessione, trasformandone, nel suo inconscio collettivo, le caratteristiche e le dimensioni. Le psicosi di massa creano così un mondo parallelo, inesistente nella realtà finché non si trasforma in voti, giornali venduti, abbonamenti ai siti internet. Quei lettoni che vedono profughi là dove non ce ne sono, o quegli americani che vorrebbero impedire ai musulmani di entrare nel loro paese o obbligare il Messico a costruire un muro alla frontiera, vivono in un mondo che non è quello reale, ma determinano comunque degli spostamenti elettorali di cui la classe politica deve, in un modo o in un altro, tener conto.
Donald Trump e Bernie Sanders sono due prodotti di questi mondi paralleli. Si tratta, beninteso, di mondi paralleli molto diversi, anzi opposti, ma che hanno in comune proprio l’assenza di contatto con il mondo reale.
I tifosi di Trump sono il prodotto estremo della paura della fine dell’egemonia americana. La fine di quell’egemonia è in marcia da un pezzo, perché il mondo è diventato multipolare, e gli Stati Uniti non sono più, e non possono più essere, potenti come una volta. Il loro peso è diminuito relativamente perché il peso degli altri è aumentato. La loro forza economica è diminuita relativamente perché la forza economica di molti suoi competitori è aumentata, e continua ad aumentare, più rapidamente. I tifosi di Trump precorrono il futuro, ma cercano le soluzioni nel passato, in un passato che non può tornare più, non foss’altro che perché, nel passato, quando l’America era grande, la Cina era piccola piccola.
I tifosi di Bernie Sanders, quanto a loro, vivono in un altro mondo parallelo: quello in cui la prima potenza mondiale è amata e rispettata da tutti per la sua bontà e il suo senso d’equità. Non possono creare problemi agli Stati Uniti semplicemente perché il loro beniamino non ha la più diafana possibilità di essere eletto. Possono solo creare problemi al Partito democratico, come già accadde quando i loro padri e nonni imposero George McGovern alle presidenziali del 1972, e il Partito democratico andò incontro alla più severa disfatta della sua storia.
Il caucus dello Iowa vale quel che vale. Sia per gli uni che per gli altri. Ma né Trump né Sanders, e molto probabilmente neppure Ted Cruz saranno eletti. Ma rappresentano le avvisaglie di un processo che sarà sempre più evidente negli Stati Uniti man mano che la loro forza relativa si ridurrà, e man mano che gli effetti della fine della loro egemonia si faranno sentire nella vita degli americani. Quando questo avverrà, i Trump usciranno dal mondo parallelo per entrare nel mondo reale.
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