È la passione a fare la differenza. Alla tavola rotonda organizzata dall’Italian Trade Agency di New York, intitolata “Al Dente Delights”, per promuovere i prodotti italiani in vista del Fancy Food 2025, gli speaker, benché con storie diverse alle spalle, sono accumunati dall’ardore per le proprie radici, anche quelle acquisite.
Per trattare di pasta, salse e conserve, la direttrice dell’ITA Erica Di Giovancarlo ha invitato il CEO di Pomì Cristiano Villani, il CEO di Pastificio Di Martino Giuseppe Di Martino e il fondatore e CEO di Appetito Magazine Richard Martin. A moderare l’evento Andrew Cotto, direttore editoriale della rivista americana dedicata unicamente alla cucina italiana.


“Dopo il vino e l’olio – ha introdotto la serata Di Giovancarlo – era obbligatorio parlare di pasta e sughi. Sono molto orgogliosa di dire che il 2024 ha chiuso con grandi numeri e spero che anche il 2025 si concluda confermando questi traguardi, considerando che il settore agroalimentare continua a crescere”.
“Abbiamo così tanti tipi di pasta perché appartiene alla nostra tradizione – ha commentato Di Martino. – Mangiando tutti i giorni la stessa cosa siamo spronati a invertarne di nuove”. è la terza generazione che si occupa delle cinquanta tipologie di pasta che ogni giorno vengono prodotte nel pastificio della sua famiglia a Gragnano. Il piccolo comune aveva un destino già scritto: come ha spiegato il CEO dell’azienda, “si trova sulle pendici occidentali del Vesuvio ed è attraversato dal fiume Vernotico, che ha le acque povere di calcio. L’unico vento che subisce è quello che viene dal golfo di Napoli ed è abbastanza per non essere troppo freddo e asciugare lentamente la pasta dopo essere stata battuta”.

La sua storia familiare si intreccia a quella della città e così come quella del resto dei residenti: dal momento in cui il semolino si mischia all’acqua – rigorosamente fredda – a quando passa sotto ai macchinari in bronzo per essere macinato e ottenere la forma della pasta, fino all’asciugatura. L’ultimo traguardo è stato l’apertura del ristorante Devozione al Chelsea Market di Manhattan.
“Volevamo che fosse un’arena – ha raccontato Di Martino – dove l’ospite potesse imparare a destreggiarsi fra i 36 tipi di pasta che offriamo ogni giorno”.
Diventa fondamentale educare gli americani alla cultura della pasta, del sugo, degli abbinamenti, partendo dalla semplicità degli ingredienti e non tanto dalle ricette. “Una pasta di qualità ha bisogno di poco sugo”, ha concluso Di Martino. E d’accordo si è trovato Villani: “Indichiamo sempre le dosi necessarie per realizzare un piatto equilibrato”.
Pomì produce salse di pomodoro dagli anni Ottanta. “Siamo partiti dalle ricette caserecce – ha spiegato Villani – che rispettavano i raccolti durante l’estate. Quindi cuociamo il pomodoro, lo peliamo e lo mettiamo nella latta o nel vetro se la destinazione è l’Italia o nei cartoni se è l’America”.

Villani ha raccontato che spesso “le persone ignorano che in Italia ci sono circa 300 varietà di pomodori certificate e il 50% di quello che è sul commercio proviene dal Nord”, dove si è sviluppata la produzione industriale. È molto diversa da quella casereccia. “Al Sud, infatti, si prediligono i pomodori pelati e lunghi. Mentre noi utilizziamo quelli tondi”, che si distinguono anche da quelli degli altri Paesi. “Per esempio, il nostro è molto controllato. Quello cinese è ricco di fibre, quello statunitense è un’acidità diversa o quello portoghese è molto dolce”.
Martin, nato e cresciuto nell’area di New York, ha confessato come si è avvicinato alla cultura italiana. “Vivevo a Brooklyn con un amico del college che nel fine settimana faceva queste grandi cene con la propria famiglia e altri ospiti. Ho capito che facevano parte di slow food e mi sono appassionato”. Per anni ha lavorato dietro alle quinte di spettacoli televisivi come autore, fino a quando non ha sentito il bisogno di realizzare una rivista dedicata solo alla carne, ma in chiave pop. Il prodotto finale è una rivista con una coscia di prosciutto molto estetica e d’impatto.
La tavola rotonda si è conclusa con un menù realizzato dallo chef Fabrizio Facchini per mostrare la versatilità della pasta, dagli antipasti (spaghetti al pomodoro, frittata di spaghetti e scamorza e insalata di fregola sarda), al primo (gnocchi al tartufo, paccheri con pesto di pistacchio di Bronte, zichi lisci al ragù, trofie al pesto), al dolce (pastina con latte, vaniglia e mousse alla fragola e pacchero fritto ripieno di ricotta e pistacchi).