Vedere in azione lo chef Philip Guardione è magnetico. A dividerlo dal resto della cucina c’è solo un bancone su cui arrivano i piatti pronti da servire. Ma da Piccola Cucina i dettagli sono fondamentali e lo chef controlla che tutto venga eseguito alla perfezione. Gli ultimi ritocchi ed eccolo pronto per essere servito al tavolo.
La sala di Piccola Cucina “Casa”, al 141 di Nevins Street a Brooklyn, è gremita. Con il bel tempo sono stati aggiunti quattro tavolini di fuori. Pieni anche quelli. Il quarto locale di New York ha aperto solo da qualche giorno ed è subito sold out. I residenti del quartiere non sono abituati a un locale come questo: il design interno italiano e familiare; il bancone del bar e quello per tirare la pasta a mano – su cui si può anche mangiare –; la cucina a vista, come la parete di mattoni faccia; le tazzine del caffè appese a mo’ di lampadari; i manifesti dei prodotti italiani dall’aria vintage; l’olio extravergine d’oliva già pronto sui tavoli accompagnato dalle fette di pane abbrustolite appena un cliente si siede. E poi ancora: su uno scaffale sono esposte tutte le bottiglie della cantina, dal Chianti al Barolo, dal Sangiovese all’Etna Rosso, aria di casa. Di sottofondo seguono una dopo l’altra canzoni italiane di diverse annate: Mina, Battisti, ma anche motivi più estivi come quelli di Rocco Hunt.



Come l’Italia insegna, si comincia con un aperitivo: spritz – quello vero, che a New York è facile trovare imitazioni poco affidabili – e arancini. All’interno del timballo di riso fritto, la carne del ragù si fonde con la mozzarella in una salsa pomodorosa saporita. Poi arrivano al tavolo anche gli involtini di pesce spada, ripieni di mozzarella di bufala e appoggiati su una salsa di basilico; la parmigiana di melanzane, che come ricorda chef Guardione “è della cucina della nonna, ma nella versione light e con tecnica Michelin”; i calamari ripieni di cacciucco livornese e crostini; i fiori di carciofo in un’insalata con avocado e riduzione di aceto balsamico. I camerieri continuano a servire anche il pane abbrustolito: sanno che è necessaria la scarpetta.
Via i bicchieri dello spritz, ecco i calici di vino, bianco o rosso a scelta, per accompagnare le portate principali. Fra le varie possibilità, c’è chi opta per i bucatini cacio e pepe, conditi direttamente dentro alla forma di formaggio; chi preferisce gli agnolotti di ossobuco nella sua salsa con fonduta di pecorino, timo e limone – fra i pochi che li servono a New York –, oppure i maccheroni alla norma – consigliati dallo chef. Non tutti riescono ad accettare centottanta grammi di pasta e quindi si può scegliere anche un branzino con verdure grigliate.




I piatti di chef Guardione riflettono il suo animo: siciliano e adrenalinico. “È il quarto servizio di oggi: sono venuto a Brooklyn stamattina, poi ero ad Uptown all’ora di pranzo e sono passato anche a Soho subito dopo. Ma per cena voglio essere qui in questi giorni di apertura al pubblico”. I suoi ristoranti sono come figli: vengono seguito durante l’incubazione – l’idea di aprire un nuovo locale, scegliere la location, disegnare un progetto, pensare al menù da proporre –, fino all’inaugurazione e oltre, per conquistare il cuore – o meglio, lo stomaco – del cliente.
Lo spettacolo termina con il dolce: cannoli e tiramisù, direttamente composto al tavolo. Si versa il caffè in una tazza, poi si immerge il savoiardo. Intanto si mischia la crema di mascarpone che viene servita in un’altra tazzina. Si aggiungono i biscotti e il cacao fino all’orlo. Prima che cali il sipario, i camerieri portano al tavolo il limoncello. Tutto ciò che avanza – sicuri? – entra nelle doggy bag per continuare a respirare la Sicilia anche a casa.

