“Vivo a Brooklyn a causa di Paul Auster, e specialmente perché ho letto Follie di Brooklyn quando vivevo in Australia. Fu una spinta subconscia,” scrive Nikki Shaver nei commenti in bacheca durante una presentazione via zoom di “Baumgartner”, l’ultimo libro del suo scrittore preferito. Nikki deve essersi iscritta a quella presentazione dopo aver notato – come me – l’annuncio sulla lavagna della libreria indipendente “Community Bookstore”, nel nostro quartiere di Park Slope, Brooklyn: “Paul Auster presenta Baumgartner, in conversazione con Rachel DeWoskin”.
Auster abita in un brownstone a due isolati dalla scuola di mia figlia. Non mi ha stupito scoprire che la presentazione era online. Auster ha il cancro, come il protagonista di Follie di Brooklyn che cercava “un posto tranquillo in cui morire”. Le cure lo affaticano molto, così alla fine non è stato in grado di collegarsi nemmeno in remoto per parlare di quello che – ha spiegato al Guardian – “potrebbe essere l’ultimo libro che scrivo”.
Allora è stato uno dei suoi amici, Mitchell Kaplan, produttore cinematografico, sceneggiatore e proprietario di una libreria indipendente a Miami, a collegarsi dalla Florida per conversare con la scrittrice Rachel DeWoskin, da Chicago. Che strano osservarli dal mio appartamento di Brooklyn, sullo schermo del computer, mentre da lontano parlavano di Paul e lui era così vicino.
Più volte hanno detto di sperare che Paul e sua moglie, la scrittrice Siri Hustvedt, come pure la figlia Sophie e il genero Spencer Ostrander, fotografo (la copertina di Baumgartner è sua) che ha lo studio a Brooklyn e accompagna il suocero per i trattamenti in ospedale a Manhattan, stessero guardando quella presentazione, specialmente quando persone come Nikki lasciavano affettuosi messaggi in bacheca.
Sono giorni di ricchezza e insieme di perdita per Auster: due nascite e la sua stessa vita appesa a un filo. La prima nascita è quella di Baumgartner, che ha visto la luce lo scorso 7 novembre. La seconda è quella del nipotino Miles, figlio di Sophie e Spencer, nato all’1:05 di Capodanno.
Sono stata a casa di Paul e Siri la scorsa estate. Con Siri abbiamo parlato del suo libro appena uscito in Italia, “Madri, padri e altri”, ma anche della malattia di Paul: lei aveva deciso di darne notizia su Instagram a marzo, su un profilo che Sophie l’aiuta a gestire, perché «non si tratta di minuscoli dettagli di ciò che Paul sta vivendo e io con lui, ma di qualcosa che tante persone vivono ed è importante non far finta che nulla stia accadendo». Mentre parlavamo, Paul è entrato in casa e ha raccontato di aver perso gli occhiali mentre era fuori dal medico, ma “la donna più bella del mondo, o così mi è parsa in quel momento” li ha trovati e glieli ha restituiti. Siri è scoppiata a ridere.
Ho ripensato a quella risata quando Rachel e Mitchell ricordavano un passaggio di Baumgartner, nel quale questo vedovo settantunenne che fatica a vivere dopo la scomparsa della moglie amata per 40 anni fa ridere qualcuno e “quella piccola risata è la conquista più grande della sua giornata”. Siri ha vissuto «42 anni di scrittura» con Auster: tra lei e suo marito esiste uno “strano gioco di specchi”, come mi ha spiegato lei stessa. Se un amico, per esempio, racconta una storia, in ciascuno di loro si produce «un’associazione immediata e identica», frutto del tempo trascorso insieme, ma anche del continuo dialogo intellettuale. Baumgartner è una storia d’amore, un legame fatto di condivisione di pensieri e scrittura, così profondo che quando viene a mancare è come se un arto venisse strappato via. Sono giorni di ricchezza e di perdita per questa famiglia di Brooklyn.