Mario Fratti ci ha lasciati all’alba di sabato soltanto quando il suo sorriso e il suo sguardo vivaci si sono spenti, come se fosse caduto l’ultimo sipario.
Ha lasciato la scena nel suo stile aquilano passionale, orgoglioso e dolce insieme, come se tutti i personaggi ai quali ha dato vita in più di 100 lavori tradotti e interpretati in tutto il mondo lo stessero portando in processione verso un paradiso che esiste anche per gli atei.
Ma il grande dono di Fratti accademico, critico e autore era quello di essere rimasto sempre ”Mario”. Non importa se già famosissimo dagli anni ’80 per aver scritto Nine – il musical che fece per anni la fortuna di Broadway tratto da 8 1/2 di Federico Fellini e che venne replicato più di duemila volte fino all’ultimo rifacimento di qualche anno fa interpretato da Antonio Banderas.
Fratti era rimasto semplice, modesto, sempre entusiasta, e con gli occhi da furetto che gli brillavano quando andavano in scena i suoi lavori , anche scritti di getto in pochi giorni , o quelli di altri giovani che seguivano le sue orme anche nella regia, come la figlia Valentina, che gli hs tenuto la mano fino all’ultimo battito.
Per La Voce di New York, Mario Fratti è stato il primo critico teatrale e lo è rimasto fino a quando ha avuto la forza di assistere agli spettacoli. Ma prima ancora per decenni su America Oggi ha tenuto una rubrica teatrale imperdibile. Attori e registi lo adoravano. Anche se era seduto su una poltroncina tra il pubblico, in realtà si è sempre sentito dall’altra parte della barricata. Sul palco. La sua generosità nella critica e nei consigli era proverbiale. “Se devo scriverne male”, mi diceva spesso, “allora non ne parlo”.
Per anni siamo andati insieme tutte le sere, anche di domenica, a vedere qualsiasi cosa venisse recitata. Avevamo lo stesso contagio da palcoscenico. Non esagero nel dire che è l’uomo di teatro che ha visto più spettacoli al mondo. Migliaia e migliaia. Belli e brutti. Questo poteva succedere solo a New York e ad un critico tra i meno prevenuti e più colti senza mai darlo a vedere.
Nelle lunghe serate insieme, per non perdere nulla, a volte gli spettacoli erano anche due e, se a metà della seconda pièce gli dicevo “Mario abbiamo capito, adesso possiamo forse andare…”, toccandomi leggermente il braccio, sussurrava: ”Magari faranno meglio la prossima volta, ma dobbiamo restare fino alla fine…Ci mettono tanto impegno e riuscire sempre non è facile…E poi ci può essere il colpo di teatro in agguato…”.
Non sempre ha avuto ragione. Ma la sua lezione di vita non l’ho mai dimenticata.
Per oltre 60 anni vissuti nel centro di Manhattan poteva andare a piedi in tutti i teatri della città. Ma se Broadway gli aveva dato la fama, la sua mai negata passione era per l’Off Off Off Broadway – per il teatro sperimentale, per il teatro di parola, per il teatro dei giovani, per le centinaia di allievi che salendo sul palco aspettavano il suo giudizio preciso e garbato, di un saggio professore attento e curioso. Ma che non bocciava mai.