Sia che acquistino velocemente da un venditore ambulante, sia che decidano di spendere qualche soldo in più in cambio della durevolezza, i newyorkesi sanno che il loro ombrello è destinato alla spazzatura. Non è durevole, resistente. Oggetto antichissimo, fino al Settecento in uso solo fra i nobili e le classi abbienti, l’ombrello riparava dal sole prima di divenire uno schermo alla pioggia. Nel 1969 l’americano Brad Philips brevettò il modello automatico pieghevole, il più usato dei nostri tempi. Ora a New York con l’aumento delle temperature e per colpa dei rincari degli affitti, è difficile trovare un negozio di ombrelli, men che meno uno dove farli riparare.
“È un arnese sorprendentemente complicato: contiene più di 150 parti. E ognuna di esse può rompersi. Bisogna brevettare sempre tecniche innovative”, spiega il proprietario di GostBuster, Steve Asman, l’ultimo specialista di ombrelli rimasto in città. Nel suo magazzino alla fine di una strada verdeggiante situata all’uscita di Sunrise Highway, ad Holbrook, Long Island, con una manciata di operai, dal 1995, produce parapioggia di successo. Ci ha raccontato come si resiste alle intemperie del tempo.
Signor Asman, quando nasce la sua passione per questo mestiere?
“Non è stato il mio primo lavoro. All’inizio ero impegnato nell’azienda di famiglia che costruiva case monofamiliari e gestiva proprietà a Brookhaven, ma la recessione dei primi anni ’90 ha spinto mio padre a esplorare alternative e tutto è nato per caso. Un uomo che progettava ombrelli ci ha preso in simpatia e invitato a unirci alla sua nascente azienda. Ci ha convinto dell’importanza di questo oggetto senza tempo e io mi sono appassionato al punto da coinvolgere nel team un ingegnere chimico e un meccanico per creare un telaio nuovo capace di resistere ai venti più forti di Manhattan”.
E ci è riuscito: vanta il primato di essere l’unico ombrellaio tradizionale a cui rivolgersi in tutta la città.
“Agli inizi quando le previsioni meteo davano maltempo andavo sul luogo delle riprese dei notiziari locali e distribuivo ombrelli ai giornalisti e produttori. Lo stesso ho fatto con l’ex presidente Donald Trump: ho notato che in una foto aveva in mano un ombrello difettoso, ho spedito un pacco dei miei alla Casa Bianca, con la nota: “I nostri ombrelli non si rompono!”, e da allora non hanno più smesso di acquistarli. Molti clienti affezionati provengono dai tornei di golf professionale (Bruce Crampton, Raymond Floyd e Arnold Palmer) e per loro – quando piove – è indispensabile per continuare a giocare senza problemi. E così ho anche vinto il premio International Network o golf per i prodotto dell’anno. Nonostante ciò il settore è in un momento difficile. Le riparazioni sono proibitive per gli alti costi della manodopera e a malincuore dico che conviene acquistare un prodotto nuovo e di qualità. L’ombrello non è – come spesso si è portati a pensare – solo un bastone con dei raggi e un pezzo di stoffa sopra”.
Perché è così difficile progettare un ombrello che non si rompa o capovolga?
“Non è difficile, il segreto sta tutto nel capire cosa provoca il ribaltamento e cosa lo fa cadere in pezzi alla prima folata di pioggia. Affinché non si capovolga il materiale del telaio deve essere di acciaio temprato (la flessibilità non è amica dei venti) ed è importante verificare il modo in cui le corde d’urto elastiche rilasciano la pressione, ma per tutte le parti (le cuciture del tessuto, nervature) occorrono verifiche intransigenti e devono essere inattaccabili”.
Come testa gli ombrelli prima di metterli sul mercato e quante volte un buon ombrello deve aprirsi e chiudersi senza rompersi?
“All’incirca 1500 volte. I prodotti li sottopongo al rigoroso test della galleria del vento: tubi giganteschi ventilati solitamente utilizzati dai laboratori scientifici universitari per studiare dal volo degli uccelli all’aerodinamica. Anche se il più delle volte ruoto l’ombrello aperto rivolto verso grandi ventilatori (ne abbiamo tre) che sputano un vento fortissimo. Non voglio sembrarle presuntuoso, ma hanno sempre superato la prova. In origine, alcuni modelli li misuravo legati a una macchina, e guidavo fino a quando i tettucci non si capovolgevano, per testare il vento che sopportavano. Occorrono molti tentativi ed errori per ottenere il risultato giusto, l’obiettivo è che resistano ai venti di burrasca”.
Quindi esistono ombrelli indistruttibili.
“Certo che esistono! Se poi parliamo degli ombrelli a bastone da golf per tradizione sono più resistenti con una tecnologia- grandi cupole di circa 60 pollici di diametro – che si adatta ai modelli classici. Possono contrastare venti fino a 55 miglia orarie senza capovolgersi, e grazie a tettoie ventilate, l’una appoggiata sull’altra, creano una fessura attraverso la quale viene rilasciata la pressione del vento, che altrimenti causerebbe il capovolgimento dell’ombrello”.
Una delle caratteristiche più irritanti degli ombrelli è la loro propensione a scomparire. Al Grand Central Terminal di New York e sulla linea Metro-North (molto frequentata dai pendolari) vengono denunciati 794 smarrimenti di ombrelli all’anno. Ha mai pensato ad un rimedio?
“L’ombrello è utile solo in caso di pioggia e proprio per questo si lega al lato impulsivo e precipitoso dell’essere umano che una volta spiovuto non ci pensa più. Il rimedio esiste: incisione sul manico del nome e numero di telefono del proprietario. Avevo nel cassetto l’idea di inserire delle targhette con GPS, ma con la pandemia è passata in secondo piano”.
È un settore in pericolo? Le vendite sono diminuite a causa del cambiamento climatico?
“È diventato un settore imprevedibile che dipende molto dai capricci di un clima in continua evoluzione. Tre volte alla settimana, esamino le mappe del National Weather Service, controllo il Weather Channel e gli avvisi di Google per le previsioni di diverse regioni. Di solito inizio a monitorare la California, il Golfo del Messico e i Caraibi per vedere dove si muove il flusso d’aria. Quando un sistema di tempeste sembra coalizzarsi, invio un’e-mail ai clienti o inserisco un annuncio sui siti di social media, con un avvertimento minaccioso ma utile: “La pioggia sta arrivando. Siate pronti”. Sono sollecitazioni fruttuose e i newyorkesi le apprezzano. ma se un tempo spedivo 400.000 ombrelli l’anno in tutto il mondo, ora le vendite sono decisamente rallentate. Rifornisco di ombrelli le stazioni ferroviarie di Metro-North, ma con il calo dei viaggiatori pendolari nei giorni feriali, a causa della pandemia, i metodi di consumo sono cambiati. Nell’ovest del paese invece la siccità ha ridotto i livelli d’acqua nei laghi e nei fiumi rendendo le piogge meno frequenti, ma rendendo quelle regioni soggette a temporali improvvisi e molto intensi. Monitorare la pioggia è il centro della mia attività”.