Di cucina italiana il mondo sembra non essere mai sazio.
La settimana della cucina italiana lo dimostra e quale migliore città di New York per esplorare tutte le sfaccettatura di una cultura, quella gastronomica, dalle infinite combinazioni?
L’Italian Trade Commission, guidata da Antonino Laspina, quest’anno ha voluto ampliare gli orizzonti. Ha deciso di uscire da Manhattan, scegliendo alcuni locali italiani in quartieri distanti dalle grandi vie del centro.
Il primo appuntamento è ad Astoria, al ristorante “Sotto la Luna” sulla 31ª strada. Interni moderni, stanze ampie e personale quasi tutto italiano: il locale è gestito da ragazzi giovani che lavorano dietro il bancone di una grande cucina a vista.

“Ci sono tre aspetti che per me distinguono un vero ristorante italiano da uno che gli somiglia soltanto”, spiega Laspina. Ingredienti, tecniche culinarie e location. “Adesso in Italia i ristoranti sono fatti così”, dice illustrando gli spazi.
Qualche ora prima dell’inizio della cena, nelle sede dell’ICE aveva introdotto un seminario rimarcando il valore e la storia della gastronomia italiana. Una parte di Paese così forte da attrarre da sola migliaia di turisti. “Gli stranieri ormai non vogliono più vedere soltanto i monumenti, ma visitano le nostre regione perché sono consapevoli della varietà di piatti che possono incontrare”. Cercano i sapori veri, quelli che non possono trovare altrove.
Da “Sotto la Luna” il menù è a tinte verdi, bianche e rosse. Si inizia con un assortimento di antipasti. Carpaccio di filetto di manzo con rucola, radicchio, pinoli e parmigiano, poi un’insalata di rucola con pomodori secchi, carciofi e parmigiano, un guazzetto di cozze, vongole e gamberi e una pizzetta fritta con mortadella e pistacchio.
Sui primi la tradizione viene rivisitata. L’occhio cade sui “Ravioli di carbonara al contrario e tartufo nero”: la miccia per introdurre un discorso che va a finire proprio sull’importanza della conoscenza della storia culinaria italiana.

Sull’origine della carbonara circolano infatti teorie disparate. La più famosa è che siano stati gli americani, durante la seconda guerra mondiale, a portarne gli ingredienti. Qualcuno pensa addirittura di poter dare alla ricetta un certificato di nascita, datandola 1952.
“Leggende metropolitane”, ricorda Laspina, che insiste sul nome “carbonara” per far notare come spesso, una pasta che dovrebbe essere spruzzata da abbondante pepe nero, venga invece servita senza. “Come si fa a chiamare carbonara se del ‘carbone’ non c’è traccia?”.
Nel frattempo, in tavola, i piatti si susseguono. Tagliolini al nero di seppia con vongole e ricci di mare, pappardelle al ragù d’agnello e tonnarelli cacio e pepe. Per concludere, tiramisù e tortino caprese con gelato.
Un servizio 100% Made in Italy nel cuore di un quartiere che, nonostante sia il centro di numerose gastronomie internazionali, i residenti di Manhattan frequentano di rado.
“Scopriamo la città”, dice Laspina salutando i suoi ospiti. La settimana della cucina italiana è il momento perfetto per conoscere le decine di vetrine da cui escono profumi italiani rimaste ancora inesplorate.
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