Segni vivaci. Pennarelli e penne a sfera, matite e soprattutto pastelli. C’è questo e non solo nei piani solidi di colore brillante che conferiscono a molti dei disegni dell’artista afroamericana Nellie Mae Rowe, la potenza di un dipinto.
Il 2 settembre è stata inaugurata, al Brooklyn Museum, di New York, “Really Free: The Radical Art of Nellie Mae Rowe”, la mostra più grande mai realizzata dei suoi capolavori. Aperta fino al 1° gennaio, 2023, organizzata in otto sezioni, presenta più di cento opere (dipinti su carta, sculture a tecnica mista, diverse bambole cucite e due incredibili reimmaginazioni della sua casa e del suo giardino) che sottolineano tutta la forza di una figura autodidatta e poco riconosciuta dell’ambiente artistico americano del XX secolo.
Nata nella contea di Fayette, in Georgia, Rowe scoprì presto la sua attrazione per l’arte, producendo disegni e bambole di stoffa fin da bambina. Tuttavia, le esigenze della fattoria di famiglia, un matrimonio precoce e l’impiego come lavoratrice domestica presso una casa di bianchi, le resero difficile dipingere per molti decenni. E solo dopo la morte del secondo marito e dei datori di lavoro, negli anni Sessanta, comprese in pieno la sua vocazione e decise di seguirla per il resto della vita. La sua piccola abitazione trasformata in un’eccentrico ambiente artistico (chiamata Playhouse) – riempita, dentro e fuori, con assemblaggi di oggetti trovati, sculture morbide, e dipinti colorati- ha segnato un prima e un dopo, accogliendo curiosi visitatori che incoraggiarono Rowe a produrre un numero sorprendente di opere concentrate sulla razza, il genere, la domesticità, il folklore afroamericano, le tradizioni spirituali, l’infanzia e il simbolismo. Un lascito con cui è riuscita ad affermare la sua voce per esigere il rispetto e la visibilità che le erano stati a lungo negati come donna nera, vissuta nel Sudamerica.
E oggi, nella prima retrospettiva dalla morte, si spalanca un’ampia finestra su tutta la sua carriera grazie alla sapienza della curatrice Catherine Morris -capo senior dell’Elizabeth A. Sackler Center for Feminist Art, del Brooklyn Museum- che ha saputo riconfigurare, con uno sguardo analitico che va oltre la tela, in un lavorio continuo, di smontare e rimontare, l’esuberanza creativa della mano di Nellie Mae Rowe. E quando ce lo racconta, con un’intervista in esclusiva, affiora lo stesso tocco di umanità che trabocca nei dipinti, liberi dalle catene del pregiudizio e capaci di abbracciare ogni tempo.

La prima mostra monografica dedicata all’artista, in oltre due decenni, nella città di New York. Come la fa sentire e quanto è importante per il Brooklyn Museum?
“È una mostra significativa sia per Nellie Mae Rowe che per il museo. È considerevole che si svolga nel Sackler Center for Feminist Art, visto che l’artista è generalmente discussa all’interno della categoria piuttosto nebulosa dell’Outsider o dell’arte autodidatta. L’esposizione la presenta nel contesto del femminismo e questo è un arricchimento per comprendere le opere, ma soprattutto l’arte femminista. Inorgoglisce il pensiero di poter ampliarne la ricezione a New York, e oltre. Conosciuta nell’area di Atlanta e nel Sud americano, l’augurio è che possa consolidarsi tra gli artisti del XX secolo”.
“Veramente libera” sono le due parole chiave del titolo che apre la mostra. Quanto racchiudono dell’arte di Nellie Mae Rowe?
“È stata lei stessa a celebrarle per esprimere quanto l’arte le abbia permesso di scoprire la vita emotiva, spirituale e culturale. Quando, a sessanta anni, è diventata un’artista – un sogno tenuto nel cassetto per tutta la vita- è finalmente diventata libera ed è riuscita a sprigionare un’identità unica e ad integrarla in un mondo tutto suo”.
Qual è stato il processo creativo dal punto di vista curatoriale?
“La mostra nasce da un grande lavoro di squadra che ha coinvolto l’High Museum of Art di Atlanta con a capo la dott.ssa Katherine Jentleson, Merrie e Dan Boone curatori del Folk and Self-Taught Art, High Museum of Art insieme a Jenée-Daria Strand, curatrice associata dell’ Elizabeth Sackler Center. Quando abbiamo deciso di portare il progetto espositivo a Brooklyn, l’intenzione unanime è stata quella di ampliarlo in modo significativo con opere locali, questo per rafforzare il fatto, meno noto, che l’artista è da tempo presente in città. Inoltre si è discusso e trovato interessante quanto il corpo dei lavori di Rowe sia stato un’impresa inventiva e creativa volta verso una forma di femminismo radicata nei ricordi d’infanzia”.

Nel 1989, le Guerilla Girls, un collettivo di attiviste e artiste femministe anonime, riconobbero Nellie Mae Rowe tra le fila di Frida Kahlo, Edmonia Lewis e Georgia O’Keeffe. La femminilità e la donna sono tra i temi centrali del suo lavoro. È un’arte, la sua, coraggiosamente femminista?
“Sì, le opere sono intrise di un coraggio importante in quanto donna afroamericana. Preferisco non rivendicare l’interesse o l’identificazione di Rowe con il movimento femminista così come esisteva negli Stati Uniti durante la sua vita, ma quello che più desidero è offrire l’opportunità di ampliare lo sguardo sul femminismo”.
Lei come curatrice capo, dell’Elizabeth A. Sackler Center for Feminist Art del Brooklyn Museum, si occupa di come il femminismo abbia plasmato l’arte e la sua percezione. Qual è il più grande equivoco sul femminismo di oggi?
“Penso che il femminismo sia un termine che deve essere flessibile ed espansivo in modo che il suo valore sia potenzialmente compreso da ogni essere umano. È un ampio gruppo di movimenti sociali, politici e culturali -correlati tra di loro- che si verificano in tutte le società quando le persone riconoscono e cercano di correggere le ingiustizie perpetuate sulla base del genere o dell’identificazione di genere. Quindi credo che l’idea sbagliata del femminismo sia quella di trattarlo come un unico movimento; il più conosciuto: quello per lo più bianco ed economicamente privilegiato, nato negli Stati Uniti e in Europa negli anni ’60 e ’70”.

E qual è l’aspetto delle opere di Rowe che più desidera restituire con chiarezza?
“Il cuore della collezione che è in egual misura la pregnanza e la gioia di questa artista in quanto donna”.
La creatività recuperata in tarda età da Rowe è intrisa del desiderio di liberazione verso qualcosa di più bello della sofferenza vissuta in gioventù. La sua è stata una lotta personale contro il razzismo e la povertà in quanto donna di colore e in un certo senso è riuscita a risanare se stessa. Pensa che la sua arte sia un faro di speranza per la guarigione nella continua battaglia per l’uguaglianza razziale negli Stati Uniti?
“Credo che il lavoro di Rowe sia un faro per molte cose: certamente offre un chiaro esempio di cosa significhi rivendicare la propria vita in un ambiente in cui non si è valorizzati. Inoltre, la sua è una storia meravigliosamente personale, idiosincratica e fonte di ispirazione, mostra chiaramente che non esiste un’unica mappa per raggiungere i propri obiettivi. Penso anche che sia luce per intendere la storia dell’arte del XX secolo: non dovremmo sforzarci di inserirla nelle narrazioni esistenti del modernismo, ma sfruttare l’opportunità del suo lavoro per riscrivere la storia che intenzionalmente l’ha esclusa. La Rowe è stata, prima di tutto, fedele a se stessa e lucida nella sua visione creativa rispetto le circostanze della sua difficile vita, il che ha richiesto un atto di vero coraggio”.

Le sue composizioni divennero più grandi, più vibranti e sempre più elaborate. Non pianificava il lavoro, si affidava a un processo libero e i materiali modesti utilizzati le hanno permesso di raggiungere un’insolita magnificenza. Secondo la sua esperienza, quali sono le mostre che toccano davvero le persone e lasciano un segno?
“Concordo sulla forza della mano di Rowe e sulla sua straordinaria sensibilità cromatica. Penso che le mostre che lascino veramente un segno siano quelle che trovano una voce creativa potente che parli al presente. Non è raro che un lavoro storico risuoni nel momento contemporaneo, il mio compito da curatrice è rendere chiaro questo collegamento e rispondere alla domanda: perché ora? Una mostra di successo deve trasmettere l’entusiasmo che coinvolge il curatore mentre scopre opere straordinarie”.
Questa mostra si apre con cinque piccoli disegni straordinari che riportano il nome dell’artista. Quattro lo raffigurano semplicemente in un corsivo stravagante e arricciato. Tradizionalmente, la firma di un artista è discreta, all’angolo dell’opera. Rowe spesso ha incorporato truismi, aforismi e detti popolari, rimodellando il linguaggio attraverso la sua calligrafia unica e abbellimenti creativi. Le vivaci firme e gli scritti sono opere d’arte in sé?
“Sì, ha assolutamente incorporato la sua firma nelle opere d’arte e spesso sono al centro di una composizione. Questo testimonia ancora una volta l’impegno personale di Rowe nel voler stabilire chiaramente la sua identità di creatrice con una visione unica. Aveva molto da racontare e una spiccata capacità di trasformare in arte ogni cosa del suo mondo. Come raccontano con affetto i nipoti, Rowe li sfidava spesso a scrivere i loro nomi con grande stilizzazione, anche se nessuno era all’altezza del suo”.
Cosa può regalare l’arte e “Really Free: The Radical Art of Nellie Mae Rowe” in questi tempi di paura e incertezza?
“L’arte è gioia e una mostra come “Really Free” permette di viverla, e insegna un nuovo modo di guardare il mondo”.
