Non c’è niente che dica New York più dei bambini che gestiscono i chioschi di limonata. Un’attività estiva semplice, divertente e istruttiva, finalmente tornata – dopo le restrizioni pandemiche – a pieno regime in città.
Per le strade dei quartieri e dei sobborghi, è di nuovo comune che i giovani si sistemino per un pomeriggio sui marciapiedi fuori dalle loro case a vendere per pochi centesimi bicchieri di limonata fatta in casa. E senza lasciarsi intimorire dai tempi duri, mettono in pratica strategie di vendita al passo con i tempi.
«Se il sole picchia e i ragazzi sono annoiati, costruite chioschi», sostiene This Old House in una delle numerose guide alla realizzazione degli stand reperibili su internet. Aiutati dalle famiglie, alcuni si accontentano delle classiche bancarelle con tavoli pieghevoli o scatoloni di carta, mentre i più ambiziosi costruiscono piani di appoggio su misura, creano gadget a tema, offrono gusti raffinati, ma soprattutto si avvalgono della moderna tecnologia. Un mezzo che li aiuta a farsi pubblicità e incrementare guadagni.

Per Carrie Weprin, nel quartiere di Boerum Hill a Brooklyn, accettare pagamenti tramite Venmo, da parte di persone che non hanno contanti, è stata una rivoluzione. La signora Weprin, 36 anni, regista, ha scoperto che i suoi figli, Elijah, 5 anni, e Naomi, 3, sono venditori tenaci: “Ogni volta che qualcuno passa e non si ferma, lo fanno notare a gran voce”, ha detto. Non si vergognano e sono impavidi”. Una volta, i bambini allestivano un chiosco di limonate sperando che la gente lo vedesse, oggi è possibile promuovere le bancarelle ovunque. “Abbiamo usato Facebook e Instagram e sono venute molte persone. Ai miei tempi era impensabile!”.
La storia di questi punti di ristoro è lunga e anche un pò sordida. Per molti, sono stati un vero e proprio affare sporco. Nel 1860, i primi mercanti di limonata di New York piuttosto che investire in ingredienti di qualità, riempivano sporchi secchi di legno o di latta con una sostanza torbida composta da acqua, melassa e aceto. Le scorse di limone tagliate a fette servivano solo per dare all’intruglio l’aspetto di qualcosa di commestibile. Per molte persone in cerca di un nuovo inizio in America, il primo assaggio di libertà era letteralmente una fetida bevanda di acqua zuccherata a basso costo. Nel 1879 i venditori di limonate divennero una presenza comune in tutta New York e spuntarono ovunque. I chioschi erano molto convenienti e un articolo del New York Times, del luglio 1880, riporta che “durante le estati calde, gli avventori acquistavano un bicchiere di limonata appena fatta per 5 centesimi, rispetto ai 15 richiesti nei bar”.

Ma, per comprendere come questo business si è trasformato in un’attività ad appannaggio dei bambini americani, occorre leggere le memorie di Edward Bok -popolare editore newyorkese (e premio Pulitzer) del primo Novecento- che racconta il suo arrivo a 6 anni (immigrato dall’Olanda) e di come nel 1873 diventò il primo venditore ragazzino di limonate a Brooklyn. Da allora, milioni di bambini hanno seguito il suo esempio- e nel corso del XX secolo, i chioschi si trasformarono in lezioni allegoriche sulla libera impresa. Se un giovane voleva una bicicletta, poteva potenzialmente produrre un reddito sufficiente per acquistarne una. Insegnamento tramandatosi sino ai nostri giorni, come conferma Christopher Stone, 43 anni, informatico dell’ Upper West Side, che dice: “stimolo mio figlio affinché sappia gestire il denaro e miri con responsabilità e autonomia ai suoi guadagni. Lo aiuto solo a sbrigare i compiti che richiedono forza fisica, ma nelle relazioni interpersonali deve cavarsela da solo, così come per calcolare i resti”.
Un immagine -quella dei bambini considerati piccoli imprenditori- ampiamente sfruttata negli spot televisivi e nelle pubblicità, ma anche dalla stampa. Non a caso un recente articolo del New York Times, titola: “Come vendere più limonata”. Ed è una guida pratica su come raggiungere il successo: “attira l’attenzione della gente, scatena la gioia dell’estate con la tua esuberanza”, si legge. “Saluta e chiama i passanti. Incoraggiali a bere un sorso prima di andare via. E infine, assicurati di avere a disposizione un’abbondante scorta”. Fa eco, a questi dettami, la giovane studentessa, Hayli Martenez, 13 anni, che vende limonata e fa da mentore ai futuri aspiranti venditori: “L’imprenditorialità è un lavoro duro. Se non rispetti le regole e non studi una strategia vincente, sei fregato!”.
Un’altro aspetto fondamentale, dei lemonade stand, sono i benefici che ne ricava la comunità. Il più delle volte i chioschi nascono come raccolte fondi per sostenere e finanziare progetti a scopo sociale. Sempre la signora Weprin -dopo la sparatoria avvenuta nella scuola di Uvalde, in Texas- ha deciso di donare parte del ricavato a Everytown for Gun Safety, un’organizzazione no-profit che si batte per il controllo delle armi. E tante sono le famiglie che collaborano con il programma Robin Hood Foundation, un’organizzazione contro la povertà, con sede a Lower Manhattan, che incoraggia i suoi venditori a offrire limonata gratuitamente e a chiedere donazioni. “Nel corso degli anni, con un bicchiere rinfrescante alla volta, abbiamo raccolto più di un milione di dollari”, scrive l’organizzazione di beneficenza.

Non manca l’aspetto noioso. Tecnicamente i chioschi di limonata -nonostante sono comunemente gestiti da bambini innocenti- violano diverse leggi: come quella della licenza commerciale (per avviare l’attività, secondo le normative di New York, occorre un permesso di $30 rilasciato dal Department of Health and Mental Hygiene). I procedimenti giudiziari sono estremamente rari, e nascono in genere a seguito del clamore dell’opinione pubblica. Come nell’estate 2019, quando venne chiuso il chiosco di Brendan Mulvaney, 7 anni, sotto il portico della sua abitazione. In risposta all’indignazione, il senatore statale, James Tedisco, presentò una legislazione per esentare le bancarelle -gestite da ragazzi di età inferiore a 16 anni- dalle normative sanitarie, ma il disegno di legge – come ci conferma fonte di governo- non è stato approvato.
Ad ogni modo, permesso o no, in questi giorni sono tante le famiglie e i giovani che non hanno intenzione di rinunciare ai loro chioschi. Dina Bean che gestisce uno stand vicino a Central Park con i suoi figli, Anabelle e Daniel, a sostegno di Alex’s Lemonade Stand da otto estati, racconta che “sono capitate lamentele, ma il più delle volte le mette a tacere non appena spiega a chi devolve il ricavato”. E aggiunge, “nessun bambino dovrebbe vedere la propria creatività e il duro lavoro scoraggiati da requisiti legali”.
Per l’opinione comune è un vero e proprio dovere morale sostenere le bancarelle della fresca bibita estiva, e ancor più senza permesso. I genitori newyorkesi amano rischiare, e quando chiediamo il perché, rispondono: “per nostalgia. Riviviamo il fascino degli anni ’50, quando i chioschi improvvisati, per capriccio, contro la noia estiva erano la libertà!”