Il 30 giugno segna la fine di un’epoca per un particolare gruppo di donne newyorkesi. È il giorno in cui Artbag – il negozio tra la Madison Avenue e l’84ª strada, dove le persone comuni e celebrità si affidano da 90 anni per riparare e restaurare le loro borse chic – chiuderà.
Donald Moore, suo figlio Christopher e la moglie di Christopher, Estelle, hanno deciso di trasferire la loro attività a Coral Springs, in Florida, spezzando il cuore di molte clienti. Si annoverano tra le più conosciute Jackie Kennedy, Diane Sawyer, Elizabeth Taylor e Cicely Tyson, che senza indugio hanno sempre lasciato le loro borse Chanel, Louis Vuitton e Hermès alla famiglia Moore per rinnovarle.
Artbag è un’istituzione, una parte essenziale del tessuto della vita di New York e una risorsa online inestimabile. Ha fornito servizi alle First Lady, fatto sfilare i suoi lavori su tappeti rossi e creato un elaborato tessuto broccato per una linea di borse Cartier tempestate di gioielli.
I Moore non hanno mai fatto discriminazioni e si sono guadagnati fiducia per la loro meticolosa professionalità: “Tutte le borse sono creature uguali nonostante siamo specializzati nella Hermès Constance, Kelly e Birkin”. Le borse significano proprietà, identità, possesso di sé. “Sono la memoria di tutto ciò che si è”. Tanto che, quando qualcuno intende obiettare che una tal cosa non faccia per lui, in inglese colloquiale dice: “That’s not my bag, man”. Ci si illude di indossarle, ma sono loro che portano a passeggio: “le donne si sentono insopportabilmente leggere senza la borsa”. E quando Christopher Moore racconta – nei suoi modi discreti – l’anima di questo oggetto, così come il mestiere della sua famiglia, ci conduce nella storia di una bottega fuori dai tempi. Luogo sicuro dell’arte del restauro.

Mr Moore, la chiusura del negozio segna nel profondo la città. Come la fa sentire tutto questo?
“Novant’anni sono tanti! Mio padre oggi ne ha 80 ed è stato assunto da Artbag nel 1959, nella seconda sede del negozio tra Madison e la 64esima strada (da quando fu fondato nel 1932, ha avuto tre sedi: la prima tra Lexington e la 55esima e poi sulla Madison). Iniziò con le mansioni base (pulire, lucidare le borse, lavare il pavimento), lo assunse Hillel Tenenbaum, allora proprietario del negozio, che da subito ebbe, per lui, un occhio di riguardo. Era giovane, appena sposato; arrivò a New York dalla fattoria di famiglia a Elizabethtown, nel N.C., con soli 60 dollari in tasca. Ogni sera, dopo il lavoro, lo portava a casa per mostrargli e insegnargli come si riparavano le borse. Lavorava dalle 8.30 del mattino alle 10 di sera. Poi nel 1076, il signor Tenenbaum – insieme ad altri due soci- gli vendette una piccola quota, finché nel 1993 rilevò tutta l’attività (aveva acquisito le giuste competenze). Sei anni dopo sono entrato anche io a far parte dell’azienda e oggi sono il proprietario”.
La vostra è stata l’unica attività di proprietà di più generazioni di afroamericani in Madison Avenue, nel tratto dei negozi di lusso tra la 57a e l’86a strada. Lei ha vissuto sin dalla tenera età l’arte del riparare borse. Cosa è cambiato da allora?
“La mia famiglia proviene da una lunga stirpe di imprenditori. Il mio bisnonno ha avuto il primo negozio di proprietà di neri a Elizabeth City, N.C. Era un imprenditore agricolo e assumeva lavoratori per i coltivatori bianchi della zona. Mio padre e mio nonno invece erano proprietari di fattorie, non erano mezzadri e non hanno mai lavorato per i bianchi. Quando ha iniziato questo mestiere all’età di 18 anni, alcuni clienti del negozio non volevano avere a che fare con un uomo di colore. A suo dire, se gli altri commessi erano occupati, solo i clienti che avevano fretta si accontentavano di lui. Ma con il tempo la situazione è cambiata, soprattutto perché era molto bravo. Mi ha tramandato questo mestiere e oggi è parte di me”.
Qual è il segreto per un lavoro ben fatto e qual è l’aspetto più difficile?
“L’abilità nel restaurare una borsa danneggiata include non solo la pulizia della pelle, ma anche il rimodellamento della borsa stessa, che spesso richiede l’eliminazione della vecchia struttura e la sua sostituzione con un nuovo scheletro – a volte utilizzando tela buckram, a volte pelle incollata – per ripristinare la forma originale. Può anche essere necessario sostituire le cerniere e gli elementi di metallo, così come i buchi negli angoli che possono essere riparati e ricostruiti. L’attenzione al dettaglio è fondamentale e anche la parte più difficile. Nessun cliente vuole vedere una doppia fila di punti cuciti quando la borsa ne richiede solo uno o un colore di pelle completamente diverso. Le soluzioni di recupero autentiche sono una preziosa opportunità perché offrono una seconda vita all’oggetto”.

È mai capitata una riparazione che sembrava impossibile e che invece siete riusciti a sbrogliare?
“Sì, una cliente portò un portagioie vintage in coccodrillo. La pelle era completamente secca, ma non voleva sostituirla. Pertanto, abbiamo tolto i pezzi incrinati dalla borsa, e rinforzato il coccodrillo per poi fissarlo alla custodia. Un’impresa difficile! Siamo meticolosi e questo ci ha permesso di creare con il tempo una buona reputazione e clienti affezionati, più o meno noti”.
Come ad esempio?
“Jackie Kennedy, che abitava dietro l’angolo del negozio, era una donna bella e molto sobria. I nostri clienti sono tutti di lunga data e la privacy è molto importante per loro. C’è un avvocato superstizioso che non riesce a separarsi dalla sua valigetta fortunata e così, ogni anno, quando ce la porta torna come nuova. Una cliente fedele di Long Island, una volta ha mandato 160 borse da pulire dopo che il fumo di un incendio nella sua abitazione le aveva danneggiate. Ho anche restaurato una borsa di Hermès di una donna disperata perché l’ex fidanzato l’aveva tutta scarabocchiata con una penna biro”.

Sono tante le clienti arrivate in lacrime?
“Tantissime, ma sono sempre uscite dal negozio con il sorriso. Quest’ultimo mese è stato commovente. I clienti hanno il cuore spezzato per la chiusura e spesso sono scoppiati a piangere. I cambiamenti sono inevitabili, alcuni difficili perché mettono un punto importante. Chiudono un’era”.
Sono stati e sono tempi duri.
“Durante la pandemia non sono mancati gli acquisiti e questo ci ha aiutati a sostenerci, ma gli affitti di Madison Avenue sono diventati insostenibili. New York non è più quella di una volta. Tanti sono i negozi sfitti e la maggior parte delle aziende familiari sono state costrette a trasferirsi, altrimenti l’alternativa è solo una: fallire. Non abbiamo avuto altra scelta che la Florida”.
Perché proprio la Florida?
“Molti dei nostri clienti si sono trasferiti in Florida dopo la pandemia. E abbiamo scelto Coral Springs perché è a metà strada tra Miami e Palm Beach e quindi facilmente raggiungibile da due aeroporti. I clienti possono inviarci le loro borse per le riparazioni, e continueremo a fornire gli stessi servizi. Per questo sono tutti entusiasti”.
Le clienti riparano le borse più per un valore economico o emotivo?
“Dipende. Ho fatto riparazioni il cui importo era di gran lunga superiore al valore della borsa. È un oggetto che nasconde sempre qualcosa di sentimentale”.
Universo intoccabile, nel quale è rigorosamente vietato curiosare. Che idea si è fatto, in tutti questi anni, del rapporto che le donne newyorkesi hanno con le loro borse?
“È un rapporto che si è trasformato radicalmente nel corso degli anni. Quando ho iniziato questo lavoro, le indossavano come un semplice accessorio, oggi è il fulcro dell’outfit. Le identificano e le chiamano con il pronome “lei”. Le borse non sono più un oggetto funzionale ma uno status symbol”.
Riparato con cura, l’oggetto danneggiato accetta e riconosce la propria storia e diventa più bello e resistente di quanto non fosse prima. Acquista un nuovo valore. Ecco, lei insegna che le borse hanno un’anima e sono il cuore pulsante del suo mestiere. Cosa lascia per sempre a New York e cosa porterà con se?
“Lascio qualche mobile, ma tutti i clienti li porto con me. Ognuno di loro è il cuore di Artbag, che esisterà per sempre anche quando lascerò questa terra”.