“Ho un viaggio prenotato per il 28 dicembre e non so se disdirlo”, mi aveva scritto qualche giorno fa una lettrice che abita a Cosenza e che sognava di essere a New York per la prima volta. “Può aiutarmi a capire la reale situazione?”
Domanda difficile, quella che mi avevo posto Eleonora otto giorni prima della partenza. Domanda difficile ma soprattutto risposta difficile perché quando si parla di pandemia, Covid-19 e variante Omicron cerchiamo certezze che nessuno possiede. Vedo allora di rispondere cercando di mettermi non già nei panni di un esperto sanitario quanto nei panni di un turista che arriva a New York. Ha fatto un bell’investimento in una vacanza all’estero e vuole godersi la permanenza, soprattutto nel caso di una persona come Eleonora che New York non l’ha mai vista.

Nei negozi, grandi magazzini e sulla metropolitana di New York la stragrande maggioranza della popolazione porta la maschera. Sui mezzi pubblici è obbligatoria. La polizia offre mascherine gratuite a chi ne è sprovvisto e multa che si rifiuta di indossarla. Non ho visto nessun poliziotto multare gli smascherati ma a colpo d’occhio direi che su un vagone mezzo pieno in media quelli senza maschera sono al massimo un paio di persone. Purtroppo li si riconosce a distanza: giovani dall’espressione sbruffona, anziani con la maschera sul mento, mendicanti e poveretti in genere.

Nei ristoranti vige il “regime misto”. Nelle sale interne si pranza solamente dopo presentazione di prova di doppia vaccinazione; all’esterno non è richiesto nulla. Il problema è che il concetto di pranzare all’esterno è alquanto discutibile. Moltissimi ristoranti hanno avuto il permesso di costruire strutture lungo il marciapiede con l’idea di favorire la circolazione dell’aria. Ma soprattutto con l’arrivo del freddo invernale queste baracche all’aperto hanno ben poco di aperto e intrappolano facilmente il virus e le sue varianti. Seduto al tavolo accanto — senza partizione nè maschera — potrebbe essere una persona non vaccinata oppure neppure certa se positiva al virus.
Come reagisce il pubblico a questa incertezza? Prendiamo il caso di Elliott, un amico di vecchia data. Ha passato la pandemia in Massachusetts e durante una recente visita a New York abbiamo deciso di vederci in un ristorante. Eravamo in tre adulti, tutti vaccinati e pure con il richiamo. Eppure Elliott ha declinato sia un abbraccio che una semplice stretta di mano e ci siamo seduti distanziati in un tavolo da sei. Eccessivo? Può essere ma è indicativo di quanto siano individuali le scelte che ci fanno stare a nostro agio.

In vista delle feste natalizie centinaia di migliaia di newyorkesi sono corsi a fare il test — chi per sentirsi tranquillo a bordo di un aereo, chi per non esporre soprattutto i parenti anziani a un possibile contagio. Il risultato è stato che le code sono interminabili. I numeri parlano chiaro: una media di 130mila test al giorno condotti presso 112 centri medici in tutti e cinque i distretti della città. La domanda è così alta che l’ufficio del sindaco ha appena annunciato l’apertura di altri ventitre centri per venire incontro alle necessità.
A New York praticamente tutti sono ansiosi di fare il test prima di trovarsi con la famiglia per festeggiare il Natale. Ma viste le difficoltà i centri medici chiedono agli adolescenti di astenersi dal test. La situazione mette in difficoltà i turisti europei (e stranieri in genere) che vengono a New York e devono venire testati prima di imbarcarsi per il volo di ritorno. E mentre soggiornano a New York devono essere pronti a esibire un documento che attesti l’avvenuta doppia vaccinazione prima di entrare in musei, bar e ristoranti. Non parliamo neppure dei teatri perché la maggior parte hanno chiuso durante l’ultima settimana. Avevano provato a essere aperti ma la diffusione dei contagi ha costretto la sospensione degli spettacoli per esempio per il Christmas Spectacular, lo show natalizio delle leggendarie Rockettes, ballerine sincronizzate. Chiusi anche i più richiesti musical di Broadway che speravano di riempire le sale dopo un anno e mezzo di chiusura forzata.

Le celebrazioni di Capodanno a Times Square per il momento rimangono confermate ma il sindaco avverte che le restrizioni sono cambiate per la diffusione della variante omicron: allo stato attuale delle cose il pubblico potrà convergere in Times Square ma dovrà presentare prova di doppia vaccinazione per accedere alla zona ristretta e poi il sindaco ha appena annunciato capacità massimo di 15.000 persone contro le 58.000 di un anno normale.
Intanto la notizia che arriva mentre scrivo queste righe è che Delta Air Lines e United Airlines hanno cancellato più di 200 voli previsti per la vigilia di Natale, a causa della variante omicron. United ha annunciato che annullerà circa 120 voli, Delta circa 90.

“La situazione a New York è grave come dicono?” mi aveva scritto la signora Eleonora facendo probabilmente riferimento a quanto riportato dai giornali e telegiornali in Italia. Imbarazzo da parte mia nel rispondere perché in realtà la vita continua a New York. Non siamo barricati in casa. Usciamo, andiamo in giro, facciamo shopping, prendiamo i mezzi pubblici. Tutto normale, dunque? Proprio no.
“Francamente, non me la sento di incoraggiarla a venire a New York per la prima volta nelle condizioni attuali”, avevo risposto alla lettrice. Ritengo che un viaggio nella Grande Mela meriti di venire affrontato con serenità e spensieratezza. Non è proprio questo lo spirito di New York nell’immaginario collettivo? Una città spensierata e un po’ matta dove ognuno si sente libero di fare un po’ quello che vuole. Una città piena di gente eccentrica e originale che si mescola alla popolazione in genere in un clima di tolleranza e partecipazione collettiva. Ma questo non è l’aria che si respira a New York di questi tempi. Siamo tutti guardinghi, cauti, sotto tono. Non c’è quell’aria di grande baraccone che ci contraddistingue. Ci muoviamo tentativamente, senza alcuna certezza per il domani.

E allora, mi domando io, perchè venire a New York proprio adesso? Perchè non aspettare quando c’è più tranquillità? Perchè precipitarsi qui in un momento quando questa metropoli è in fase di assestamento. Non dico che venire a New York adesso significhi necessariamente che si finisce al Pronto Soccorso colpiti dall’omicron. Dico che New York sarà sempre qui. Anche il mese prossimo, la primavera prossima e l’anno prossimo.