In 138 anni di storia, mai era successo che le porte del Metropolitan Opera di New York si serrassero. E dopo 18 mesi di chiusura forzata causa pandemia, il teatro ha riaperto le danze il 27 settembre presentando la prima opera scritta da un compositore afro-americano, che resterà in programma fino al 23 ottobre. Con un cast composto totalmente da persone nere, “Fire Shut Up in My Bones”, è la seconda opera di Terence Blanchard, trombettista famoso per aver scritto la musica di diversi film di Spike Lee.
Ancora più che sul palco, però, la rivoluzione si fa nella platea che, per la prima volta, non ospita quasi esclusivamente spettatori bianchi e di classe media, ma un pubblico vasto e variegato attratto dalla modernità e dall’inclusività dell’opera.

La scelta di aprire la stagione con “Fire” è arrivata a poco più di sei mesi dalla nomina di Marcia Lynn Sells a prima Chief Diversity Officer, incarico che le permette di creare e modificare i programmi del Met per renderli il più inclusivi possibili. Il suo ruolo potrebbe aver contribuito alla scelta di mettere in atto la produzione di una storia di Charles Blow, scrittore afroamericano, tradotta in opera teatrale da una donna nera, Kasi Lemmons, e composta da Blanchard.
Quello di settembre non è stato il debutto assoluto di “Fire Shut Up in My Bones”: l’opera era entrata in scena al teatro di St. Louis nell’estate del 2019, dove aveva avuto grandissimo successo, attirando già allora l’interesse del Met.

La storia è un racconto autobiografico che racconta infanzia ed adolescenza dell’autore, Charles Blow, vissuta in Louisiana. Ultimo di cinque figli, a sette anni Charles è un bambino dolce e delicato, desideroso dell’affetto materno che raramente riesce ad ottenere. Nell’opera, la figura del bambino, interpretata dal giovane attore di Broadway Walter Russell III, viene spesso affiancata dal Charles adulto, il baritono Will Liverman. Quest’ultimo si affianca a Char’es-Baby, nomignolo con cui viene chiamato da bambino, per suggerirgli cosa fare, come affrontare le sofferenze che lo attanagliano fin da piccolo.
Verso la fine del primo atto, infatti, Char’es-Baby subisce un abuso sessuale da parte di un lontano cugino, Chester. Ci sono accenni a questa violenza fin dalla prima scena dell’opera, nella quale il Charles adulto, negli anni del college, torna a casa in macchina sperando di sparare a Chester, che lui percepisce come la persona che gli ha rovinato la vita.
Oltre alla sua versione bambina, Charles viene affiancato sulla scena dall’attrice Angel Blue, un soprano che interpreta la solitudine, il destino e il breve interesse amoroso del protagonista, Greta.
“Fire” unisce espedienti tradizionali dell’opera, come la personificazione dei sentimenti o l’affiancare due fasi di vita diverse dello stesso personaggio, ad elementi tipici della cultura afroamericana, che riescono a far ridere ed emozionare il pubblico in sala. Tra questi, la scena del battesimo di Charles, con cui lui vorrebbe espiare i propri peccati e le proprie sofferenze, in cui gli attori esplodono in un ballo con sottofondo gospel.
Anche nell’ultimo atto vediamo un gruppo di ragazzi appartenenti alla confraternita Kappa Alpha Psi, storicamente afroamericana, ballare in maniera sciolta, entusiasmando il pubblico.
Nella scena finale, il Charles bambino prende il controllo, ricordando a quello adulto il principio con cui la madre, Billie, li ha cresciuti: “Sometimes, you gotta leave it in the road”, a volte devi lasciare qualcosa dietro di te. Così Charles resiste alla tentazione di uccidere Chester, si riavvicina alla madre, e inizia una nuova fase della sua vita, che si prospetta finalmente serena.