Tredici mesi fa se cercavi una mascherina o un gel igienizzante a New York non andavi in farmacia, ma a Chinatown. La consapevolezza differente e più approfondita, quella orientale, di adottare misure di protezione per evitare contagi persino per un banale raffreddore, aveva fatto comprendere in pochi giorni anche agli occidentali che si, quell’abitudine alle mascherine non era solo bizzarria, ma necessità. E allora quando ovunque i prezzi lievitavano e le scorte finivano, se andavi a Chinatown trovavi ciò che ti serviva, perchè c’era già una consolidata abitudine di avere scorte di dispositivi per la sicurezza.
Nello stesso periodo il NYPD non registrava un solo atto di razzismo nei confronti della popolazione asiatica. Un anno dopo, la triste svolta, che si aggiunge alla crisi economica e sanitaria. Nella città simbolo della multiculturalità, mai ci si sarebbe aspettati un tale rigurgito di odio, né che improvvisamente coloro che ci hanno, in qualche modo, insegnato a proteggerci venissero considerati untori.

A marzo 2021 gli episodi di violenza contro asiatici registrati dalla polizia di New York sono stati 31. E questo accade mentre ci sono ancora gli strascichi dolorosi per la morte di George Floyd ad infiammare l’America. In tredici mesi il volto di alcuni quartieri dei cinque distretti della città è cambiato. Ci sono strade che portano le cicatrici del virus, dell’intolleranza, di chiusure prolungate. La rassegnazione è indossata da molti, ma è abito che sta loro stretto.

Il New York Times ha deciso di dar voce ad alcuni appartenenti la comunità della Chinatown di Brooklyn. E’ la meno conosciuta dai turisti, che, invece, si accontentano di quella tra la vecchia Little Italy e la Bowery, più a portata di mano, o meglio di passeggiata. A calpestare le strade della Chinatown che sta oltre il ponte ci sono andati in due, Kimiko de Freytas-Tamura e Jeffrey E.Singer. Tra scatoloni di magliette su cui è impresso lo slogan “Stop asian hate”, hanno raccolto la preoccupazione di ristoratori, gestori di negozi di abbigliamento, parrucchieri. La Eight Avenue non è più la stessa tra covid, discriminazioni ed oltre un anno di chiusure John Chan, albergatore e leader della comunità, ha raccontato al NYT di aver licenziato 80 dei suoi dipendenti. E di temere per il futuro.
L’economia sta ripartendo, ma a rilento. C’è chi non riesce a pagare l’affitto, chi ha già abbassato la saracinesca per sempre. Almeno tre dozzine di locali dice Nicole Huang, che ha stretti legami con la comunità imprenditoriale. Janet Yang, manager del Pacific Palace, racconta che non ci sono più i matrimoni di una volta: con la pandemia, nel solo locale che dirige sono state cancellate 40 cerimonie. Per strada, c’è chi improvvisa mercatini e vende ciò che può per sbarcare il lunario. Qualcuno nel tempo ha convertito la sua attività, come Naian Yu, che si è messo a produrre mascherine anziché capi d’abbigliamento per Nordstrom e Macy’s. Adesso è tornato a rifornire anche i grandi magazzini, ma gli ordinativi non sono quelli pre-pandemia.

Quelle raccolte dal New York Times sono solo alcune tra le testimonianze un disagio ancora profondo degli abitanti della Chinatown di Brooklyn e dell’area di Sunset Park, in cui vivono anche molti latino americani. Lì il tasso dei positività al covid è ancora molto alto, il doppio di quasi tutta la città. Ed è dura, molto dura per la comunità dell’Ottava e della Settima strada. Un’ansia a cui si aggiunge lo scetticismo per il vaccino, che in molti non vorrebbero fare, convinti che sia sufficiente adottare le misure di sempre, gel e mascherina. Lo hanno confessato al monaco buddista fondatore del tempio Xi Fang. Per fortuna, nonostante le perplessità di alcuni, secondo l’autorità sanitaria un terzo dei residenti a Sunset Park ha avuto almeno la prima dose, dato in linea con le altre zone della città. I leader locali puntano, tuttavia, a un incremento delle vaccinazioni, sperando in una rapida riapertura a pieno ritmo della città, ancora in una fase di torpore.
E tra gli affezionati di queste strade di Brooklyn c’è anche un’artista taiwanese. Stephanie Shih vive a Carroll Gardens ma a Sunset Park si sente a casa. La sua arte sta nel replicare gli elementi fondamentali della cucina, quelli che si vedono quotidianamente nei market. Ceramiche che hanno appassionato gli asiatici americani. Nell’autunno scorso Stephanie si era spesa in prima persona per il quartiere cercando di invogliare con le sue “dritte” a frequentarne i locali, a scoprirne le ricette. Lo aveva fatto per l’online Resy, ma nemmeno il suo contributo è bastato: oggi la maggior parte dei tavoli è ancora parzialmente vuota.