Si sono dati appuntamento in quasi un migliaio nella piazza di Union Square per correre, protestare contro il razzismo e siglare un nuovo patto di solidarietà. La chiamata a raccolta girava sui canali social già da qualche giorno, ancora prima degli omicidi di Atlanta della settimana scorsa.
“Black & Asian Solidarity – Nel bel mezzo di un crescente razzismo contro gli Asiatici, dobbiamo superare nazionalismi reazionari, avere un dialogo aperto attorno alla storia delle nostre tensioni e ristabilire l’importanza della nostra alleanza interculturale – Domenica 21 marzo @ 10AM – Distanza: 5km rispettando il distanziamento sociale”.
Il pretesto era una gara di corsa ma, come spiega Coffey Boy, attore e filmaker, nonché principale organizzatore della manifestazione: “Questo non è un evento. È una protesta. ‘Running To Protest’ sono corridori che condividono una cosa in comune: combattere contro il razzismo”.
Union Square è la stessa piazza in cui si è tenuta la prima parata delle suffragette nel 1908. Ha avuto un ruolo centrale nelle proteste contro la Guerra in Vietnam alla fine degli anni ’60. Fino ad arrivare alle manifestazioni scoppiate un anno fa dopo l’omicidio di George Floyd. Union Square è uno degli spazi preferiti per coloro che manifestano contro lo status quo, e lo status dell’odio in America non sembra essere per niente positivo.
“Stop AAPI Hate” – l’associazione nata dopo lo scoppio della pandemia per tracciare e analizzare gli incidenti di odio contro gli Asiatici Americani e gli abitanti delle Isole del Pacifico – da marzo 2020 a febbraio 2021 ha ricevuto 3.795 segnalazioni. Più di cento ogni giorno. Circa il 70% riguarda molestie verbali. Una segnalazione dalla Pennsylvania racconta come una donna è stata aggredita mentre camminava al supermercato: un uomo le ha urlato: “Questa pandemia non sarebbe successa se fossi rimasta nel tuo paese al quale appartieni, you ch*nk. Hai portato qui il virus di proposito”.
Gli stati dove si sono registrate più segnalazioni sono la California e New York. Una segnalazione da Brooklyn riportava: “Un uomo bianco mi ha fischiato, poi mi ha seguito con aggressività lungo l’isolato, fino ad arrivare a qualche centimetro dalla mia faccia per urlarmi ‘Ch*nk!’ e ‘C*nt!’ una volta che aveva realizzato che ero Asiatica. Molti vicini erano fuori dalle loro case e non sono intervenuti”.
La terza categoria di segnalazioni più numerosa è l’aggressione fisica (11%). Per fare un altro esempio recente, il 18 febbraio, nel Queens, un uomo è stato arrestato dopo che è stato ripreso dalle telecamere mentre insultava e aggrediva una donna asiatica di 52 anni. La vittima è caduta a terra e le sono stati riportati 10 punti di sutura sulla fronte.
Sempre dai dati raccolti da “Stop AAPI Hate” risulta che le donne sono due volte più colpite rispetto agli uomini, che la comunità presa maggiormente di mira è quella Cinese e che gli episodi avvengono per la maggior parte in luoghi pubblici (nei negozi, per strada, nei parchi pubblici).
La narrativa trumpista del virus cinese non ha certamente contribuito a far diminuire le aggressioni. Erika Lee, autore di “America of Americans: a History of Xenofobia in the United States”, in un intervento alla New York Public Library ha dichiarato: “Questa retorica della colpa cinese e dei cinesi è decollata. Ci parla di come ci mettiamo contro l’un l’altro e di come abbiamo facilmente ridato vita a vecchi stereotipi anti cinesi che sono stati con noi sin dall’inizio dell’immigrazione cinese negli Stati Uniti d’America”.
Ma l’evento più recente che ha sconvolto l’opinione pubblica americana sul tema del razzismo asiatico è stata la sparatoria di Atlanta, in Georgia, avvenuta nella notte di martedì 16 marzo. Un uomo, Aaron Long ha aperto il fuoco all’interno di tre negozi di manicure ed estetica uccidendo 8 persone, delle quali 6 donne asiatiche.
Il Presidente Joe Biden, in occasione di una sua visita ad Atlanta per commemorare le vittime, ha dichiarato: “L’odio e la violenza spesso si nascondono in bella vista. E spesso incontrano il silenzio. Questo è stato vero durante la storia Americana. Ma si deve cambiare. Perché il nostro silenzio è connivenza. Non possiamo essere complici. Dobbiamo denunciare. Dobbiamo agire”.
Dall’altra parte, il vice sceriffo di Cherokee County, uno dei luoghi degli attacchi, è stato rimosso dal caso dopo essere stato criticato per aver detto che il sospettato negli attacchi aveva avuto “a really bad day” (una giornata davvero difficile), e per aver pubblicato posts anti asiatici su Facebook l’anno scorso.
Ma i leader della manifestazione di Union Square non accettano quest’ultima narrativa. Non possono accettare che quest’ultimi omicidi siano degradati ad un atto di una persona con problemi mentali. Denunciano la sparatoria come l’ennesimo sanguinario atto di razzismo e lanciano un appello per unire le forze. “Quello che possiamo fare oggi è aprire un dialogo – dice Coffey Boy – riconoscere ed essere sicuri che qui a New York, domani e ogni giorno che seguirà sarà un giorno migliore. Perché quando oggi lasceremo questa piazza saremo d’accordo di condividere un terreno comune insieme. Non solo come comunità asiatica. Non solo come comunità afro-americana. Ma come AMERICANI”.
Dopo circa due ore di comizi, in cui si danno il cambio diversi membri della comunità asiatica e afro-americana – tra cui anche il senatore dello stato di New York, John C. Liu – la protesta corre in direzione del Columbus Park, nel bel mezzo di China Town. Nel campo da basket del parco affollato dai manifestanti sale sul palco anche Andrew Yang, candidato a ricoprire il suolo di Sindaco di New York alle prossime elezioni, che si terranno il 22 giugno.
Correre diventa una forma di protesta pacifica. La fondatrice di China Town Runners spiega che l’obiettivo del suo movimento è quello di “avvicinare le persone che vivono in aree sottoservite, dimenticate e particolarmente colpite. Specialmente adesso che dobbiamo sopportare xenofobia, razzismo e difficoltà economiche. Dobbiamo affrontare questa oscurità in maniera radicale con empatia e amore”. La prima corsa di China Town Runners è avvenuta 13 marzo a New York, contemporaneamente con altre corse di solidarietà organizzate a Boston, Filadelfia, Toronto, San Francisco e Amsterdam. Ma la primavera è appena iniziata e le corse sono solo iniziate.