Premetto che dal mio arrivo negli Stati Uniti, circa 30 anni fa, non ho sviluppato nessuna simpatia o curiosità per la festa di Halloween. D’altronde non mi piacciono i film dell’orrore, con vampiri, fantasmi e mostri e quando, per caso ne vedo qualche pezzo in televisione, per diverse notti ho seri problemi ad addormentarmi. Passati i dieci anni di età costumi e travestimenti hanno smesso di divertirmi e anche le feste di carnevale in Italia mi sembravano noiose e prive di senso.
A New York poi la mia assoluta indifferenza per Halloween si è trasformata, nel corso degli anni, in una vera e propria avversione, anche perché abito e lavoro nel cuore del Greenwich Village, dove ogni anno si svolge la più famosa e scatenata parata per celebrare la festa, con dozzine di carri allegorici, più di cinquantamila persone in costume che sfilano a gruppi o individualmente, e decine di postazioni TV che trasmettono in diretta a milioni di spettatori. E, di conseguenza, stazioni della metro chiuse, posti di polizia che impediscono di attraversare la strada e, soprattutto un’umanità bizzarra e normalmente nascosta che in quella notte viene esibita sfrontatamente e senza censure.
La cosa che mi ha colpito di più in questi anni, però, è stato il progressivo diffondersi in Italia delle tradizioni anglosassoni legate alla celebrazione di questa festa. Grazie ai film, ai cartoni animati e ai fumetti americani, gli italiani hanno imparato da tempo cos’è il “trick or treat”, tradotto addirittura in rima con “scherzetto o dolcetto?”. E, ovviamente, con quella ingenua esterofilia che ci contraddistingue, abbiamo prontamente e diligentemente adottato la festa con i suoi riti, le sue maschere e la sua componente commerciale. Non sempre la transizione culturale ha funzionato, soprattutto per le persone più anziani, come gli ospiti di una casa di riposo che vedendo gruppi di bambini in costume lontano dal carnevale, hanno domandato che festa fosse. Alla fine hanno concluso che doveva essere la “festa adl’Aulin”, il noto anti infiammatorio al quale tutti indistintamente sono devoti.
Le origini di Halloween sono incerte e se molti studiosi la collegano a feste celtiche o romane, pare che sia dall’VIII secolo che viene celebrata soprattutto in Scozia ed Irlanda con modalità simili a quelle attuali. All Hallows Eve, questa l’espressione che, storpiata, ha dato il nome alla festa vuol dire Vigilia di Ognissanti, e proprio in questa notte e per i due giorni successivi si celebravano funzioni, veglie di preghiera nei cimiteri e nelle chiese e si mangiavano cibi speciali, spesso lasciati sul tavolo o portati sulle tombe affinché anche i defunti una volta all’anno potessero godere della dolcezza della vita terrena. La tradizione di mascherarsi derivava forse da gruppi di poveri che si impegnavano a pregare per i morti della famiglia in cambio di qualche leccornia.
A partire dagli anni ’70 molti gruppi cristiani integralisti mettono in guardia i loro fedeli (e i loro bambini) dal pericolo che gli innocenti scherzi e travestimenti di Halloween nascondano in realtà pratiche e culti satanici. Anche in Italia, ambienti cattolici ultraconservatori hanno espresso gli stessi timori. Dopo quello che ho confessato all’inizio di questo articolo penso di non potere essere scambiato per un fautore di questa festa, ma i timori e le paure che vorrebbero bandirla mi sembrano ancora più sciocchi degli scherzetti che vorrebbero censurare. Non mi troverete su qualche carro della parata stasera al Village, ma se parlare di questa festa ai bambini permette di fargli conoscere tradizioni di altri paesi che mescolano radici pagane e pratiche cristiane, ben venga anche Halloween, con le zucche intagliate a teschio. Sempre che la polpa non venga buttata, ma usata per un bel risotto o il ripieno dei tortelli mantovani.