L’ultima volta che sono entrata nella biblioteca del quartiere milanese di Porta Venezia, un paio di lettori erano concentrati sulle loro pagine e, nel contempo, stringevano tra le loro gambe sacchetti logori da cui fuoriuscivano pezzi di vita: scarpe, un cappotto, cibo.
New York, ultimo piano della libreria Barnes and Noble, Union Square. Questo è il piano delle riviste, e qui c’è anche il bar con le grandi finestre che si affacciano sul mercato della piazza.
Chi sono questi lettori? Cercano un luogo in cui potersi riparare dalla pioggia, o sono lettori che si sottraggono alla vita di strada per studiare, evadere tra le parole, informarsi su quello che accade nel mondo? Tra le loro mani carta di quotidiani, ma anche riviste di moda e musica, libroni e magazine di storia. Ricordo che, ancora a New York, una donna minuta con un foulard rosa che le fasciava la testa teneva tra le dita un volume spesso di cui non ho potuto scorgere il titolo. Con la mano sinistra trascinava un carrello. E ho pensato alla città, a tutte le città, le città che lasciano in strada donne e uomini.
Maglioni vistosi su un marciapiede e poi, improvvisamente, sacchetti sfatti che nascondono chissà quale palandrana.
Uomini che, forse, stanno morendo ma continuano a leggere.
Oriana Fallaci, in una sua testimonianza su New York e i suoi abitanti, racconta di questi morti non ancora morti del tutto. Racconta di chi guarda fugacemente il moribondo e passa dritto. È male questo? Non è detto che il silenzio sia mancanza di pietà, forse. Quel silenzio, quel passare avanti, potrebbe essere una forma superiore di pietà.
Io non so dare una risposta. Di certo, ho sempre pensato che chi ha ancora bisogno di curiosare tra le vite degli altri, chi vuol vedere una nuova frase, imparare un nuovo vocabolo, entrare dentro una storia, è ancora fortemente, visceralmente legato a questo mondo, presente in questa terra.