4th Avenue, Brooklyn. Sono in attesa che il semaforo mi autorizzi ad attraversare la strada. Non ci sono macchine, vedo, e chi mi sta accanto va, va ancora prima che la luce rossa diventi bianca. Così ne imparo un’altra, imparo che qui puoi trovarti nei guai se cammini con una birra in mano, ma nessuno ti farà notare di avere infranto una regola se attraversi la strada quando sei tu a decidere qual è il momento giusto per andare.
La gente, tanta gente. Qualcuno mi saluta tra le strade alberate di Park Slope, tra Union e Carroll street, qualcun altro mi guarda e basta, oppure ci sono quelli concentrati sul loro piccolo giardino e quelli che tengono in braccio un cagnolino. Una signora mi dice che ama il mio vestito colorato.
La strada, le strade.
A Union Square ho visto delle mamme osservare i loro figli che giocano a scacchi con degli anziani, esperti sfidanti. A Thompson Square i giocatori mi sono sembrati più rilassati, a volte strafatti. Non hanno bambini a cui badare, e la vita di strada è veramente nella strada: in inverno, col freddo, nelle fermate anguste e opache di alcune subway, in estate, nei parchi rigogliosi abitati dagli scoiattoli.
New York costa, ma la musica è gratis tra le panchine del Central Park o tra quelle di Washington Square, quelle panchine che occupo con chi mi chiede se può sedersi accanto a me.
Pittori, musicisti… Poi vedo che loro, gli artisti, magari se ne restano in giro, passano la notte sotto le stelle e tra le silhouette dei palazzi illuminati. Alcuni, col caldo, fanno così. Su queste vite è normale poi porsi delle domande: chi sono, da dove vengono. Alla fine anch’io mi sento scrutata, qui più che altrove e, nel bene e nel male, so che sono in molti a farsi un’idea di me pur non conoscendomi affatto.
Più che in qualsiasi altro luogo al mondo, a New York ho visto che mostrarsi è importante. L’accento con cui moduli la tua lingua, il tono della voce, il modo in cui porti i capelli fanno di te un individuo che si distingue dagli altri. I capelli: intrecciati, crespi e neri o biondissimi e lisci, color dell’oro su pelle nerissima o rosso fuoco. Giudicare sulla base dell’apparenza? Qui si fa ed è normale. Ma, apparenza a parte, i nomi e le radici di New York nascono da una moltitudine di semi. Leggo di Alexandria Ocasio-Cortez, giovane attivista socialista di origine latino Americana che da queste parti piace sempre di più. E ci sono gli altri della politica di cui si vedono le facce sui giornali: Nancy Pelosi naturalmente e, da Brooklyn, il faccione del democratico Frank Seddio. Dalla strada, alle poltrone… dalle poltrone, alla strada. Abbandono il giornale e mi rinfilo nella subway. NYC scritta sui cappelli, NYC scritta sulle magliette. Sono gli stessi New Yorkers a vestirsi in questo modo, loro che amano anche col corpo la loro città. La amano tanto da volerla persino indossare, cosiì come fa Donovan che d’estate vende succhi di arancia al Central park mentre danza al suono di tamburi africani, e d’inverno ripara computer.