A una decina di giorni dalla presentazione del budget dello Stato di New York, in cui il governatore Andrew Cuomo ha, secondo addetti ai lavori e analyst, voluto umiliare politicamente la gestione del sindaco Bill de Blasio, le scaramucce in salsa italo-americana a New York proseguono senza sosta. E gli orizzonti sono due. Da una parte le elezioni del prossimo autunno, in cui Andrew Cuomo cerca la terza riconferma come governatore e sta affrontando per le primarie dei Democratici Cynthia Nixon, l’attrice di Sex and The City autrice di una campagna elettorale fin qui pepata e ben preparata. Dall’altra parte le Presidenziali 2020, per le quali all’interno dei Dem americani, ancora profondamente divisi, le voci continuano a rincorrersi senza certezze. E per le quali lo stesso Cuomo viene considerato come uno dei tanti papabili candidati.

Nel mezzo, le polemiche. Tante polemiche. Spesso futili e fini a sé stesse. Polemiche sul budget, appunto. Polemiche sulla gestione, disastrosa, di una metropolitana alle prese con la più grave crisi degli ultimi dieci anni. Una vera e propria vergogna per una città che si considera capitale del mondo. Polemiche persino sulle primarie newyorkesi: c’è infatti chi, nell’entourage del governatore Andrew Cuomo, vede la candidatura di Nixon, vicina al sindaco Bill de Blasio, come un’azione di disturbo fatta di proposito per costringere l’attuale governatore ad esporsi troppo, e per macchiare così la sua corsa al treno delle Presidenziali del 2020.

Ma nel mezzo c’è anche una città, uno stato, che continuano a vivere la loro quotidianità senza pensare più di tanto ai litigi dei due amministratori. C’è anche una comunità, quella italo-americana, che sembra metà disinteressata e metà leggermente preoccupata di scaramucce che rischiano di far venire meno ciò che conta di più: le risorse delle persone, quelle degli imprenditori, quelle del commercio. E nel mezzo c’è anche un monito, singolare, emerso dalle parole di un commerciante, David Greco, della Little Italy del Bronx. Little Italy nella quale abbiamo camminato in su e in giù, in lungo e in largo, un lunedì mattina come tanti altri. Il monito? Seguire la regola delle 3 C: cervello, cuore e…cogl***i.
Sì, avete letto bene. Ma andiamo con ordine. La miccia, perennemente accesa, ha preso il fuoco con la presentazione del budget dello Stato di New York il 30 marzo 2018. Un budget in cui il governatore ha annunciato pesanti misure su questioni relative alla città di New York, amministrata da de Blasio, fresco di riconferma. Cinque i punti su cui Andrew Cuomo ha promesso di calcare la mano e sulle quali si prospettano scintille. In primis, un piano molto aggressivo per aumentare la supervisione sul sistema scolastico pubblico, controllato dalla città. In secondo luogo, un pacchetto da 250 milioni di dollari destinato alla Nycha, l’autorità newyorkese per l’edilizia popolare, con l’obiettivo di salvarla dal “deterioramento della città”. In terzo luogo, l’affermazione da parte dello Stato e di New York del proprio “diritto legale” di intervento, sullo sviluppo di una zona di Manhattan a Midtown, vicina a Penn Station. Un’area ritenuta pericolosa e vulnerabile agli attacchi terroristici e sulla quale si crede che il lavoro svolto dalla città non sia sufficiente. Quarto aspetto caldo, la chiusura dell’isola di Rikers, la prigione degli orrori, abbandonata, della città di New York, per il quale il sindaco de Blasio ha previsto un calendario di lavori su cui il governatore Cuomo, nel suo budget, ha fatto trasparire piena contrarietà.

E infine ultimo, ma non meno importante, proprio il punto dolente della metropolitana: lo Stato di New York a guida Cuomo, infatti, ha inserito una direttiva per costringere la città di New York a pagare 418 milioni di dollari per le riparazioni più urgenti della Subway. Una misura che Bill de Blasio ha rispedito al mittente, in quanto la società MTA appartiene allo Stato di New York, e non alla città. Una misura che, con le altre, provocherà più di una frizione tra i due. Ne inclinerà i rapporti, già precari. Ne peggiorerà gli equilibri. Il governatore ha chiarito che non sono misure contro de Blasio, ma a favore dei problemi evidenti, e ancora irrisolti, della città. Ma l’entourage del sindaco ha precisato che quella di Cuomo per de Blasio non è altro che “un’ossessione grande”, e significa che “l’obiettivo del governatore è di aggiungere burocrazia e di rallentare i nostri sforzi di intervento sulle scuole e nelle riforme”.

Che governatore e sindaco di New York siano in costante contrasto non è una novità. Anche se entrambi hanno lo stesso colore politico, le due figure istituzionali sono storicamente l’una in contrapposizione all’altra. È successo anche tra due repubblicani come Rudy Giuliani, sindaco di New York dal 1994 al 2001, e George Pataki, governatore di New York dal 1995 al 2006. Più di una volta non mancarono scaramucce e polemiche tra i due. Ma mai, forse, raggiungendo i livelli di Bill de Blasio ed Andrew Cuomo oggi, due figure unite solamente dalla loro origine italo-americana.
Che le tensioni ci siano e siano sentite, del resto, lo si percepisce anche dai due press office che curano le relazioni con i giornalisti. Abbiamo inseguito per più di una settimana sia l’ufficio del Governatore Andrew Cuomo, che quello del Sindaco Bill de Blasio, per avere risposta a due domande: “A inizio mandato credeva che la radice italo-americana condivisa avrebbe reso i rapporti più facili?” e “Cosa dovrebbe fare il sindaco per il governatore e il governatore per il sindaco per migliorare la relazione istituzionale e renderla più utile ai bisogni della città e ai bisogni della comunità italo-americana di New York?”. Abbiamo ricevuto repliche vaghe alle mail e alle telefonate fino all’ultimo, senza mai avere risposte ufficiali.

Se i press office rimangono a bocca cucita, però, le persone continuano a dire quello che pensano. Andrew Cuomo è originario del Queens. Bill de Blasio legato a Brooklyn. Abbiamo deciso di recarci quindi in campo neutro per dare voce a chi spesso non ha voce: abbiamo passeggiato per la Little Italy del Bronx, lungo Arthur Avenue, per chiedere agli italo-americani che cosa ne pensassero. Secondo loro è meglio Andrew o meglio Bill? La risposta è che grosso modo a nessuno sembra interessare decretarlo.
La Little Italy del Bronx è da decenni un punto di riferimento della comunità italo-americana di New York. Il paradosso è che, nonostante abbia mantenuto molto di più la propria originalità rispetto alla Little Italy di Manhattan, sia meno conosciuta dai turisti. Un po’, anche complice le distanze da Midtown Manhattan: Arthur Avenue infatti, crocevia di questa singolare Little Italy, si trova a Belmont, all’altezza della 187esima strada. Lungo il suo reticolato di vie, generazioni di famiglie italiane sono cresciute a New York, portando le tradizioni culinarie e culturali del Belpaese negli Stati Uniti. In questo quartiere, hanno vissuto la loro adolescenza giovanissimi attori come Chazz Palminteri e Joe Pesci, “scoperto” da Robert De Nino in un ristorante mentre lavorava come cameriere. E questa Little Italy è stata scelta per anni da celebrità come Frank Sinatra, Clint Eastwood, Liza Minelli e Cher per le loro cene “italiane” lontane dagli occhi indiscreti della Broadway di Manhattan.

Oggi il cuore pulsante di Arthur Avenue è il Retail Market, al numero 2344. Un bazar italiano, all’italiana. Uno spazio di proprietà della città, pensato e fondato dall’ex sindaco di New York Fiorello LaGuardia. È proprio qui, che siamo entrati a chiedere di de Blasio e Cuomo ai commercianti. A quelli storici, ma anche a quelli meno storici. E la sensazione che è emersa è che ci sia del disinteresse generalizzato sia verso il governatore che verso il sindaco di oggi. “Credo che alla gente non importi poi molto, sai?” racconta a La Voce di New York Richard Liberatore, nato e cresciuto nella Little Italy del Bronx. Classe ’55, con uno stand famoso di piante importate dall’Italia, “Liberatore’s Garden”, all’interno del bazar, Richard spiega: “Mio papà arrivò qui dal sud Italia e aprì nel 1936 la sua attività: da allora ci siamo stabiliti e non abbiamo più lasciato il quartiere”.

Sulle scaramucce tra Andrew Cuomo e Bill de Blasio, Richard racconta: “Io non mi espongo né per l’uno né per l’altro: credo che Little Italy qui non sia come una volta quando ero piccolo io. Allora, ogni giorno era una festa. Ma penso anche che nessuno dei due politici possa farci molto. Oggi non è più così, succede”.
È camminando per le bancarelle dell’Arthur Avenue Retail Market, che ci imbattiamo nello stand di David Greco, “Mike’s Deli”, e nelle sue “tre C”. Suo papà, Michele Greco, è nato in provincia di Cosenza e si è trasferito a New York nel 1947. David, classe ’65, gestisce oggi l’attività che lui stesso ha aiutato a far crescere: tra prodotti italiani di altissima qualità, tra salumi e forme di Auricchio appese nello stand, tra pastasciutta artigianale e pane fresco in esposizione. David ha portato la sua pasta al dente un po’ ovunque, negli Stati Uniti, anche a New Orleans. E ci mostra con orgoglio due cose. I suoi prodotti e l’affetto dei suoi clienti che vanno e vengono, da una parte. E il suo album di foto, dove troviamo quelle di papà Michele da giovane e da meno giovane, dall’altra.

E non solo quelle del papà. “Ecco, vedi, qui ero con Andrew Cuomo”, ci indica con il dito. “Qui invece quando chiacchierai tre ore con Bill de Blasio e gli feci provare il sandwich Trump, qualche mese fa”, continua. A lui, dei litigi tra i due non interessa: “Credo che si debba pensare alla valorizzazione dell’eredità culturale italiana a New York, credo che l’essere uniti sia più importante che l’essere divisi”, ci dice un po’ in italiano e un po’ in americano, David. Che rivendica con orgoglio di “lavorare 7 giorni su 7” ogni settimana per pagare “studi e assicurazione sanitaria ai miei figli e alla mia famiglia”. Di aver fatto, nella sua vita, anche una “mega-torta salata di compleanno per Robert de Niro”. E di aver ricevuto un’educazione basata su due lettere. La regola delle 3 C: “Me l’ha insegnata mio papà, che ancora oggi mi insegna tanto ogni giorno: le 3 C sono cervello, cuore e…coglioni”. E la regola delle 5 F: “Questa arriva mia mamma, americana ma follemente innamorata dell’Italia e della nostra cultura: le 5 F sono quelle di Family, Food, Friends, Fate, Forever”. E se dovesse dare un consiglio a governatore Cuomo e sindaco de Blasio, quale sceglierebbe? “Direi loro di seguire l’insegnamento di mio padre, quello delle 3 C: dobbiamo continuare a lavorare tanto”, ci dice con un sorriso David.
Tra i suoi clienti, mentre chiacchieriamo, si ferma a salutare la signora Maria Paone. Maria lavora nel New York Institute For Special Education, di proprietà dello Stato di New York, dove si prende cura di bambini ciechi o affetti da disabilità visive. È arrivata nella Big Apple nel 1972. Nata e cresciuta in Calabria, vicino a Soverato, è stata anche proprietaria di un bar a Lainate, alle porte di Milano, “quando ancora c’era la nebbia”.

Uno dei suoi figli vive tutt’oggi in Italia. E su Cuomo e de Blasio ha le idee chiare: “Cuomo, Cuomo. Non ho dubbi. Mi piace come governa e credo che ogni tanto sia necessario anche essere un po’ severi a costo di risultare antipatici”, ci dice con gli occhi che le sorridono, prima di correre al lavoro.
Proseguendo la passeggiata nel retail market, troviamo sulla nostra strada un ragazzo che parla in romano: Francesco. Originario della Calabria, vive a New York dal 2016. Oggi di anni ne ha 31 e ci indica una preferenza “indiretta” verso Bill de Blasio: “Non ne so molto sai: non seguo tanto la politica della città o dello stato. Ho letto il programma della Nixon per la sua corsa a governatrice e quel che ho letto non mi è dispiaciuto”. Come risaputo, Nixon e de Blasio sono considerati molto vicini politicamente: “Credo quindi che potrei essere più dalla parte di de Blasio che per quella di Cuomo, ma non voglio giudicare cose che non conosco bene”.
Dal lato opposto dello stand di David Greco, c’è invece uno stand specializzato nella pasta artigianale e nell’importazione in America di oli italiani, il Mount Carmel Gourmet Food Shop. Carmela e Francesca (nomi di fantasia), originarie di Salerno, sono qui dal 1980 dopo il terremoto che ha scosso l’Irpinia: “Devo a questo Paese tutto: ha salvato i nostri destini e dato un’opportunità a noi e ai nostri figli”, ci dicono. “Ma di de Blasio e Cuomo siamo abbastanza disinteressate, non abbiamo molto da dire a riguardo. La nostra sensazione è che litighino per ragioni personali”.

Uscendo dall’Arthur Avenue Retail Market, sulla Little Italy del Bronx si continua a lavorare. E anche al di fuori del market principale, nei singoli negozi, non cambiano le posizioni. Parliamo con italo-americani e con american-italiani, in più di un negozio: dal Calabria Pork Store ad Addeo Sons Bakery, dal Caffè Egidio al Biancardi’s Meats-Pork Products-Poultry, fino al Calandra’s Shop. In tanti non ci vogliono dire il loro nome. Ma molti commentano. E ci fanno capire che, Cuomo o de Blasio che sia, loro comunque continueranno le loro vite senza farci troppo caso o troppo peso.
Carlo Carciotto ad esempio, proprietario del negozio “Casa della Mozzarella” tra Arthur Avenue e la 187th St, vive a New York da 31 anni. Nel 1993 ha avviato la sua attività commerciale. Oggi di anni ne ha 59 e dice di non sentire “grosse vibrazioni su de Blasio e Cuomo. Non mi interesso molto di loro anche se certo seguo le notizie in radio o sui giornali”. Vede una New York peggiore rispetto al passato: “Ho sempre vissuto tra Bronx e Westchester, e quando vado a Midtown Manhattan vedo una città sempre in calando: con le buche, con la metro che non funziona. Se dovessi dirti un politico che rimpiango, ti direi piuttosto Giuliani: quando era sindaco lui, si notava una maggiore attenzione ai particolari della nostra città e ai suoi problemi e le criticità si risolvevano”, conclude Carlo. “Oggi no”.

E se Carlo Carciotto rimpiange Giuliani, Tonino, nome vero di un anziano immigrato nel Bronx trent’anni fa, che ci chiede di non dire né dove lo abbiamo incontrato, né di rivelare il suo nome e cognome per esteso, beh, Tonino ha le idee più chiare: “Cuomo, più di de Blasio”. E perché? “Perché Cuomo è più italiano-italo-americano di de Blasio, lo è di più. Una generazione in più. Quindi è meglio lui”. Almeno che, forse, l’altro non tiri fuori le “tre C”. O che magari lo facciano entrambi, smettendo una volta per tutte di litigare per nulla.