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Ialongo al Calandra: la paura del diverso? In Italia c’è sempre stata

Intervista al professor Ernest Ialongo, che a New York ha presentato i suoi studi sulla persecuzione dei "diversi" nella penisola, dalla sua unificazione

Gianna PontecorbolibyGianna Pontecorboli
Ialongo al Calandra: la paura del diverso? In Italia c’è sempre stata

Ernest Ialongo, durante l'incontro al Calandra (Foto: Siân Gibby, John D. Calandra Italian American Institute, Queens College)

Time: 4 mins read

“C’è stato un tempo nella letteratura storica in cui si sosteneva che non c’è mai stato antisemitismo in Italia e che è stato solo una conseguenza dell’alleanza coi nazisti. C’è stato un tempo in cui si credeva che gli italiani fossero in larga maggioranza contrari alle leggi razziali. C’è stato un tempo in cui si credeva che la Chiesa, il papa e molti alti prelati avessero attivamente resistito alla persecuzione degli ebrei. Infine si è creduto a lungo che quando i nazisti occuparono l’Italia nel 1943, fossero loro i soli responsabili degli arresti e delle deportazioni. Adesso, si sa che tutto questo non è vero”

La prima pagina del Corriere della Sera, dopo la promulgazione delle leggi razziali nell’Italia fascista, nel 1938

Queste le premesse con cui Ernest Ialongo ha presentato al John Calandra Italian American Institute della City University di New York  i risultati dei suoi studi sulla persecuzione dei ‘’diversi’’, non solo ebrei, dopo l’unificazione dell’Italia. Un discorso che ha ovviamente ramificazioni profonde e un impatto preoccupante sul panorama di oggi. A Ialongo, che è professore associato di Storia all’Hostos Cummunity College della City University di New York e dirige un seminario di Studi sull’Italia Moderna alla Columbia University, La Voce di New York ha fatto alcune domande.

Ernest Ialongo (Foto di Josef Timar)

Professor Ialongo, ci vuol spiegare perché è totalmente cambiata la percezione del ruolo dell’Italia e degli italiani, Chiesa compresa, nei confronti dell’antisemitismo?

“Gli ultimi studi storici hanno mostrato che c’era antisemitismo in Italia anche prima delle leggi razziali e che Mussolini era lui stesso antisemita, anche se non lo aveva mostrato apertamente all’inizio della sua carriera. Diversi storici, da parte loro, hanno accertato che papa Pio XII non fece tutto quello che si credeva per resistere, mentre altri hanno mostrato che quando furono emanate le leggi razziali la maggioranza della popolazione rimase indifferente. Non ci fu una resistenza significativa, ci fu accettazione. Infine, altri ricercatori hanno dimostrato che durante l’occupazione tedesca la polizia italiana fu coinvolta negli arresti e che consegnò gli arrestati ai tedeschi.

In conclusione, a partire dagli anni ’80 è stato fatto molto lavoro di ricerca sulla persecuzione degli ebrei in Italia e il risultato di quegli studi è stato di mostrare quanto severa sia stata la persecuzione, quanto sia stata importante per il fascismo, e quanto sia falso il mito degli ‘italiani brava gente’”.

Durante la sua presentazione al Calandra Institute, lei ha parlato di un progetto di studio più ampio. Di che cosa si tratta?

“La mia tesi, ora che sappiamo questo, è che Mussolini puntò il dito sugli ebrei, italiani e stranieri, con uno scopo preciso, quello di unificare il paese indicando un nemico interno. Ci sono stati altri periodi nella storia italiana dopo l’unificazione in cui si è identificato un ‘’pericolo” interno, che il governo aveva il dovere di ‘’sradicare’’. E questo aveva l’obbiettivo di unificare paese e contemporaneamente distogliere l’attenzione dai problemi che lo dividevano come le differenze tra nord e sud, tra ricchi e poveri, destra e sinistra, Chiesa e Stato. C’è una tradizione di preoccupazione per la saldezza del paese, per la sua unità, lungo tutta la storia dell’Italia moderna. E una delle soluzioni è sempre stata quella di focalizzare l’attenzione della gente lontano da queste divisioni e verso il nemico, interno o esterno. Per conto mio, tutto è cominciato già attorno al 1860, con gli attacchi contro i briganti o e continuato con gli attacchi   contro gli anarchici del 1870 e poi contro i fasci siciliani, i movimenti dei lavoratori di ispirazione socialista, nel 1890. E se guardiamo alla politica contemporanea, a Silvio Berlusconi, a Casa Pound, ai Fratelli d’Italia, tutti usano la stessa lingua che fu usata durante il fascismo e ancor prima da Agostino Depetris e Francesco Crispi quando furono primi ministri alla fine dell’800. L’idea è che c’è un nemico all’interno del paese che richiede di unirsi per distruggerlo. Il mio progetto è di fare uno studio per dimostrare che c’è stato un lungo percorso che non si è mai interrotto, indipendentemente dal fatto che il ‘’nemico’’ potesse essere pericoloso come i briganti o non pericoloso come gli ebrei.

In un certo senso, questo ha riguardato anche i meridionali. Non mi sono occupato a fondo di questo argomento, ma se guardiamo ai successi della Lega Nord, c’è sicuramente la sensazione che i meridionali non fanno parte della ‘’buona Italia’’ e questo è solo la continuazione di quello che succedeva alla fine del 1.800. La percezione che siano ‘’poco salutari’’ e quindi pericolosi per il paese continua a esistere”.

Ernest Ialongo, durante l’incontro al Calandra (Foto: Siân Gibby, John D. Calandra Italian American Institute, Queens College)

La persecuzione degli anarchici e quella degli ebrei. Quali sono stati i punti in comune e soprattutto le differenze?

“Ci sono ovviamente delle profonde differenze tra i diversi casi che sto esaminando. I pericoli rappresentati dagli anarchici, dai briganti o dai fasci siciliani sono totalmente diversi tra di loro.  E non è che gli ebrei fossero pericolosi per lo stato italiano. La questione è che quando lo stato italiano ha attaccato gli anarchici, i briganti, i fasci siciliani o gli ebrei lo ha fatto con lo stesso linguaggio, ha usato parole simili per giustificare il fatto di usare ogni mezzo necessario per eliminare quella che percepiva come una minaccia alla nazione. Non si accusano gli ebrei di essere pericolosi come lo erano stati i briganti, ma li si descrive con lo stesso linguaggio, li si marginalizza, si tolgono loro i diritti, si trova un argomento che giustifichi lo stato per il fatto di combatterli.

Con i briganti, lo scopo era di eliminarli, ed è stato fatto e lo stesso è accaduto con i fasci siciliani e gli anarchici. Con gli ebrei, lo scopo era all’inizio poco chiaro, si parlava di scrutinarli ma non di perseguitarli, anche se c’era chi voleva ‘’risolvere questo problema sociale una volta per tutte “. Il risultato, indipendentemente dalle intenzioni del governo fascista nel 1938, è però stato di mettere le basi per la cattura e la deportazione.  La conseguenza della marginalizzazione e della propaganda è stata la facilità con cui i nazisti li hanno circondati e avviati ai campi di sterminio.

Quello che voglio dire, in sostanza, è che i risultati sono stati gli stessi”.

Parliamo del presente…

“Quello che trovo inquietante è che il modo in cui si descrivono gli africani, genericamente i musulmani o alcuni est europei, faccia riemergere il concetto di minaccia alla nazione e alla civilizzazione italiana, ne chieda l’allontanamento. È un linguaggio che ricorda quello del passato e quello che è pericoloso è che a usarlo non sono più solo pochi rappresentanti dell’estrema destra, ma anche esponenti del mondo politico più tradizionale. La Lega lo usa e Berlusconi, che è stato in passato alleato della Lega e potrebbe essere di nuovo un partner dopo le elezioni, ha già chiesto una massiccia deportazione. Questa gente, è il messaggio, rappresenta un pericolo, non potrà mai far parte della nazione. E la soluzione del problema, la storia insegna, non potrà essere che dura”.

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Gianna Pontecorboli

Gianna Pontecorboli

Genovese,laureata in storia economica, Gianna Pontecorboli ha una lunga carriera di corrispondente dagli Stati Uniti. Attualmente lavora per Il Corriere del Ticino e Lettera 22

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