“Sono stati 3000 giorni di Via Crucis, soprattutto per la mia famiglia più che per me, perché io sono sempre stato abituato alle situazioni difficili, alle amarezze, al dolore…”. Così, Guido Bertolaso, qualche giorno fa, parlando a Radio Radicale, appena assolto dal Tribunale di Roma perché il fatto non sussiste, nel processo cd G8-La Maddalena, svolto per lui sull’accusa di corruzione. Era stato già assolto pure a L’Aquila, imputato di omicidio colposo e altro, per i morti del terremoto (avrebbe “ispirato” la riunione del Comitato Grandi Rischi, colpevolmente “apredittiva” dell’evento).
Di solito sono i detenuti a contare il tempo a giorni. E anche questo processo G8 è stato a piede libero. Ma l’apparente singolarità del conteggio, presto svanisce nella immediatezza dolente di quel “Via crucis”. Frase fatta? “…quello che ho visto nelle aule del Tribunale, un giorno cercherò ovviamente di raccontarlo, perché è qualche cosa di inimmaginabile.”
“Inimmaginabile”, è quanto trascende le comuni facoltà ideative, proiettando l’uomo in una dimensione “altra”, aliena.
“…se uno non finisce in mezzo alle vicende della giustizia, non può avere neanche l’idea più lontana, di quali siano i problemi, di quali siano le difficoltà…quale sia l’umiliazione che chi viene imputato deve subire quotidianamente”. Una condizione tanto “indicibile”, che nemmeno le pur straordinarie esperienze, di chi fu a lungo “abituato alle situazioni difficili, alle amarezze, al dolore…”, riescono ad orientare. Sicchè, l’unico tramite fra l’imputato, e gli altri, che ignorano, o a stento sogguardano quella totale solitudine, rimane “l’umiliazione”.
Non il Processo come un terremoto, come un’inondazione, un naufragio, un incendio. Ma peggio. E’ la vita rubata, nelle forme algide di un agire funzionariale, che procede inesorabile, “andando…a massacrarmi come è successo…”. Io non c’entro; tu non c’entri; egli non c’entra; noi non c’entriamo: ma voi c’entrate, essi c’entrano. L’Ordine Giudiziario irresponsabile, spiegato in una coniugazione.
Analogamente, il processo-tortura pare una ridda di voci, che pure dovrebbero essere coro: e invece ciascuna è incurante dell’altra, e del risultato finale; segmenti che si occhieggiano, trasfigurati dal latinorum di “fasi e gradi”, ma in realtà, come tanti travet gelosi solo del loro opaco cantuccio, automodellati sul più vieto scaricabarile: le indagini, sul “primo grado”; questo, su quelli d’impugnazione; il “merito”, sulla “legittimità”; e questa, sul “giudizio di rinvio”; e su e giù, in una matassa micidiale, con il capo dell’impotente imputato a fare da improbabile bandolo.
Perciò, quand’anche arriva la sentenza di assoluzione, pure questa risulta staccata dal processo, alienata: appendice di registro, che, al più, può solo “prendere atto” del precedente massacro.
Qualche mese prima, a Panorama, aveva detto: “In aula, sembri un mascalzone. Perdi ogni dignità. Sei colpevole fin dal momento in cui t’arriva l’avviso di garanzia. Devi essere tu a dimostrare che sei innocente, non loro a dimostrare la tua colpevolezza” . Guido Bertolaso, ora in pensione, tornerà in Africa, dove già da qualche anno, in quanto medico, presta servizio di volontariato in un presidio sanitario per bambini.
Sorge un inarrestabile desiderio di distanza, in chi ha scoperto o riscoperto l’Italia attraverso i suoi sistemi processual-penale e giudiziario: nel loro complesso, uno degli Apparati più violenti e irriformabili, fra quelli dei Paesi cd avanzati. “Non credo che in nessuna parte al mondo si debbano aspettare otto anni per avere un giudizio di primo grado, colpevole o innocente che sia..”. Via, via. Come Ilaria Capua, altra “imputata” e assolta, di capacità e competenze superiori alla media, che se n’è andata (tornata anche lei), negli Stati Uniti. Non sono fuggiti; se ne sono andati, mestamente.
Dopo essere stati privati di ogni ragione per seguitare ad offrire la loro eccellenza, lì dove avevano pensato di poterla offrire. Metafore incarnate di una comunità politica e civile, che permette la grassazione istituzionale della libertà, della bravura, della dedizione al prossimo e alle sue speranze.
“In Italia non si può sopportare una realtà che funziona bene…è stata demolita una delle poche realtà che funzionava, la Protezione Civile nazionale…”. Qui Bertolaso commette l’unico errore: non “in Italia”, ma in talune sue aberrate espressioni.
Ma già aveva dovuto riconoscere, e suona precisazione: “magistratura e giornali, in tandem, mi hanno distrutto.” Ecco.