“Quello che è successo è un sintomo preoccupante del fatto che molte persone sono disinibite nei confronti della Shoah, ma in generale per quanto riguarda il rapporto con il razzismo e così via. E questo essere disinibiti è un sintomo a sua volta di un malessere di una società che non sta più tenendo”. Il rabbino a capo della comunità ebraica di Roma Riccardo Di Segni, a margine della presentazione del Talmud al Lincoln Ristorante di New York, martedì 24 ottobre, alla Voce di New York lo dice in modo chiaro: l’episodio degli adesivi di Anna Frank con la maglia della Roma, distribuiti da alcuni ultras (una quindicina, di cui uno di 13 anni) appartenenti alla curva della Lazio, non si può e non si deve sottovalutare. Per Di Segni, infatti, “quello che è successo è un sintomo allarmante”, forse legato al fatto che “chi rappresenta la società consolidata non riesca a risolvere i gravi problemi del Paese, come quello economico ad esempio”. Il che, secondo Di Segni, porta le persone a essere “scontente” e le “strutture base della società a rischiare di saltare”.

Quello che ci vorrebbe, fa intendere il rabbino di Roma, è più rispetto. Un concetto emerso più volte già nella giornata di lunedì 23 ottobre a Washington, durante la presentazione alla Library of Congress del Talmud, il corpus di leggi, usi e consuetudini ebraiche di origine millenaria. E ribadito dalla direttrice del “Progetto Traduzione Talmud Babilonese”, Clelia Piperno, in uno dei suoi interventi dal Lincoln Ristorante di New York, dove si è svolto un pranzo di presentazione newyorkese della traduzione in italiano del testo. Un progetto di traduzione enorme, che coinvolge oggi circa 90 persone in tutto il mondo tra ricercatori e traduttori, che ha visto il coordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri italiano e del MIUR, e che prevede la resa integrale in italiano del corpus (di più di 4mila pagine), in circa 30 volumi: “Quando mi chiedono come una donna possa gestire questo progetto, io rispondo dicendo che basta una sola parola: rispetto” ha detto Piperno nel suo intervento iniziale. “Rispetto per il lavoro che si fa, per la religione e per la cultura delle persone del mondo. Un rispetto che a sua volta viene ricambiato ogni giorno dalle persone con cui lavoro”, ha sottolineato la direttrice. Una figura che durante il pranzo, nella presentazione del progetto, è emersa particolarmente. Come quando ha precisato il processo relativo all’investimento economico: “Non ho e non abbiamo mai promesso di spendere un solo soldo in più di quello che eravamo sicuri di avere”, il che ha reso i passaggi del progetto più lunghi ma, forse, più stabili. O come quando, a La Voce di New York, ha precisato la sua vision del progetto di traduzione e del suo sviluppo nei prossimi cinque anni: “Come lo vedo da qui al 2022? Come un progetto che diventerà globale. Una metodologia globale di approccio ai temi dell’inclusione, che potrà essere applicato in tutte le situazioni nelle quali ci sarà bisogno di un colloquio o di un dialogo tra un mondo poco conosciuto e che quindi viene discriminato e ritenuto residuale, e una maggioranza che fatica a comprendere che fino all’altro ieri definivamo altro e che ora ha tanti nomi”. Un mondo in cui la tecnologia assume e si ritaglia un rapporto fondamentale: “Nessuno può sostituire il lavoro di un ricercatore, ma un software come quello che stiamo utilizzando, il Traduco, può aiutare quella ricerca e rendere concreta la volontà del ricercatore”.

Volontà che rappresenta una fonte primaria di interesse per i ricercatori coinvolti nella traduzione: “Vedendo tutte le difficoltà che abbiamo dovuto affrontare, possiamo dire ora che la macchina è stata messa in moto e questo è importante per tanti aspetti, sia dal punto di vista del software sia per quanto riguarda la coesione di questa scuola che si pone l’obiettivo di spiegare il Talmud”, ha detto il rabbino Di Segni a La Voce di New York. Che comunque rimane cauto per quanto riguarda il ruolo che potrà ritagliarsi lo stesso testo in futuro nel mondo: “Bisogna contestualizzare il Talmud, senza fare apologia, sena raccontare buguie. Bisogna conoscerne il pensiero e contestualizzarlo” ha spiegato. Precisando: “È di certo un documento che fotografa tutte le difficoltà di relazione, per questo nella storia è stato considerato come un testo da sconfiggere: bisogna andare contro questa corrente e per farlo il segreto è quello di avere buoni maestri capaci di spiegare”. Perché l’educazione, come aveva ribadito non a caso la stessa Clelia Piperno nel corso del pranzo, rimane oggi più di ieri un punto fermo per qualsiasi processo di conoscenza.

L’importanza del processo di conoscenza di questo testo, non a caso, è stata al centro anche del dibattito organizzato nel pomeriggio di martedì 24 ottobre presso la Casa Italiana Zerilli-Marimò della New York University. Un incontro introdotto da Natalia Indrimi, Executive Director of Centro Primo Levi, e aperto dal direttore della Casa Italiana NYU Stefano Albertini, che ha sottolineato l’importanza e “il privilegio di avere con noi i protagonisti di un progetto così importante”. Un progetto di traduzione di un testo profondo e complesso, che assume ancor più importanza “se consideriamo che la comunità ebraica in Italia è tra le più piccole in termini numerici rispetto ad altre parti del mondo, e credo che in questo contesto vada anche ricordato il lavoro compiuto dal Governo italiano che lo ha reso possibile”. La conversazione alla Casa Italiana ha visto tra i protagonisti Riccardo Di Segni, che ha spiegato l’iter del progetto, dalla firma del protocollo d’intesa del 2011, e il rabbino di New York, Adam Mintz: “L’incendio del 1553 è uno dei momenti più drammatici e importanti della storia di questo testo, ma credo che un altro episodio fondamentale arrivi prima di quella data e sia da ricercarsi nel giorno in cui il Talmud è stato stampato per la prima volta a Venezia, nel 1521” ha detto in uno dei suoi interventi. Il fatto che la stampa e la traduzione del testo arrivino in due momenti storici così lontani ma nello stesso Paese, infatti, rappresenta per il rabbino newyorkese “un ponte di continuità nella storia del Talmud”.