New York è una città in costante trasformazione. Gli edifici, i quartieri, le strade e gli scenari cambiano in continuazione, evolvendosi in maniere spesso inaspettate e stravaganti. Un esempio perfetto del dinamismo che caratterizza la Grande Mela è la trasformazione alla quale è andato incontro il quartiere di Bushwick, a nord di Brooklyn, confinante con Williamsburg e Greenpoint, che in pochi anni è passato dall’essere una zona industriale semi-abbandonata a cuore pulsante dell’atmosfera artistica newyorchese.
Bushwick ha iniziato a svilupparsi urbanisticamente a partire dalla metà del XIX secolo grazie all’afflusso di migliaia di immigrati tedeschi, tanto che la zona prese presto il nome di Little Germany. In quel momento videro la luce in un’area prettamente rurale varie chiese cattoliche e luterane, corredate da ristoranti tipici e numerose birrerie.
A inizio ‘900, poi, quando i collegamenti con Manhattan furono resi più efficienti grazie alla costruzione del famoso ponte di Brooklyn e l’estensione di molte linee metropolitane, Bushwick iniziò ad imporsi come quartiere importante a Brooklyn: nel periodo tra le due guerre mondiali la zona era popolare, pulita e sicura. Lo sviluppo proseguì fino all’oscura data dal 13 luglio 1977, quando un enorme blackout spense la città e infiammò, letteralmente, il quartiere. Case e negozi furono arsi dal fumo e dalle fiamme al punto che in seguito al nefasto evento molti esperti iniziarono ad esprimere seri dubbi sulla possibilità di ricostruire Bushwick, anche perché i residenti calarono dai 138.000 del periodo d’oro, negli anni ‘70, ai poco più di 90.000 nel decennio successivo. I prezzi crollarono e la zona fu occupata dalle classi sociali meno abbienti con conseguente aumento della criminalità, trasformandosi nel centro del mercato della droga.
Eppure se vi recate a Bushwick oggi stenterete a credere a quanto avete appena letto. All’inizio degli anni 2000 la città diede avvio al programma biennale Bushwick Initiative che riuscì a ridurre il tasso di criminalità e a riqualificare le infrastrutture, al punto che oggi l’area appare come una tranquilla zona residenziale conosciuta in tutta New York, e non solo, per le sue famose gallerie d’arte e i meravigliosi graffiti che colorano le facciate di molti edifici.
La comunità artistica della Grande Mela, come quasi ogni altra cosa in città, è in continuo movimento: da SoHo a Chelsea, passando per Williamsburg i nuovi pittori, scultori e collezionisti hanno raggiunto Wickoff e Flushing Avenue ormai da una decina d’anni, e non sembrano intenzionati ad andarsene.

Paul D’Agostino ha tenuto la sua prima esposizione a Bushwick nel 2008, nel loft in cui viveva insieme ad altri due coinquilini. “Quando mi sono trasferito qui mi sono trovato a che fare con un grande spazio vuoto, un vero e proprio white cube — ha raccontato D’Agostino a La Voce — e proprio in quel periodo si stava svolgendo il Bushwick Open Studios, un weekend di mostre organizzato nel quartiere. Ho deciso di provarci anche io, organizzando una mostra con cinque artisti in questo appartamento che non aveva praticamente mobili, c’eravamo soltanto noi e lo spazio. Il primo weekend sono venute più di 500 persone e questo mi ha dato la determinazione per andare avanti”.
Oggi Paul, che traduce e insegna italiano, dirige la Centotto Gallery al 250 di Moore Street, che vanta il titolo di più antica del quartiere e per la quale nel giro di nove anni ha organizzato più di 50 mostre. Gli artisti esposti sono principalmente originari di Brooklyn o di New York ma, come mi ha fatto notare D’Agostino, “non manca la presenza internazionale. Due anni fa, per esempio, ho collaborato con l’italiana Elisa Bollazzi che ha esposto qui la sua Micro Collection”.
Dal 2008 Bushwick è cambiata alimentando giorno dopo giorno la sua vena artistica. “Il numero di gallerie d’arte è aumentato considerevolmente, ora sono più di sessanta! Con il numero è salita anche la qualità: ultimamente, per esempio, la Luhring Augstine Gallery di Chelsea ha aperto qui una seconda sede. Sicuramente sono aumentati anche gli artisti, ma i prezzi degli affitti lievitano ed è difficile, ora, trovare una sistemazione economica” ha spiegato D’Agostino, aggiungendo che oggi nel quartiere si respira un’atmosfera stimolante e internazionale. Quando gli ho chiesto come vede il futuro di Bushwick, però, il giovane direttore di Centotto Gallery ha ammesso di essere piuttosto preoccupato per la crescente impronta commerciale che il quartiere sta acquisendo: “Stanno prendendo piede attività fuori dal controllo della comunità artistica. Sono nati molti bar, ristoranti e negozi di vestiti vintage… Il rischio è che le persone che vengono qui non siano attratte dalle opere ma da quello che c’è nelle vetrine. Secondo me, però il fenomeno della comunità artistica di Bushwick non è destinato a sparire tanto velocemente. Da quando sono arrivato il newtork è cresciuto, forse non aumenterà più con quel ritmo ma comunque rimarrà presente”.

Un’altra voce che ha vissuto in prima persona la fiorente attività di Bushwick è quella di Lacey Fekishazy, curatrice e direttrice della Sardine Gallery al 286 di Stanhope Street. Anche Lacey, come Paul, è arrivata a Bushwick quasi per caso: “Mi ero appena laureata al Queen’s College e stavo cercando un nuovo posto in cui aprire il mio studio. Alcuni amici vivevano a Bushwick, una volta ci sono andata e mi è sembrata la soluzione ideale”, mi ha raccontato Lacey davanti a una birra a Bryant Park. “Era il 2011 e c’erano soltanto 22 gallerie. Oggi, sono 63. C’è certamente una maggiore competizione, e l’atmosfera è molto più frenetica”. Fekishazy mi ha confermato che i prezzi sono decisamente aumentati negli ultimi anni, ma sono comunque “ancora ragionevoli se comparati a Manhattan” e potrebbero crollare in futuro a causa della chiusura temporanea della linea L della metropolitana, che serve la zona. Prima che questo accada, molti studenti della NYU stanno considerando la possibilità di trasferirsi a Bushwick, attratti certamente anche dalla vivacità e dal carattere multiculturale del quartiere: “Un giorno è arrivato nella mia galleria un gruppo di persone da Berlino e altre dal Sud America, ero molto sorpresa, non so come fossero venuti a conoscenza della Sardine Gallery”.
Ciò che è particolare di Bushwick è il profondo senso di comunità che si è creato tra gli artisti, ha confermato Fekishazy: “Il legame è diventato molto forte, per esempio i gestori delle varie gallerie hanno anche creato una pagina Facebook privata per tenersi in contatto e organizzarsi. Ho vissuto in cinque diversi quartieri a New York, ma solo qui ho sentito davvero un senso di appartenenza”.

Della stessa opinione è Mary Judge, direttrice della galleria Schema Projects che espone esclusivamente opere su carta a pochi passi dalla fermata di Jefferson Avenue. “Il senso di comunità che si è creato qui è estremamente fortev — ha raccontato Judge con allegria — Vivo a New York da trent’anni ormai, ma soltanto a Bushwick sono riuscita a sentire davvero quest’atmosfera. Inoltre il quartiere è estremamente sicuro e anche quando rientro in metropolitana in piena notte non ho paura”.
Mary Judge, tra le altre cose, ha avuto la possibilità di sviluppare un legame privilegiato con l’Italia vivendo per diversi anni in Umbria: “Ho imparato molto e anche il mio lavoro attuale è stato decisamente influenzato dalla permanenza in Italia. Ho conosciuto diversi artisti e collaboro ancora con alcuni di loro”. Proprio ora, infatti, è in fase di preparazione la mostra itinerante The Tower of Babel, una collaborazione tra Schema Project, il Centro per l’arte contemporanea Trebisonda di Perugia e la Givatayim City Gallery di Tel Aviv.

Parlando della comunità artistica di Bushwick, però, è impossibile non fare accenno ai numerosi murales e graffiti che decorano le facciate degli edifici del quartiere con disegni sulle tematiche più disparate, dagli annunci pubblicitari alle insolite rappresentazioni dell’iperspazio. Gli street artist di Bushwick sono oggi riuniti e organizzati nel Bushwick Collective, coordinato da Joseph Ficalora.

Nel corso degli ultimi anni i graffiti sono diventati una vera e propria istituzione nel quartiere, tanto che spesso i negozi o i bar commissionano direttamente a questi nuovi artisti la colorazione delle proprie vetrine. Con la crescita del pubblico accorso per passeggiare immerso tra i graffiti sono inoltre ormai nati dei tour guidati, definiti però “irreali” dai locali. Andrea Monti, co-curatore di Microscope Gallery, mi ha infatti confessato che “è molto strano uscire di casa e ritrovarsi un gruppo di persone che visitano la zona… sembra quasi impossibile”.
Gli street artist, però, raramente collaborano con le gallerie d’arte: “Siamo due universi separati, ma in buoni rapporti”, ha spiegato Mary Judge di Schema Projects.
Se ora volete farvi un’idea concreta dell’atmosfera vibrante del quartiere l’iniziativa Bushwick Open Studios vi offre l’occasione perfetta. La decima edizione avrà luogo il primo weekend di ottobre, all’incirca dalle 11 alle 19, organizzata dal network di volontari Arts In Bushwick. Sharilyn Neidhardt, che si occupa della gestione dell’evento, lo definisce “un progetto davvero grosso, che ogni anno attira migliaia di visitatori da tutto il mondo”. Durante i due giorni di attività tutte le gallerie e tutti gli studio del quartiere saranno aperti al pubblico, dando agli artisti la possibilità di farsi conoscere e di mostrare le proprie opere. “Arts in Bushwick si concentra sugli artisti, aiutandoli nel trovare punti di contatto con il pubblico e il mondo dei media”, ha specificato Neidhart. Ovviamente, a Bushwick.