Nei giorni scorsi si è tornati a parlare della vexata questio riguardante i confini tra Italia e Francia. In mare, nel Mar Mediterraneo sopra la Corsica, e sui monti, sulla vetta del Monte Bianco.
In realtà, si tratta di questioni vecchie e stravecchie, ma mai del tutto risolte. Nel 2015 i due paesi diedero vita ad un duro scontro diplomatico riguardante il possesso del valico di frontiera in prossimità dell’accesso al ghiacciaio del Gigante dal rifugio Torino. Lo stesso anno, l’attenzione si spostò a mare: sulle acque territoriali al largo della Liguria. Sebbene pesca e confini marittimi tra Italia e Francia siano regolamentati da un documento che risale al 1892, con il passare degli anni, questi accordi hanno subito diversi aggiustamenti.
Nel 2011 l’Italia ha creato una zona di pesca esclusiva i cui confini erano stabiliti provvisoriamente “in attesa degli accordi di delimitazione con la Francia”. Il 21 marzo 2015, Francia e Italia hanno sottoscritto una bozza di accordo con il quale regolamentavano la convenzione generale sui confini. In questo documento, l’Italia accettava di definire “aree di mutuo scambio” alcune zone di mare a nord ovest e a sud est della Corsica. In poche parole il Belpaese, avrebbe ceduto alla Francia un pezzetto di mar Ligure in cambio di uno di mar Tirreno.

Una modifica apparentemente di poco conto, ma che sollevò le proteste dei pescatori che da sempre navigano in queste acque: l’accordo sottoscritto tra i due paesi, infatti, prevedeva la libera circolazione dei pescherecci nello sconfino, tranne in una parte di mare, la cosiddetta “Fossa del cimitero”, una zona che è il paradiso per la pesca dei gamberoni rossi. Per questa zona di mare, i francesi avrebbero preteso l’uso esclusivo: “Onde evitare che il presente accordo pregiudichi le tradizioni dei pescatori professionali dei due paesi, le parti concordano, quale intesa di vicinato, di lasciare ai pescherecci costieri italiani e francesi esercitare un’attività sui luoghi di pesca tradizionali situati all’interno di una zona definita…”.
Mentre è ancora poco chiaro se i funzionari italiani incaricati della definizione dei confini (alla firma erano presenti delegate del Ministero degli Affari esteri della Difesa, dell’Ambiente, dello Sviluppo economico, delle Politiche Agricole e persino dei Beni culturali) avessero compreso l’importanza di questo specchio d’acqua, gli strascichi non mancarono venire a galla. Non quelli delle reti da pesca, ma quelli legali: la Capitaneria di porto francese fermò e pose sotto sequestro un peschereccio italiano, il Mina della flotta sanremese, al largo tra Ventimiglia e Mentone, davanti alla scogliera dei Balzi Rossi, accusando i marinai italiani di aver sconfinato nelle acque territoriali d’oltralpe.

Nei giorni scorsi, diversi gruppi politici sono tornati a parlare di questo accordo (come mai solo ora?). Il segretario della Lega Matteo Salvini, la presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni e alcuni parlamentari del Movimento 5 Stelle hanno riempito il web di dichiarazioni sull’argomento. La Meloni, su Facebook, ha tuonato: “Fratelli d’Italia intima il governo in carica ad agire immediatamente per interrompere la procedura unilaterale di ratifica attivata dalla Francia presso Bruxelles, che in caso di silenzio-assenso da parte italiana, conferirà de iure i tratti di mare in questione alla Francia arrecando un gravissimo danno ai nostri interessi nazionali”. Lo stesso ha fatto Salvini che, anche lui su Facebook (ormai, pare che invece che parlare nei dovuti Parlamenti, i politici di tutto il mondo preferiscano usare i social network), ha detto: “Stop al trattato di Caen che cede pezzi di mare e relative risorse toscane, liguri e sarde alla Francia. Pronti alle barricate contro l’ennesimo regalo di Gentiloni. Non siamo i servi dell’Europa e fermeremo questo scempio”. Lo stesso ha fatto un deputato del M5S.
Tutti infervorati ma forse ignari che il trattato che regolamenta la frontiera tra Italia e Francia (che c’entra l’UE chiamata in causa dalla Meloni e Salvini?) risale addirittura al novembre 1986. E che le poche, ma forse rilevanti per chi pesca in quel pezzo di mare, modifiche sono state siglate a marzo 2015 da Gentiloni.

Non in qualità di capo del governo ma di Ministro degli esteri pro tempore. Ma non basta: la contrattazione per giungere a questo pezzo di carta è cominciata nel 2006 e si è conclusa nel 2012 (anche se la firma è avvenuta nel 2015 e non è stata ancora ratificata). Un periodo durante il quale si sono alternati al governo del paese tutti i gruppi politici possibili e immaginabili: centro-destra (governo Berlusconi III, dal 23 aprile 2005 al 17 maggio 2006 e IV dal 7 maggio 2008 al 16 novembre 2011), centro-sinistra (governo Prodi, dal maggio 2006 al maggio 2008, governo Letta e governo Renzi) e financo il governo tecnico di Monti. E alcuni dei partiti che oggi gridano allo scandalo hanno fatto parte di quei governi e di quelle legislature. Eppure allora nessuno rivolse appelli e ultimatum così infervorati. Così come nessuno ha detto niente di questa vicenda durante la campagna elettorale appena conclusa.
Il motivo per cui non se ne è parlato forse è che questo trattato è stato ratificato unilateralmente dalla Francia. Ma non dall’Italia. Come ha spiegato una nota di pochi giorni fa del Ministero degli Esteri. Nella nota della Farnesina si legge: “The bilateral agreement of March 2015 was not ratified by Italy and therefore cannot produce legal effects.The maritime borders with France therefore remain unchanged and no one, neither in Paris nor in Rome, intends to change them”.
Più chiaro di così! La nota parla di “preparatory concertation of a strategic document” circa il Mar Mediterraneo e che “is in no way aimed at modifying the maritime borders in the Mediterranean”. Non solo anche le mappe apparse non avrebbero fondamento dato che secondo il Ministero “the maps circulated in the public consultation contain some mistakes (especially the demarcations laid down under the Caen Agreement, which was not ratified by Italy)”, adding that “the ywill be corrected as soon as possible”.
Tanto rumore per nulla, quindi. A meno che il vero obiettivo dei partiti che (a tre settimane dalle ultime elezioni) devono ancora decidere le alleanze per governare il paese, non fosse quello di mostrare ai propri elettori quanto sono forti e quanto tengono al patrimonio nazionale. Se questo era il loro fine ultimo, dovranno trovare argomenti migliori per dimostrare agli italiani che li hanno votati che sono davvero in grado di governare il paese.