Si avvicina la data in cui gli italiani saranno chiamati a votare tramite un referendum per esprimere il proprio parere sulla volontà del governo di ridurre a un colabrodo il Mediterraneo (o almeno la parte vicino alle coste italiane), ma nessuno parla delle conseguenze che l’utilizzo di combustibili fossili ha avuto e continua ad avere sul clima e sul Mare Nostrum.
Da anni i geologi continuano a ripetere che cambiamenti climatici anche rilevanti sono “naturali”. E ogni volta gli ambientalisti rispondono che i cambiamenti che si sono verificati nell’ultimo periodo non sono solo un fenomeno naturale, ma sono frutto anche delle scelte dell’uomo.
Un recente studio dal titolo “Spatiotemporal drought variability in the Mediterranean over the last 900 years” pubblicato dalla Nasa, afferma che “recenti casi di siccità del Mediterraneo hanno evidenziato la preoccupazione che il cambiamento climatico possa contribuire ai trend di siccità osservati, ma la variabilità naturale del clima nella regione è ancora poco conosciuta”. “L’ampiezza e la frequenza dei periodi siccitosi che si sono verificati recentemente è troppo grande per essere spiegata con la sola variabilità climatica naturale”, come sostiene Martin Hoerling, Ph.D. del Sistema di Ricerca del Laboratorio Earth, di Boulder, Colorado, che ha collaborato alla ricerca.
Come è possibile parlare di siccità parlando di un mare e, per di più, grande come il Mediterraneo? La risposta è semplice: il termine “siccità” non si riferisce solo alle acque, ma anche le zone costiere. I ricercatori hanno analizzato la siccità mediterranea nell’Old World Drought Atlas (OWDA) per un lasso di tempo di ben 900 anni (dal 1100 ad oggi). I dati sono stati rilevati principalmente mediante l’analisi degli anelli di crescita degli alberi e i dati estivi del Palmer Drought Severity Index, dato che nel Mediterraneo, l’OWDA è fortemente correlato a a fattori climatici come le precipitazioni primaverili (aprile-giugno), alla North Atlantic Oscillation (gennaio-aprile), allo Scandinavian Pattern (gennaio-marzo) e all’East Atlantic Pattern, (aprile-giugno). Il risultato delle ricerche ha confermato il carattere di eccezionalità della siccità del Mediterraneo rispetto alla variabilità naturale negli ultimi secoli. Oggi, la parte orientale del Mediterraneo è “più secca” di circa il 50 per cento rispetto al periodo più secco negli ultimi 500 anni, e dal 10 al 20 per cento più secco della peggiore siccità degli ultimi 900 anni. Una siccità dagli effetti geopolitici rilevanti: secondo alcuni sarebbe proprio questa una delle concause (insieme ai conflitti in atto) dei flussi migratori di profughi e rifugiati dalla Siria verso l’Europa. Secondo Kevin Anchukaitis, climatologo dell’università di Tucson e co-autore della ricerca, “sia per la società moderna, e certamente per le civiltà antiche, questo significa che se una regione sta soffrendo le conseguenze della siccità, queste condizioni probabilmente esistono in tutto il bacino del Mediterraneo. Non è necessariamente possibile fare affidamento sulla ricerca di migliori condizioni climatiche in una regione o in un’altra, quindi si potrebbe avere la potenziale distruzione dei sistemi alimentari su larga scala, nonché un potenziale conflitto per le risorse idriche”.
Il rapporto che lega i periodi di siccità e le migrazioni di massa non è una novità. I primi dati storici che confermerebbero il legame di causa ed effetto tra flussi migratori e periodi aridi, nei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, risalgono addirittura al XIII secolo a.C.. Generalmente i libri di storia attribuiscono la fine delle antiche civiltà dell’età del bronzo nel Mediterraneo orientale, come i Micenei e gli Ittiti, all’invasione di nuovi popoli provenienti dal nord. Studi recenti, però, hanno dimostrato che quel periodo fu caratterizzato da una grave condizione di siccità: potrebbe essere questa la vera causa del collasso di città e civiltà. Lo stesso sarebbe avvenuto intorno all’anno zero, in Egitto (le piaghe riportate nella Bibbia, secondo alcuni, potrebbero essere una conseguenza delle disastrose mutazioni climatiche). Anche l’invasione di Ausoni e Siculi, al pari di altre genti nella penisola, potrebbe essere state causate o almeno favorite dall’impossibilità da parte di popoli del mare e popoli europei di continuare a risiedere nelle loro sedi originarie per motivi di siccità o al contrario di gravi inondazioni.
In tutti questi casi (e in molti altri), crisi climatiche e cambiamenti delle condizioni ambientali hanno causato profondi cambiamenti geopolitici e culturali in tutto il Mediterraneo.
C’è una differenza tra ciò che è avvenuto nel passato e ciò che avviene oggi: è la velocità con cui tali cambiamenti si stanno verificando. Basti pensare che, nell’ultimo periodo, il consumo di acqua è cresciuto esponenzialmente a causa degli allevamenti di bestiame e dell’adozione di tecniche di agricoltura intensiva. Le zone irrigate sono praticamente raddoppiate dagli anni ’60 ad oggi e l’irrigazione rappresenta l’uso prevalente di acqua del Mediterraneo, utilizzando il 65 per cento del totale dell’ acqua consumata. Scelte politiche sbagliate (sebbene sovvenzionate lautamente dall’UE e dai Governi nazionali) hanno favorito la conversione delle coltivazioni tradizionali quali l’ulivo e gli agrumi (meno esigenti di acqua) verso altre irrigue, come il mais o la barbabietola da zucchero. Ma non basta. Spesso l’irrigazione è utilizzata come strumento per accelerare la crescita delle colture e avere una taglia maggiore di piante e prodotti agricoli in zone aride o in periodi siccitosi. La conseguenza è una crescita esagerata dei consumi di risorse idriche in molti paesi che si affacciano sul Mediterraneo (Francia, Turchia e Siria in testa). E con previsioni, per il prossimo futuro, di un ulteriore peggioramento: se (come ci si aspetta) le precipitazioni diminuiranno, entro il 2025, in molti paesi dell’Est e del Sud del Mediterraneo, i consumi idrici aumenteranno anche del 25 per cento. Secondo il dossier “Drought in the Mediterranean – WWF policy proposals” pubblicato dal WWF, nel Mediterraneo si verificheranno periodi di siccità sempre più frequenti e dannosi.
Le conseguenze delle minori precipitazioni in Europa sono costate, nel 2003, ai paesi europei 11 miliardi di euro. E solo in Spagna, la scorsa estate, il settore agricolo ha perso più di 2 miliardi di euro proprio a causa della siccità. Situazione analoga in Italia: in molte zone del paese la carenza di risorse idriche è ormai una costante e diversi corsi d’acqua sono quasi sempre asciutti. La causa di ciò non è la scarsità delle precipitazioni, ma la cattiva gestione integrata delle risorse idriche. Ogni problema di gestione delle acque si trasforma immediatamente in una “crisi idrica” a causa della mancanza di un’autorità riconosciuta, che possa realmente governare la politica dell’acqua a livello di bacino idrografico distribuendo in modo sostenibile la risorsa per ogni uso partendo dall’agricoltura e all’idroelettrico e garantendone, allo stesso tempo, all’ambiente naturale (fiumi, falde, laghi).
Una siccità che i paesi che si affacciano sul Mediterraneo, finora, hanno fatto finta di non vedere.