C’era una volta “Mare Nostrum”. Poi venne “Frontex”. Da molti anni, a causa dei continui flussi di migranti e dei disordini in molti paesi che si affacciano sul Mediterraneo (dalla Libia all’Egitto e molti altri), il mare che separa (e unisce) Africa ed Europa è sorvegliato da buona parte dei paesi europei e i pattugliamenti condotti con i mezzi più moderni sono intensissimi (recentemente l’Italia ha addirittura acquistato dei satelliti per il controllo dall’alto). Se a questo si aggiunge il numero di navi militari di altri paesi (a cominciare da quelle statunitensi, russe e cinesi) che vi circolano, è evidente che il Mediterraneo è forse il mare più affollato del mondo.
Eppure…Eppure pare che, nell’ultimo periodo, sia cresciuto in modo esponenziale il problema delle “navi fantasma”. Navi mercantili che improvvisamente spariscono dalla rotta concordata e comunicata e diventano irrintracciabili. Lo fanno spegnendo il transponder, lo strumento che ne segnala la posizione alle autorità di controllo della navigazione come marine militari, capitanerie di porto e altre. Per poi riapparire, dopo qualche tempo, da tutt’altra parte, magari centinaia di miglia dal percorso originario. Il sospetto è che queste variazioni di rotta servano per consentire scambi di persone e di merci (sostanze illecite, petrolio, armi o oggetti magari destinati a paesi verso i quali esiste l’embargo).
Traffici illeciti che appaiono particolarmente pericolosi oggi che i terroristi dell’ISIS si sono affacciati sulle coste del Nordafrica con gli occhi puntati sull’Europa. Molti hanno chiamato questi tratti del Mar Mediterraneo, dove minore è la sorveglianza delle motovedette e delle navi militari dell’Unione europea, “boschi”. Uno di questi boschi si trova tra Tunisia e Algeria, una zona non troppo lontana dalla Libia dove s’è stabilito l’Isis ma dove la sorveglianza è molto minore rispetto al canale di Sicilia (anche a causa del pesante taglio dei fondi nel passaggio dall’operazione di pattugliamento italiana denominata Mare Nostrum all’iniziativa dell’Unione Europea chiamata Frontex e alle preoccupazioni che si sono spostate verso la Turchia e altre parti del Mediterraneo). Un’altro è il triangolo di mare compreso tra Cipro, Turchia e Siria.
Le dimensioni di questi traffici, nell’ultimo periodo, hanno raggiunto dimensioni preoccupanti: fonti investigative riportate dal Corriere della Sera hanno segnalato a gennaio ben 540 casi di navi che sono approdate in Europa da Siria e Libia dopo aver seguito percorsi sospetti o effettuato soste impreviste e non comunicate.
A cercare di scoprire dove vanno queste navi fantasma sta provando, da qualche mese, una società israeliana, la Windward, che è riuscita a ricostruire alcune di queste rotte. Più volte si è parlato del petrolio estratto dall’ISIS in Libia, in Siria e in altri paesi invasi dai terroristi. Molti ritengono che questi traffici avvengano solo via terra attraverso la Turchia. Ebbene le ricerche hanno dimostrato che sono molte le navi fantasma che attraversano i “boschi” del Mediterraneo per portare il petrolio di contrabbando dai paesi che si affacciano sul Mediterraneo ai propri acquirenti e finanziare lo Stato Islamico. Molte delle scorte di greggio dell’Iran, ad esempio, sono stoccate in depositi galleggianti. Da qui è facile per le navi fantasma che lavorano per lo Stato Islamico prelevarlo e trasportarlo ai porti dei propri clienti, magari dopo aver fatto qualche giro per depistare i controlli.
Esemplare il caso avvenuto qualche mese fa. Quattro petroliere di stazza tra le 1600 e la 3500 tonnellate hanno fatto rotta nel Mediterraneo. Una di queste navi, una volta in prossimità delle coste libiche, ha spento il proprio transponder. Dopo aver raggiunto il porto di Zawara dove è stato caricato il petrolio, è ripartita per fermarsi poco al largo dell’isola di Malta. Qui avrebbe sostato per cinque giorni (possibile che nessuno l’abbia vista poche miglia dalla capitale maltese?). In questo periodo è stata raggiunta da altre tre petroliere, anche queste “fantasma”. La prima dopo poco tempo è salpata per la Sicilia (verso il porto di Augusta). Un’altra, invece, dopo aver fatto la stessa rotta, improvvisamente ha cambiato percorso d è tornata indietro, diretta verso Malta dove ha atteso la petroliera che aveva attraccato in Sicilia. Nel frattempo, una quarta petroliera, anch’essa vicino a Malta è scomparsa dai radar proprio mentre c’era la nave che ha portato il petrolio dalla Libia, dopo aver caricato le proprie stive.
Stessi giri, stessi traffici e stessi tentativi di depistaggio per un cargo partito dalla Turchia che ha spento i sistemi di geo-localizzazione mentre navigava nei pressi delle coste africane salvo poi, come di consueto, riaccenderli alcune ore dopo mentre faceva rotta verso Pozzallo.
E ancora, un’altra nave fantasma, partita da Genova e diretta a Lisbona, ha stranamente costeggiato per 500 miglia le coste africane, per poi inspiegabilmente fare dietrofront e tornare al centro del Mediterraneo.
Avere un quadro in tempo reale dei movimenti di merci sui mari del globo è diventato difficile. Ma, al tempo stesso, queste informazioni sono diventate essenziali anche per analisti, banche e broker (sapere, ad esempio, se e quanto petrolio viene venduto “in nero” a metà del prezzo corrente influisce sugli scambi in borsa e può cambiare i mercati internazionali). A dimostrarlo è l’esistenza di indici che sempre più spesso vengono utilizzati per prevedere l’evoluzione dell’economia e che sono basati proprio sull’andamento del commercio marittimo (come il Baltic Dry).
Quello dei migranti che attraversano il Mar Mediterraneo è solo uno dei problemi legati ai traffici illeciti che avvengono via mare. E, stando ai numeri, quelli legati alle “navi fantasma”, ai traffici illeciti e al trasporto delle merci attraverso i “boschi” acquatici potrebbe avere dimensioni sconvolgenti (anche se fino ad ora inspiegabilmente hanno ricevuto poca attenzione dalle autorità navali e soprattutto militari): nell’ultimo mese, delle oltre 9000 navi mercantili approdate sulle coste europee, ben 5.500 (oltre la metà) avevano una bandiera di comodo, diversa cioè da quella della nazionalità della compagnia proprietaria, e 11 hanno fornito false informazioni di identificazione.
Ormai il Mar Mediterraneo è diventata la “back door”, la porta di servizio, che sempre più trafficanti utilizzano per far entrare in Europa ogni tipo di bene e risorsa. Traffici di persone e cose che le autorità nazionali ed europee non riescono a controllare. Tranne che in pochissimi casi. Come quello del mercantile Jupiter, battente bandiera delle isole Cook, che le autorità italiane hanno fermato dopo che era salpato dalle coste dell’Algeria diretto in Libano. Nella stiva, sotto il carico di granito sono state trovate 20 tonnellate di cannabis, per un valore sul mercato di quasi 200 milioni di euro. “È un po’ come cercare un ago in un pagliaio”, ha detto Alon Podhurst, vicepresidente della Windward. Il Mar Mediterraneo (e gli Oceani) sono il nuovo campo di sfida dell’intelligence.