Diceva lo scrittore Giovanni Verga: “A questo mondo si sa che la giustizia si compra e si vende come l’anima di Giuda”. Dice l’avvocato Stefano Giordano in un post su facebook: “E va bene, la Saguto è stata sospesa. La telenovela forse è finita. Ma era solo lei il problema? E gli stuoli di magistrati, avvocati, amministratori giudiziari, cancellieri, raccomandati che hanno cooperato a tutto questo e che per anni ne hanno beneficiato che fine fanno?”. Quindi l’altra staffilata: “O dimentichiamo che i provvedimenti incriminati erano per lo più collegiali?”.
Di scena è il Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) che ha sospeso dalle funzioni e dallo stipendio Silvana Saguto, l’ex presidente della Sezione per le misure di prevenzione del Tribunale di Palermo. L’ordinanza è stata depositata dalla sezione disciplinare del CSM. Una decisione ‘pesante’, se è vero che solo nei casi considerati gravi l’organo di rilievo costituzionale che in Italia garantisce l’indipendenza e l’autonomia della magistratura prende una decisione simile. Sulla vicenda, nei giorni scorsi, sono intervenuti il Ministro della Giustizia, Andrea Orlando, e il Procuratore generale della Cassazione, Pasquale Ciccolo, titolari dell’azione disciplinare.
Sull’operato della dottoressa Saguto e – si suppone – di tutta la Sezione per le misure di prevenzione del Tribunale di Palermo indaga la Procura della Repubblica di Caltanissetta (questo è l’ufficio giudiziario competente su tale materia, perché il Tribunale di Palermo non può indagare su se stesso). Le ‘carte’ che accusano la Saguto (solo lei?, si chiede l’avvocato Giordano) sono finite sul tavolo del Ministro Orlando e dei suoi collaboratori. Che hanno avviato la procedura per sospendere l’ormai ex presidente della Sezione di prevenzione del Tribunale di Palermo, dottoressa Saguto.
Vari gli illeciti che il Ministero contesta al giudice sospeso. Avrebbe deciso nomine e compensi per gli amministratori giudiziari “in cambio di incarichi o consulenze assegnate a componenti del nucleo familiare del magistrato, da amministratori nominati in occasione di procedure di prevenzione disposte da tribunali diversi da quello di Palermo”. L’ex presidente di Sezione avrebbe fatto un “uso distorto” delle funzioni che esercitava, per tutelare “interessi privati”. Il tutto in un “contesto che inevitabilmente investe, per la sede in cui i fatti sono maturati, la credibilità stessa della risposta delle istituzioni al fenomeno mafioso”. Quindi, quasi anticipando il finale dell’inchiesta della Procura di Caltanissetta, gli ispettori del Ministero avrebbero riscontrato “gravi irregolarità sotto il profilo degli adempimenti di carattere amministrativo”.
Scrive Nicola Clivio, componente togato del CSM, relatore del provvedimento a carico della dottoressa Saguto: “Si tratta di condotte intimamente connesse allo svolgimento della funzione giurisdizionale, dalle quali deriva una perdita di prestigio irrimediabile per l’interessata e il correlativo pericolo che perduri, vieppiù aggravandosi, il pregiudizio già cagionato all’immagine della giurisdizione in seguito al risalto che i fatti ascritti hanno avuto nell’opinione pubblica”. Secondo Clivio, esiste il “il pericolo” che le “condotte illecite accertate” possano essere reiterate.
La dottoressa Saguto ha provato ad anticipare l’iniziativa del CSM, chiedendo il trasferimento a Milano e a Catania. Ma non gli è servito a nulla. A difendere l’ex presidente della Sezione di Misure dei prevenzione del Tribunale di Palermo è l’avvocato Giulia Bongiorno, siciliana come la dottoressa Saguto, arssurta agli onori delle cronache, negli anni ’90 del secolo passato, per aver fatto parte del collegio di difesa del senatore Giulio Andreotti. Questo il commento dell’avvocato Bongiorno: “Abbiamo letto il provvedimento, è denso di errori. Lo impugneremo in Cassazione”.
Fin qui la cronaca. Restano le domande, tante domande, ancora senza risposta. Come quelle del già citato avvocato Giordano: e i magistrati, gli avvocati, gli amministratori giudiziari, i cancellieri e, in generale, i raccomandati che, per lunghi anni, hanno svolto ruoli di protagonisti nella gestione dei beni sequestrati alla mafia che fine hanno fatto? Non sono forse anche loro coinvolti in queste storie di malaffare? E i provvedimenti, solo oggi incriminati, ricorda sempre l’avvocato Giordano, non erano in parte collegiali? Che fine hanno fatto coloro i quali ‘decidevano’ insieme con la dottoressa Saguto?
Poi ci sono le considerazioni di Pino Maniaci, il direttore di TeleJato, il giornalista che ha sollevato il ‘caso’, anzi, i tanti ‘casi’ creati dai protagonisti della Sezione di Misure dei prevenzione del Tribunale di Palermo. Maniaci e TeleJato hanno denunciato casi di aziende sequestrate che sono state letteralmente ‘spolpate’ dagli amministratori giudiziari. Il tema della professionalità imprenditoriale degli amministratori giudiziari riguarda tutto il complicato mondo dei sequestri e delle confische di beni ai mafiosi. Ma a Palermo e provincia sono avvenuti fatti gravissimi: imprese sequestrate che avrebbero dovuto essere riconsegnate ai legittimi proprietari, perché estranei alla mafia, che sono state ‘spolpate’ lo stesso.
Il problema riguarda la gestione della Giustizia. Succedeva che un imprenditore veniva prima accusato di legami con la mafia e poi scagionato. Quando le accuse di mafia venivano formulate, scattava, come una molla, il sequestro di beni immobili e societari. Beni che finivano ai soliti amministratori giudiziari. La parola “soliti” la utilizziamo perché i soggetti che ricevevano tali incarichi dalla Sezione di misure di prevenzione del Tribunale di Palermo erano sempre gli stessi avvocati e gli stessi commercialisti.
Quando l’imprenditore veniva scagionato, per ‘misteriosi’ motivi legati alla gestione della Giustizia, i beni immobili e societari, spesso per lunghi periodi, continuavano ad essere gestiti dagli amministratori giudiziari. Perché avveniva tutto questo? Ed è vero, come è stato denunciato, che beni che avrebbero dovuto essere restituiti a imprenditori riconosciuti dalla stessa Giustizia estranei alla mafia continuavano ad essere ‘spolpati’ dagli amministratori giudiziari? La stessa Giustizia avrà la forza di mandare alla sbarra i protagonisti di un sistema che non è esagerato definire “la mafia dell’antimafia”?
Il problema non è solo giudiziario: è anche politico. Questo modo scorretto di gestire i beni sequestrati ha provocato ingenti danni al tessuto economico di Palermo e provincia. Una vicenda così seria e così grave non si può chiudere con la sospensione della sola dottoressa Saguto. E, magari, con l'allontanamento dell'avvocato Gaetano Cappellani Seminara. Dietro questa vicenda c'era e, forse, c'è ancora un sistema. E' per questo che il problema diventa politico.
Qualcuno sta quantificando questi danni economici e sociali? In queste incredibili storie ci sono stati licenziamenti, appesantimenti dei conti di società con discutibili assunzioni, fallimenti. A noi risulta che non mancano gli imprenditori massacrati da discutibilissime amministrazioni giudiziarie disposti a raccontare le proprie storie. Qualcuno sta raccogliendo le testimonianze di queste persone?
Certo, non chiediamo che ad occuparsi di questa vicenda sia la Commissione parlamentare nazionale Antimafia presieduta da Rosy Bindi. Per un motivo semplice: perché quando Pino Maniaci, in solitudine, denunciava le malefatte della Sezione per le Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, la presidente della Commissione nazionale Antimafia, Rosy Bindi, prendeva le difese della dottoressa Saguto. Il suo operato, diceva la Bindi, non andava messo in discussione. E con la presidente si schieravano altri parlamentari componenti della stessa Commissione Antimafia del Parlamento nazionale. Va da sé che queste persone, oggi, non possono più occuparsi della Sezione di Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo e della sua ex presidente, perché non sono credibili.
Il Parlamento nazionale, però – e di questo potrebbero occuparsi i parlamentari del Movimento 5 Stelle – potrebbero chiedere l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della Sezione di Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo. Questo perché, come già ricordato, i danni prodotti da questa lunga gestione dei beni sequestrati alla mafia – che ricordiamolo, inizia nei primi anni ’80 del secolo passato e arriva ai nostri giorni – a Palermo e provincia sono stati ingenti.
I grillini potrebbero provare a chiedere l’istituzione di questa Commissione d’inchiesta. Per fare chiarezza su Palermo. E per verificare se ci sono problemi in altre parti della Sicilia e d’Italia. Sarà interessante, a questo punto, osservare come reagiranno i parlamentari del PD e di Forza Italia. Già solo questo passaggio potrebbe fare chiarezza sulle collusioni e sulle possibili cointeressenze tra la politica siciliana (ma non solo) e trenta lunghi anni di gestione dei beni sequestrati e confiscati alla mafia.
Della vicenda potrebbe anche occuparsi la Commissione Antimafia del Parlamento siciliano.
Su questa vicenda abbiamo più volte intervistato Pino Maniaci