Un progetto di fotografia su Roma non solo per raccontarne la bellezza, a molti sconosciuta, ma anche per riscattare quell'immagine di abbandono e degrado diffusa dal The New York Times in un articolo proprio qualche tempo fa. È nato così Roma Parla, la risposta in positivo al negativismo di un articolo polemico e a senso unico, per mostrare la città attraverso il ritratto dei suoi edifici: un potenziale artistico e storico che solo Roma può vantarsi di avere, volti immobili e silenziosi che sembra stiano per essere dimenticati, ma che nella crisi odierna potrebbero ritrovare la loro forza eterna.
Pur consapevole della forte criticità in cui riversa, sono altrettanto cosciente, come architetto e come romano, di quanto la città sia il frutto del cambiamento cui tutti dovrebbero guardare, il vero punto di forza su cui si dovrebbe puntare per la ripartenza, per un futuro che continui a percorrere quella strada di eccellenza e innovazione intrapresa più di duemila anni fa. Roma oggi è una città eterna sull’orlo del declino e in molti pensano che questa crisi, che sembra essere senza un vero punto di svolta, affossi la città in un nuovo Medioevo. Una crisi morale, sociale, culturale in cui gli stessi romani sembra abbiano perso le speranze di un futuro di modernità, guardando con malinconia ciò che è stato e che forse non potrà mai più essere. La città è un organismo malato in cerca di una cura che sembra un miraggio, e si trova ad affrontare una battaglia persa in partenza poiché nessuno è in grado di stare al timone di una barca che pare più vicina al naufragio che alla terra ferma. Anche se il declino odierno sembra difficile da recuperare, Roma è storia e, proprio come la storia, è soggetta a cicli di decadenza e rinascita. Su quest'ultima Roma Parla si vuole soffermare.
Il principio di queste immagini non è negare la crisi, ma voler ricercare quell’atteso punto di svolta nelle vene della città stessa, nei frammenti delle sue architetture che ne compongono l’essenza e ne costituiscono la reale potenza culturale. Elementi artistici e costruttivi, volti urbani che dialogano tra loro e che, come spettatori immobili della vita frenetica della città, vogliono raccontarci le loro storie. Stili diversi che sono il risultato dell’evoluzione, testimonianze del progresso umano che fanno di Roma la reificazione della storia dell'umanità.
Le città sono un prodotto della cultura umana, la materializzazione del tempo, il risultato di come ad un epoca ne sia susseguita un’altra. Il cambiamento è il vero punto in comune tra il passato ed il presente e può generarsi solamente da una crisi. Pensare alla crisi come decadimento fine a se stesso piuttosto che a un'opportunità di rivalsa sarebbe un grave errore. La crisi porta progressi, in essa sorgono l’inventiva, le scoperte, le grandi strategie.
Questi ritratti dunque, seppur nati dal desiderio di riscattare quell'abbrutimento mostrato nell'articolo del The New York Times, vogliono essere anche una motivazione per l’animo di chi ha perso le speranze e che non vede la storia come un percorso che spesso va al di là dei calcoli, da ascoltare, seguire e interpretare. Le fotografie di Roma Parla sono il risultato di un percorso attraverso le sue strade, le sue piazze, i suoi vicoli trasteverini, le sue borgate, quei luoghi in cui gli edifici, veri protagonisti della città, sembrano dimenticati dai romani stessi che sono abituati a viverci (edifici sui quali ha trovato spazio anche la Street Art, il venticinquesimo museo civico della Capitale).
Roma non può arrendersi al suo destino odierno, chiudendo le porte al futuro e perdendo così quell’occasione unica che le si presenta di seguire quel percorso attraverso la storia iniziato da duemila anni, e in cui la sua immagine di modernità appare sfocata, indefinita. Non può perdere questa battaglia con la contemporaneità, ma deve ripensarsi partendo proprio dalle ricchezze uniche che possiede, dalle sue fondamenta, dalle sue potenzialità artistiche, deve trovare dentro se stessa la capacità di risorgere dalla polvere. Roma parla ad un nuovo aspirato modello di società romana che sembra abitarla, ma allo stesso tempo averla dimenticata.