In occasione del Primo maggio il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ricordato l’abisso che separa Nord e Sud dell’Italia. Quella che un tempo si definiva questione meridionale è oggi la questione italiana. A oltre un secolo e mezzo dall’unità le disuguaglianze sono forse maggiori di quando dopo mille anni di separazione il Sud e il Centro Nord si unirono.
Per un lungo periodo il New deal in versione italica scaraventò miliardi di lire al Sud con il risultato di creare mostri inquinanti dove prima c’erano spiagge incontaminate, gonfiando a dismisura il pubblico impiego e arricchendo le mafie con le spartizioni di appalti di ogni risma.
Ma cosa è oggi la questione meridionale? Trenta anni fa, durante la fase più pervasiva del potere mafioso, pochi amministratori coraggiosi impedirono che lo Stato capitolasse e che vaste zone del Paese divenissero come Platì, il paese calabrese dove il potere delle cosche è così penetrante che da anni è senza governo locale.
In quella lontana stagione il Sud generò un lungo elenco di capitani coraggiosi che, issando la bandiera della legalità, impedirono agli scassati vascelli delle amministrazioni sudiste di inabissarsi con il loro prezioso carico di speranza e voglia di riscatto. Nei luoghi dove prima si parlava di mafia con circospezione iniziò il lungo processo che, dopo tanto sangue e tante lacrime, ha portato alla caduta dei falsi idoli mafiosi, alla creazione di un’area di legalità sempre più coraggiosa e a un percorso di riscatto visto come possibile da chi prima era soggiogato dalla paura.
Negli anni ‘80 del ecolo passato le amministrazioni comunali erano la Vandea delle varie forme di criminalità organizzata. In quei luoghi, burocrati fedeli o intimiditi dalle mafie agivano sotto comando dei boss e contribuivano, attraverso la scrittura pilotata dei bandi, l’estromissione compiacente dei concorrenti, la supervalutazione dei servizi resi o il prolungamento, sine die, dei vecchi appalti a che l’ordine mafioso regnasse dentro una ‘macchina’ amministrativa piegata al volere di pochi.
Dopo la stagione delle stragi del 1992, con lentezza ma inesorabilmente, molto è cambiato, la legalità non è solo un vuoto slogan, ma una pratica di governo. La trasparenza ha fatto entrare la parola dei cittadini nelle fortezze della burocrazia, ma la vita quotidiana dei cittadini siciliani continua a essere pessima. Per le strade di Palermo non si ode più il suono lancinante delle sirene, triste colonna sonora di una città sotto assedio, ma le città siciliane continuano a essere sporche e alcune, come appunto Palermo, drammaticamente sporche. I soldati non sono più a difendere i palermitani dall’assalto dei sanguinari fantasmi che la tenevano in scacco, ma i giardini sono abbandonati e tutti i pubblici servizi languono. Perché?
La risposta è semplice: la politica non conta più nulla. Nonostante al governo di molte città siciliane si stiano avvicendando galantuomini, le nostre città sono ultime per indici di vivibilità. Qualunque cosa la politica decida, la burocrazia la boicotta. Dopo aver elevato i propri stipendi, portandoli al massimo del consentito, la burocrazia – vera padrona dei destini di cittadini di Palermo, come del Sud – preferisce non fare piuttosto che rischiare. Sommerse da migliaia di precari reclutati durante le campagne elettorali, le amministrazioni comunali drenano milioni di euro dalle tasche dei cittadini e rendono servizi ridicoli alle città.
Negli anni della resistenza alla mafia imperante si cancellarono molti servizi affidati in appalto per pericolo di inquinamento. Oggi il Comune di Palermo ha tra dipendenti diretti e società controllate circa 20.000 dipendenti. Oltre mille di loro dovrebbero occuparsi di manutenzione, costano 35 milioni di euro e disattendono spesso le richieste che scuole e uffici comunali inoltrano. Il servizio costa molto più che erogato sotto altre forme che il codice consentirebbe. Il servizio di rimozione dei rifiuti costa 140 milioni di euro, impiega personale in esubero e rende non oltre il 20% delle previsioni contrattuali. Anche questo è un servizio che ci si ostina a tenere in piedi quando tutta l’azienda è incapace di assicurare le elementari linee di comando, i dirigenti non trasmettono gli ordini, chi li riceve non li esegue, la sanzione non arriva e uno sguardo torvo zittisce tutto.
Il servizio del verde impiega in proporzione più addetti di Parigi, non assicura servizi elementari e offende il pubblico decoro della città recando danno economico ai suoi operatori. I 600 addetti non eseguono gli ordini di servizio, i dirigenti si guardano bene dal richiamarli più volte e la città, nonostante centinaia di milioni di euro impiegati, sprofonda nell’abbandono.
Alla mafia che intimidiva e piegava al suo volere amministratori e burocrazia si è sostituita una mafiosità diffusa, alcune miglia di uomini pagati dalle ‘casse’ comunali che con ostinazione si rifiutano di restituire in lavoro quello che percepiscono come emolumento. Sono inamovibili, intimidiscono, rendono la città lercia e brutta e i rimedi ipotizzati sono solo pannicelli caldi. Possono le amministrazioni comunali sperperare risorse per centinaia di milioni e non assicurare gli stessi servizi che in moltissime città del Centro Nord hanno lo stesso costo e sono resi con una efficacia di gran lunga maggiore? Possono le amministrazioni comunali in nome di una presunta pace sociale subire questo salasso da parte dei “nuovi bravi”? Possono i cittadini delle città, dopo essere stati sotto scacco della mafia degli squadroni della morte, essere calpestati da alcune migliaia di uomini restii a rendere Palermo una città normale?
Il diritto pubblico e il diritto privato consentono alle amministrazioni nuove vie. Costituire società pubbliche non serve. Ogni cosa che è direttamente sotto la gestione del pubblico, al Sud, va in malora: palestre, giardini pubblici, pulizia delle strade, rimozione dei rifiuti. Perché ostinarsi e dilapidare risorse?
Occorre inaugurare una stagione diversa che metta al primo punto il benessere dei cittadini. Se il pubblico è un pessimo gestore di risorse umane vi si ponga rimedio e non si continui a ingannare intere comunità. La vera sfida contro la mafia e la mafiosità si vince riacquisendo la libertà di fare il bene di tutti e non solo gli interessi di qualche migliaio.
Foto tratta da ecologia.guidone.it