Il Csm, sigla che sta per Consiglio superiore della magistratura, ha ‘bocciato’ la candidatura del magistrato, Nino Di Matteo, al concorso per la copertura di tre posti nella Procura nazionale antimafia. Il “no” del Csm, per coloro i quali coltivano la memoria storica, ha fatto tornare nelle menti di tanti i fatti avvenuti circa venticinque anni fa, quando l’organo di autogoverno dei magistrati ‘bocciò’ la candidatura di Giovanni Falcone alla guida dell’Ufficio istruzione di Palermo (allora era in vigore ancora il codice Rocco e l’Ufficio istruzione istruiva i processi).
Le similitudini tra la ‘bocciatura’ di Di Matteo e il ‘siluramento’ di Falcone non sono poche. Falcone – si era alla fine degli anni ’80 del secolo passato – era tra i grandi protagonisti del Maxiprocesso alla mafia. Un processo che, per la prima volta, portò alla sbarra 475 imputati accusati di mafia. Processo difficilissimo che si concluderà in Cassazione nel 1992. Falcone, giudice simbolo della lotta alla mafia, sembrava l’erede naturale di Antonino Caponnetto, il magistrato che guidò l’Ufficio istruzione dopo l’assassinio di Rocco Chinnici e che, andando via, pensava di lasciare il posto a Falcone. Invece il Csm gli preferì Antonio Caponnetto, un magistrato che aveva lavorato molto nel civile.
Anche Di Matteo, a dir la verità, sembrava tagliato per andare a mettere a disposizione la propria esperienza nella Procura nazionale antimafia. Di Matteo, insieme con Antonio Ingroia (che ormai non fa più il Pubblico ministero), è stato ed è ancora il protagonista del processo sulla trattativa tra Stato e mafia. La sua designazione sembrava quasi logica. Invece è stato scartato.
Le similitudini con il ‘siluramento’ di Falcone non finiscono qui. Falcone – come oggi Di Matteo – era un magistrato sempre sotto scorta, perché inviso alla mafia. Idem Di Matteo. Falcone fu oggetto di un attentato: le bombe non esplose trovate all’Addaura, a pochi metri dalla casa dello stesso magistrato. E di attentati si parla ripetutamente per Di Matteo, anche lui, come avveniva per Falcone, super-scortato.
Insomma, questa vicenda di Di Matteo, con il richiamo all’ostracismo subito alla fine degli anni ’80 da Falcone, fa pensare alla “teoria dei corsi e dei ricorsi storici” di Giovan Battista Vico. Il filosofo napoletano sosteneva che alcuni accadimenti si ripetevano, con le medesime modalità, anche a distanza di tanto tempo. In questo caso sono passati circa venticinque anni. Secondo Vico, la ripetizione di certi fatti storici non avveniva per caso, ma secondo un disegno voluto dalla divina provvidenza. In questo caso la divina provvidenza non dovrebbe avere avuto alcuna parte…
Per la cronaca, il Csm ha ‘bocciato’ De Matteo preferendogli Eugenia Pontessuglia (pubblico ministero del processo sulle escort che l’imprenditore Paolo Tarantini portava nelle ville di Silvio Berlusconi), Marco Del Gaudio, pubblico ministero nel processo all’ex presidente di Finmeccanica, Pierfrancesco Guarguaglini, e Salvatore Dolce, un magistrato che si è occupato di ‘ndrangheta in Calabria.
A Di Matteo sono andati cinque voti contro i sedici voti dei tre magistrati designati dal Consiglio superiore della magistratura. In favore di Di Matteo hanno votato il presidente e il Pg di Cassazione, Giorgio Santacroce e Pasquale Ciccolo, i togati Aldo Morgigni e Piergiorgio Moro e il laico Antonio Leone (del Csm fanno parte membri o componenti che non sono magistrati e vengono chiamati non togati o membri laici, scelti dal Parlamento e, quindi dai partiti). Si sono astenuti i componenti laici Giuseppe Fanfani (Pd), Paola Balducci (Sel), Alessio Zaccaria (Movimento 5 Stelle) e Renato Balduzzi (Scelta civica). Non ha partecipato al voto il vice presidente, Giovanni Legnini.
Non si può fare a meno di notare le stranezze dei voti espressi da alcuni dei componenti laici del Csm, cioè dai soggetti scelti dai partiti politici. Antonio Leone, esponente del Nuovo centrodestra democratico di Angelino Alfano, ha votato a favore di Di Matteo. Un voto particolare, considerato che tanti cittadini, a Palermo, sono spesso scesi in piazza in difesa di Di Matteo, contestando il ministro Alfano, reo, a loro dire, di non proteggere adeguatamente il magistrato. Questo perché Di Matteo e la sua scorta sarebbero ancora privi del dispositivo jammer. I bomb jammers, sempre per la cronaca, sono dispositivi utilizzati dai militari. Servono per neutralizzare i dispositivi radio-controllati che fanno esplodere le bombe. Argomenti che i siciliani conoscono bene, visto che i dispositivi radio sono stati utilizzati nella strage di Capaci (dover persero la vita Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e alcuni uomini della scorta) e nella strage di via D’Amelio (dee persero la vita il giudice Paolo Borsellino e gli uomini e le donne della scorta).
Si è astenuto l’esponente del Movimento 5 Stelle, Stelio Zaccaria. E dire che i grillini siciliani (con riferimento ai deputati del Parlamento siciliano del Movimento 5 Stelle) sono sempre in prima fila nella manifestazioni in difesa di Di Matteo.
Ancora per la cronaca, nelle scorse settimane il Csm ha proposto a Di Matteo un trasferimento da Palermo in altra sede. Il Pm del Tribunale di Palermo si è riservato di attendere l’esito di alcuni concorsi, compreso quello per la Procura nazionale antimafia.
Foto tratta da informareperresistere.it