“Come farei a spiegare a un bambino cos’è la felicità? Gli darei un pallone e lo lascerei giocare”. La frase della scrittrice tedesca Dorothee Sölle calza anche a un bambino di 23 anni dai capelli rossi, con l’aggiunta di due elementi: assieme alle palline (la variante) dategli una racchetta (il dettaglio) come punto d’appoggio e solleverà il mondo. Se la missione era gustare di nuovo il piacere del gioco, ebbene Sinner è tornato e ha ricominciato a divertirsi.
Forse non è ancora al massimo della forma, ma la nottata — leggi: l’inchiesta per doping — è passata. Lo dice il modo in cui ha strapazzato Christopher O’Connell sull’Arthur Ashe, davanti a un pubblico particolarmente bendisposto. Le condizioni erano ideali: 25 gradi di temperatura, umidità al 71 per cento, il sole che ha reso inutile la chiusura del tetto sul campo centrale. L’australiano trentenne, zero titoli Atp, best ranking 54, al momento numero 87, è stato la spalla perfetta. In tre set veloci veloci, Jannik ha messo in mostra l’argenteria che l’ha portato al vertice delle classifiche: il servizio ritrovato, la frustrata di dritto, il pressing da fondo, la smorzata, il passante di rovescio in cross e lungolinea. Ha funzionato proprio tutto e non era scontato.
O’Connell, professionista dal 2011, è uno che comunque andava battuto: lui e il suo rovescio a una mano non usano fare regali di Natale anticipati. Sinner lo sapeva. I confronti diretti erano pari: tre anni fa ad Atlanta prevalse l’australiano, a fine marzo sul cemento di Miami aveva vinto in scioltezza l’altoatesino. In quelle occasioni Chris aveva dimostrato personalità, la stessa che tra il 2017 e il 2018 l’aveva portato lontano dal tennis. I troppi infortuni — una frattura da stress alla schiena, la polmonite, la tendinite a un ginocchio — gli avevano imposto di uscire dal tritacarne, via dalla pazza folla del circuito e dai suoi interpreti. Da qui una scelta estrema: “Sono andato a pulire barche con mio fratello Ben, nella baia di Laguna Quays. Anche se guadagnavo poco e mi dicevano che ero matto, ho ritrovato l’equilibrio”, ha raccontato. Tornando nel tour s’è messo in tasca qualcosa in più che uno stipendio mensile per badare agli yacht dei ricconi: il terzo turno a New York consegna a chi ci arriva un assegno di 215 mila dollari. Mica male, no?
Di partita ce n’è stata poca. Il ragazzo meraviglia è riuscito in un gioco di prestigio: fare nello stesso tempo la recita e la prova generale. Equilibrismo utile a recuperare il tempo e i colpi perduti durante i mesi dei tormenti legati al Clostebol, la sostanza proibita trovata nel suo corpo ancorché in misura infinitesimale. È stato un allenamento in gara, neppure troppo rischioso vista la differenza tra lui e lo sparring partner: lo schiocco limpido delle corde sulla pallina, quel toc che è il marchio di fabbrica di Jannik, s’è sentito forte e chiaro nello stadio. Va detto comunque che O’Connell ha provato in tutti i modi a restare a galla. Ha seguito l’indicazione del coach Matosevic — “Lascia andare il braccio” — per poi ripiegare prudentemente sul rovescio in back che gli ha reso qualche minimo dividendo. Ma non era proprio aria. Lo score dice 6-1, 6-4, 6-2 in due ore scarse di partita, ma soprattutto impressiona il confronto tra i punti fatti: 92 a 57. “Sapevo di dover essere concreto — ha spiegato Sinner alla fine — e lo sono stato. Sono contento: ho preso confidenza con il servizio e anche la risposta ne ha giovato”.
Impossibile eludere la domanda del giorno, quella sulle eliminazioni eccellenti di Alcaraz e Djokovic. Da manuale la risposta: “Ci sono state finora grandi sorprese, il tennis è un gioco imprevedibile. È la dimostrazione che ogni avversario è complicato, tutto corre talmente veloce che le partite possono cambiare in un attimo. Ma io sono qui: cercherò di migliorare giorno per giorno, alzando l’intensità e l’attitudine mentale”. Sinner troverà negli ottavi uno tra il canadese Diallo e l’americano Tommy Paul: che la festa cominci.