Anche senza Neymar il Brasile va agli ottavi. Alla vittoria all’esordio con la Serbia (2-0) è seguito il bis un po’ più sofferto con la Svizzera (1-0). Lo squadrone verde oro è talmente zeppo di campioni che per l’ordinaria amministrazione può fare anche a meno del suo astro assoluto. Sbuca sempre un Richarlison, attaccante del Tottenham che secondo le valutazioni sempre un po’ folcloristiche di Cassano “é una pippa”, a estrarre dal suo talento ondivago una doppietta con la Serbia. O Casemiro, centrocampista del Manchester United, a liquidare verso il finale con un supergol la Svizzera in una partita che si era fatta complicata.
Neymar, vittima al debutto di un grave infortunio alla caviglia destra con interessamento ai legamenti del ginocchio, rimane in questo mondiale affacciato alla finestra. Adorato come un dio pagano dai brasiliani che ritengono imprescindibile il suo recupero per la conquista della sesta Coppa del Mondo che manca dal 2002. Anche se non è più un ragazzino – ha 30 anni – e le sue stratosferiche quotazioni nelle ultime stagioni sono notevolmente scese (da 222 milioni di euro a poco più di 90). Ma Neymar è il fuoriclasse che coi suoi virtuosismi sa accendere la lampada della fantasia. Un totem per un paese che vive il calcio come una religione laica. Il vero erede, per la stragrande maggioranza dei brasiliani, di Sua Maestà Pelè.

A onor del vero il paragone può reggere solo per lo spessore tecnico, non per il carnet dei risultati e neanche per la disciplina caratteriale. Neymar non ha mai vinto un mondiale mentre Pelè è l’unico giocatore che è riuscito a conquistarne addirittura tre (1958 in Svezia, 1962 in Cile, 1970 in Brasile contro l’Italia). E anche se riuscisse a mettere la sua firma su questo gli sarebbe probabilmente impossibile uguagliare nel prosieguo il record de “o rey”.
I suoi due precedenti mondiali sono stati un mezzo flop. Otto anni fa in Brasile brillò a corrente alternata e un altro grave infortunio gli evitò l’umiliazione del Mineirazo (la storica sconfitta per 7-1 subita a Belo Horizonte dalla Germania che poi avrebbe vinto il titolo in finale contro l’Argentina). Quattro anni fa in Russia si rese antipatico per una serie di simulazioni teatrali e per l’eccesso di vittimismo sui falli subiti. Il Brasile arrivò fino ai quarti dove venne eliminato dal Belgio, senza che mai Neymar si mostrasse veramente decisivo.
Anche nei club l risultati sono stati inferiori alla fama. In Brasile, con il Santos (la stessa squadra di Pelè) ha vinto sì la Coppa dei Libertadores. E in Europa con il Barcellona una Champions. Ma nel Barcellona era un po’ offuscato da Lionel Messi. E nel Paris Saint Germain, dove oggi gioca, è oscurato da Mbappè. Tanto che il pallone d’oro anche nelle annate di maggior fulgore non è mai riuscivo ad aggiudicarselo.
Il suo stile di vita, disinibito e troppo dipendente dal lusso, è poi lontanissimo dalla riservatezza e dalla sobrietà di Pelè. Ma sono due icone imparagonabili perché appartengono a epoche troppo diverse. Neymar è figlio della modernità anche nel modo sopra le righe con cui interpreta la sua popolarità. Che ora è chiamato ad onorare con l’unico traguardo che può consacrarla: la Coppa del Mondo.
Avendo una natura da combattente non si è accasciato per l’infortunio. “Brutto incidente”, ha stretto i denti, parlando con accenti profetici. “Ma farò il possibile per aiutare il mio paese, i miei compagni e me stesso. Sono il figlio del Dio dell’Impossibile e la mia fede è interminabile”. Il selezionatore Tite lo aspetta sicuramente in finale (se la marcia del Brasile sarà trionfale) o anche prima (se i medici lo rimetteranno in sesto in tempi celeri).
In nome del calcio, tutto il Brasile è ai suoi piedi. Anche i sostenitori di Lula che il mese scorso avevano storto il naso per il sostegno che aveva apertamente manifestato a Bolsonaro. Lula, un po’ piccato, aveva ipotizzato che fosse un debito contratto verso il leader sovranista per la concessione di alcuni privilegi fiscali. Falso, era stata la controreplica: l’amnistia fiscale era stata precedente alla discesa in campo d Bolsonaro. “È semplicemente democrazia”, aveva concluso sornione Neymar.
È scontato che se riporterà la Coppa a casa Lula sarà il primo ad abbracciarlo, come se avesse votato sempre per lui. È la democrazia del pallone