Tutto è cominciato a Roma nel 1960. I Giochi più umani dell’era moderna riconobbero per la prima volta le Paralimpiadi, che celebrano da oggi all’8 settembre la diciassettesima edizione. Accade a Parigi, due settimane dopo la chiusura dell’Olimpiade estiva. Sembra un fatto scontato, ma non lo è: è solo da Seul 1988 che la sede è unica per le due grandi manifestazioni. In gara ci saranno 4.440 partecipanti di ogni razza e nazione, la prova di un universo nuovo che si è preso la scena e non la molla. Da record è anche la squadra azzurra, mai così folta: settanta donne e settantuno uomini impegnati in 17 discipline, che proveranno a eguagliare — se possibile, a superare — le 69 medaglie di Tokyo 2021. “La vostra presenza qui, numerosa e qualificata, è già un traguardo”, ha detto il presidente Mattarella stamattina, pranzando con gli atleti al Villaggio. Davanti alla bandiera tricolore e a quella con i cinque cerchi ha aggiunto solenne: “Vi ringrazio di rappresentare il nostro Paese”.
#Parigi2024 il Presidente #Mattarella 🇮🇹 pranza con le atlete e gli atleti italiani partecipanti alle Paralimpiadi
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— Quirinale (@Quirinale) August 29, 2024
Non si tratta soltanto di una grande kermesse sportiva, è evidente. Lo sottolinea Luca Pancalli, 60 anni, presidente del Comitato italiano paralimpico, che ha preso parte a dieci spedizioni da atleta o dirigente. È il punto di riferimento, la porta scorrevole avvitata sul cardine di un’esperienza personale dolorosa. “Lo sport rappresenta la colonna sonora della mia storia. Facevo il pentathlon moderno, finché, durante una trasferta con la Nazionale, ho avuto l’incidente che mi ha costretto in carrozzina. Ho pensato che la vita fosse finita e invece lo sport mi ha salvato. Tornare a essere atleta, sentire la fatica, l’odore dello spogliatoio, l’acqua della piscina mi ha fatto ritrovare me stesso”. Pancalli si porta addosso l’orgoglio di aver visto quel mondo uscire dall’ombra. Dietro si intuisce un lavoro lungo e complesso. Spiega: “Le cose non accadono per caso. I cambiamenti sono frutto di una visione di politica sportiva, che prevede l’incastro di tanti tasselli: dalla comunicazione alla promozione, dalla cura degli atleti allo sviluppo delle tecnologie e dei materiali”.
Il punto di svolta mediatico è stato a Londra 2012. “La Rai — ricorda Pancalli — garantì 14 ore di diretta al giorno permettendoci di entrare nelle case. In quel momento lo sport è diventato una strada in discesa per l’integrazione: l’immagine di Alex Zanardi che alza la carrozzina con una mano è rimasta una cartolina indimenticabile. Molti, ai tempi, neppure sapevano che le persone con disabilità potessero praticare sport, men che meno agonistico. Hanno cominciato a telefonare agli organi di stampa, a cercare referenti sul territorio: per tante famiglie è stata una possibilità d’inclusione straordinaria”. Però, più del messaggio sportivo, che è una vetrina popolare immediata, contano forse le sue ripercussioni. “I nostri atleti vengono arruolati nei gruppi sportivi dell’esercito: questo significa pari dignità e stesse opportunità economiche. È un bel segnale per le aziende. Se la Polizia o la Guardia di Finanza aprono le porte alla disabilità, il mondo produttivo non ha più alibi. Deve assumere oppure resta al palo”.
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Certo i problemi non mancano. Sono numerosi e complicati da risolvere. Il più evidente è un caso di forma e di sostanza: trovare le parole giuste per definirsi. Il termine “paralimpico”, che elimina i riferimenti al corpo come carrozzina, cieco, amputato, è il segno di una conquista accolta nel vocabolario Treccani. “Per i prossimi 11 giorni sentiremo parlare di disabilità a ogni ora del giorno. Si sprecheranno vocaboli come eroi, superman, wonder woman. E poi frasi del tipo: nonostante sia senza un braccio, malgrado non abbia le gambe. La realtà è che invece saranno in gara dei grandissimi atleti”. Il richiamo a evitare banalità viene da Fortunato Nicoletti, dirigente dell’organizzazione di volontariato “Nessuno è escluso” e padre di una bimba affetta da malattia rara. Il suo post su Facebook è esplicito: “Facendo sport hanno trovato un’occasione, non per dimostrare qualcosa a qualcuno e nemmeno per prendersi una rivincita sulla vita. L’obiettivo è rivelare a se stessi che attraverso uno spazio, qualunque esso sia, e un’occasione, non importa quale, si può diventare imbattibili nel percorso quotidiano”.
Quante saranno le stelle della Nazionale? Una, nessuna e centomila, perché chi partecipa ha già vinto la sua medaglia. Ma vincere anche sul campo è ancora più bello, inutile nascondersi. La più nota è Bebe Vio, fuoriclasse della scherma, che, in attesa di partire per Parigi, ha pubblicato un video sui social che la dice lunga sul suo spirito. Aprendo lo scatolone con la divisa e il resto del materiale, oltre a magliette, felpe e accappatoio ha tirato fuori tantissimi calzini. “Indispensabili”, ha commentato ironizzando sulle sue protesi, per aggiungere scherzando: “Questi vanno dritti dritti a mia sorella”. La campionessa veneta del fioretto, oro a Rio e a Tokyo nell’individuale, punta a uno storico tris e a colmare l’unico vuoto del suo palmares: la vittoria con la squadra. Poi c’è la portabandiera Ambra Sabatini, velocista livornese classe 2002, prodigio dell’atletica leggera. Nel 2019 ha subito l’amputazione della gamba sinistra a seguito di un incidente in scooter. Medaglia d’oro nei 100 metri a Tokyo, detentrice del record del mondo, punta a riconfermarsi sul primo gradino del podio. È la medesima ambizione dell’altro portabandiera, il veterano pugliese Luca Mazzone, nuotatore e paraciclista sulla sedia a rotelle dal 1990. La lesione al midollo riportata in un tuffo in mare non l’ha fermato: difende la vittoria di Tokyo conquistata con i compagni Cecchetto e Colombari.
Le storie si somigliano tutte per volontà, passione e tenacia. Eppure ciascuna è diversa. C’è per esempio Valentina Petrillo, diventata ipovedente a 14 anni per la sindrome di Stargardt: è la prima transgender a partecipare alle Paralimpiadi, dove correrà i 200 e i 400 metri. Così pure si distingue nel mucchio Manuel Bortuzzo, 25 anni, finito per sua sfortuna sulle pagine di cronaca nera. Nella notte tra il 2 e il 3 febbraio 2019, giovane promessa del nuoto, fu accidentalmente vittima di un agguato: un colpo di pistola alla schiena, la lesione al midollo, la paralisi irreversibile. Sognava i Giochi, sarà in piscina a battersi fra le corsie da atleta paralimpico. È un’impresa, non un premio di consolazione.