Francia-Uruguay è finita 2-0 al 90′. La Celeste ha pagato l’assenza di Edinson Cavani e la clamorosa papera del portiere Muslera. Tante emozioni in Brasile-Belgio, con i Diavoli Rossi che avanzano in semifinale battendo i favoriti verdeoro (2-1) e dimostrando netta superiorità. Match dall’esito prevedibile, invece, tra Inghilterra e Svezia (2-0). L’ultimo quarto tra Russia e Croazia si conclude con i calci di rigore dopo il 2-2 dei tempi regolamentari: questa volta, però, i padroni di casa non sono riusciti a ripetere l’impresa come contro la Spagna.
Nella vita di un tifoso di calcio italiano, esistevano un tempo almeno due certezze. Una, valida dal 1958 fino al novembre del 2017, era quella di vedere gli Azzurri scendere in campo ogni quattro anni nella competizione mondiale. Sessanta milioni di persone incollate agli schermi, tricolori appesi ai balconi, strade deserte, colonne sonore ascoltate alla radio e cantate fino alla nausea, e l’estate che, dopo la finale, sembrava non avere più alcun senso.
Inutile parlare ancora della disfatta della Nazionale, che non è riuscita a superare i play-off e a qualificarsi a Russia 2018. Adesso al nostro posto c’è la Svezia, giunta ai quarti di finale ed eliminata oggi dall’Inghilterra per 2-0. Ai tifosi italiani è rimasto un solo punto fermo: comunque vada, l’imperativo è “gufare” contro le nemiche, in primis Germania, Francia, Spagna e Brasile.
In effetti non sono mancate le “gufate”, nel mio Mondiale, ma per la prima volta ho sperimentato anche un modo diverso di appassionarmi al torneo. Considerate le premature e tragiche sorti dell’Argentina di Messi, la squadra su cui riponevo le speranze, ho deciso di assistere alle gare apprezzando il talento dei calciatori e la qualità del gioco, al di là delle simpatie personali e di calcoli da tabellone.

Forse per questo motivo, forse per la voglia di sfidare i miei limiti di sopportazione, forse per il (non troppo) recondito desiderio di veder piangere i supporters dei Bleus, ho abbandonato l’atmosfera tranquilla e disinteressata del mio solito pub di quartiere per recarmi al Bar Tabac di Boerum Hill, Brooklyn.
Bar Tabac è uno dei posti consigliati dal New York Times per seguire le partite della Francia. Il locale sorge su Smith Street, una zona che si colora a festa ogni anno per il giorno della presa della Bastiglia. Dall’esterno somiglia a uno dei tanti bistrò parigini con le vetrate spalancate e i tavolini ai lati del marciapiede. All’interno, i camerieri e i bartender francofoni rafforzano la sensazione di trovarsi oltralpe.
Ho chiesto il venerdì libero al lavoro per non perdermi Francia-Uruguay e Brasile-Belgio. Esagerata, chissà, fanatica, magari, non mi importa: un’occasione del genere capita ogni quattro anni. Quando sono arrivata a Brooklyn sotto la pioggia battente, comunque, non ero l’unica persona ad essere in “vacanza per Mondiale”. A mezz’ora dal fischio di inizio, infatti, il Bar Tabac era stracolmo di persone accorse per il match tra les Bleus e la Celeste.

Il novanta per cento dei presenti era francese, ovviamente e, tra i restanti, quasi tutti gli altri tifavano per il team europeo. Ero consapevole di essere in un ambiente ostile, io che avrei voluto alle semifinali l’Uruguay del mio primo grande amore calcistico, Edinson Cavani, costretto in panchina da un infortunio. Tuttavia non avrei mai pensato di essere circondata da drappi blu-bianchi-rossi, cori come “Nous sommes français… Nous allons gagner” (“Siamo francesi… Vinceremo”, che originalità, vero?) e persino il “po po po po po” sulle note di “Seven Nation Army” (“Ma non lo sapete che questo è l’inno dell’Italia Campione del Mondo a Berlino? Non lo sapeteeeeee?”, gridava la mia testa).
Quando è stato battuto il primo pallone, poi, mi sono dimenticata i buoni propositi di godermi lo spettacolo genuinamente e i miei istinti primordiali sono riemersi più vivi che mai, accentuati da ogni azione dei nostri acerrimi nemici. Al gol di Raphael Varane (40’) sul calcio di punizione di Antoine Griezmann, i baristi hanno lanciato un’enorme bandiera francese sulla folla. “Aiuto! Non mi toccate! Non mi fate foto!”, avrei voluto dirgli, mentre chiedevo a me stessa perché avessi scelto di punirmi in questo modo. Dopo il clamoroso errore di Muslera e la seconda rete di Griezmann (61’), senza il Matador, il “mio” povero Uruguay era spacciato, ma io continuavo a proiettare davanti agli occhi le immagini di Germania 2006, la traversa di David Trezeguet, il rigore di Fabio Grosso.
È stato a quel punto che mi sono lasciata coinvolgere dalla festa e mi sono lasciata andare. I camerieri hanno consegnato degli ombrelli, il bartender ha aperto bottiglie di spumante, una dopo l’altra, e il ventilatore da parete ha fatto il resto, una doccia di schiuma e vino sulla folla. La partita non era ancora terminata ma a Parig.. ehm, a New York, un venerdì mattina apparentemente normale, il pavimento tremava sulle note di “I Will Survive” di Gloria Gaynor.
Anche se il mio DNA non mi permette di partecipare alla festa dei Bleus, al Bar Tabac mi sono davvero divertita. In nessuna città del globo, se non a New York, sarebbe potuto succedere.