Fatto: se tra qualche mese il meteorite ‘Bad Boy’ colpisse la terra distruggendo ogni forma di vita animale, nessuno al di fuori del nostro pianeta ci farebbe caso, né spenderebbe una lacrima per noi. Non ci sarebbe una mano divina che ferma la meteora. L’universo continuerebbe a ruotare e a espandersi imperterrito come le ruote di una gigantesca macina su cui si fosse andato a posare un malcauto moscerino.
La narrazione
Se non avete chiaro cosa intenda per narrazione nei miei articoli, occorre che leggiate questo articolo (quantomeno la prima parte).
In breve, una caratteristica unica e fondamentale degli umani è la ‘narrazione’, ovvero quell’incredibile e rapidissima capacità di dare un senso alla propria vita e al mondo che ci circonda tramite il riferimento incessante a storie, veri e propri racconti a cui facciamo continuo riferimento.
La capacità di creare narrazioni (e fare nostre quelle degli altri) è ciò che veramente ci differenzia dagli altri animali (e non, come vi hanno forse insegnato alle elementari, il pollice opponibile).
Basti dire che sulla nostra capacità narrativa abbiamo costruito quasi tutto ciò che percepiamo come reale oggi, dalle regole della comunità, allo Stato, alle ideologie politiche, e perfino il denaro stesso.
Anche il nostro benessere è dato in larga parte dalla nostra capacità di ricordare e raccontare storie che in qualche modo danno senso alla nostra vita. Togliete la narrazione ed ecco tolto l’ingrediente che rende la vita degna di essere vissuta pressoché per tutti.
La potenza della narrazione: le realtà “intersoggettive”
La narrazione è quindi la funzione che dà un senso alla nostra vita e che ci permette di funzionare nella società. Ma c’è di più. È la capacità di creare e credere a storie che ha convinto gruppi di uomini a fare squadra per raggiungere dei risultati insieme, si trattasse di incalzare un mammut fino a farlo cadere giù da un burrone, di fare guerre a popolazioni vicine, di costruire cattedrali o di creare istituzioni e di attribuire ad esse un valore che trascende l’importanza delle nostre singole vite (magari con l’aiutino di una narrazione sulla vita eterna garantita nell’aldilà).
La narrazione non ci è semplicemente utile. Ci è indispensabile. Senza la narrazione saremmo solo delle scimmie che passano le loro giornate sugli alberi pensando al sesso e alle banane.

I valori morali, le leggi, le istituzioni, la religione, la chiesa, lo Stato e tutte le ‘strutture’ che consideriamo molto vere e molto reali nella nostra vita quotidiana hanno fondamento in molteplici narrazioni accatastate nei secoli l’una sull’altra.
Tolte alcune cose molto concrete come l’aria, l’acqua, il cibo e il contatto fisico con altri sapiens, il nostro mondo è fatto di “realtà virtuali collettive” che Yuval Noah Harari definisce ‘intersoggettive’. Esse hanno senso e validità solo nel momento in cui tutti collettivamente accettiamo di crederci.
L’esempio più potente che mi viene in mente è il denaro. Se vi chiedessi di scegliere tra ricevere un milione di euro e una mucca da latte, scegliereste sicuramente la prima opzione.

Immaginate ora di essere naufraghi su di un’isola sperduta nel Pacifico. In quel caso, la scelta sarebbe ben diversa. Meglio una bella vaccona. I soldi porterebbero ben poco beneficio in un contesto in cui non ci siano altri umani disposti a credere anche loro che quei foglietti di carta abbiano effettivo valore. La vaccona invece…
Un riassunto vergognosamente breve della storia dell’uomo
In breve, le narrazioni sono ciò su cui abbiamo costruito e ancora oggi costruiamo i nostri modelli di convivenza. Nessun progresso umano sarebbe stato realizzabile senza la potenza della narrazione (e probabilmente neppure molti epic fail colossali tipo nazismo, comunismo e guerre con milioni di morti avrebbero avuto luogo, ma non divaghiamo).
Una volta compreso il meccanismo della narrazione, la storia umana si rivela straordinariamente semplice da interpretare. Religioni e ideologie (e le leggi che da esse ne traggono forza e legittimazione) altro non sono che storie che codificano il compromesso tra una società e i suoi membri. A volte perché costretti, ma più spesso perché è la scelta più naturale per vari motivi, gli omo sapiens fanno proprie leggi e valori morali del gruppo in cui sono nati e in cui vivono.
Per decine di migliaia di anni, e fino a pochi millenni fa, la realtà di ogni uomo è stato l’ambiente violento e spietato in cui vigeva la legge del più forte.
In quel contesto, persino le regole (dettate dagli dèi!) che gli schiavi dovessero lavorare per un tozzo di pane senza rompere i coglioni alle classi alte apparivano giuste, ragionevoli e, soprattutto, convenienti per gli schiavi stessi. Il Codice di Hammurabi, ad esempio, garantiva comunque protezione e sostentamento a tutti nell’impero babilonese di 3500 anni fa.
Nei secoli, le esigenze degli uomini si sono fatte più sofisticate e con esse le narrazioni a supporto delle nuove strutture sociali e di Stati in grado di offrire maggiore protezione e sviluppo economico ai suoi membri.
Un passaggio importantissimo nella qualità delle narrazioni è stato quello che ha rimosso la divinità dal ruolo centrale per rendere l’uomo, le sue capacità e i suoi bisogni i veri protagonisti intorno a cui la storia gira.

Sto parlando di Umanesimo. Messa da parte gradualmente la centralità di dio a partire dal Rinascimento, si è arrivati al concetto di Stato come entità superiore per organizzare la società e gestire e difendere un territorio.
Ovviamente, sotto l’ombrello dello Stato come narrazione intersoggettiva c’era ancora ampio spazio per scelte politiche molto diverse. Superata l’idea del monarca assoluto, l’evoluzione di quelle strategie politiche ha portato alle grandi ideologie del Novecento: Socialismo, Nazismo e Capitalismo.
Oltre alle religioni, anche le ideologie sono tutte narrazioni intersoggettive ovviamente. Se va sans dire.
Lo Stato
Gli Stati sono convenzioni prese per buone dagli uomini. Non esiste un motivo naturale per cui il confine tra due paesi debba passare di lì, ma, più spesso che no, esistono secoli di cultura, storia e guerre che rendono chiara a tutti la situazione: Al di qua della frontiera ci sta un popolo con leggi, cultura, lingua e usanze comuni. Al di là, ci sta un popolo diverso, con lingua, cultura e usanze diverse.
Essendo lo Stato una realtà intersoggettiva, sarebbe facile per chiunque urlare “il Re è nudo!” e sostenere che lo Stato è solo una convenzione. Eppure in pochi lo fanno. A fronte di relativamente pochi impegni per il cittadino (le tasse, principalmente), lo Stato offre vantaggi enormi, quali protezione dalla violenza, un sistema di leggi e la macchina amministrativa per farle rispettare, la moneta dello Stato, l’istruzione dei figli, le cure sanitarie, le pensioni quando si è anziani, l’accesso a un lavoro, le infrastrutture per permettere lo sviluppo economico e altro ancora.
In breve, i cittadini ricevono molto dallo Stato e quasi nessuno ha interesse a demolirlo. Tra i compiti dello Stato c’è anche la protezione delle frontiere. Controllare chi entra e chi esce è un’ottima idea per una serie di ottimi motivi che tutti conosciamo.
In molti Stati, poi, i cittadini hanno accesso a un passaporto che gli consente di viaggiare un po’ il tutto il mondo. Ovviamente, parliamo dei paesi “capitalisti”, quelli che hanno fatto loro il modello basato su democrazia, libero mercato e diritti umani.
Fino a poco tempo fa non era così dappertutto. Anzi.
Il Nazismo, il Socialismo e il Capitalismo
Semplificando un po’, i nazisti affermavano questo: se la natura è tale che il più adatto a sopravvivere vince, che problema c’è se i più forti e organizzati si prendono tutto quello che gli pare riducendo gli altri uomini al ruolo schiavi? In fondo, è la natura stessa che ci insegna che quel meccanismo è più che legittimo: è nell’ordine naturale delle cose.
Una narrazione molto convincente, non si può negare, specialmente per coloro che, in quegli anni, si sentivano i più forti e i meglio organizzati (che coincidenza!)
Gli Stati capitalisti e socialisti hanno dovuto allearsi e fare una guerra mondiale con decine di milioni di morti per debellare la narrazione nazista e far cambiare idea a quelli che la sostenevano.

Dopo la partita è stata a due. Gli Stati totalitari socialisti hanno avuto la peggio nella sfida col capitale e si sono convertiti a economie di mercato anche loro. La considerazione di fondo era ovvia. Meglio uno Stato che distribuisce ricchezza in maniera poco equa tra i suoi cittadini di uno che distribuisce a piene mani la povertà a tutti.
In questo periodo storico il modello vincente è quello capitalista, benché ci si stia accorgendo che un modello economico basato sulla crescita costante non è sostenibile per vari motivi, a partire da quello ecologico. Ma non divaghiamo.
Terminato il secondo conflitto mondiale, l’umanità si è fatta alcune domande serie su cosa diamine fosse successo, su come si fosse potuto essere arrivati a tanto e, soprattutto, su come evitare che tale orrore si ripetesse in futuro.
Il risultato è stata un documento che tutti gli Stati, sia quelli socialisti che quelli democratici, hanno fatto proprio: la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.

I diritti umani non esistono in natura. Sono anch’essi una narrazione inventata dell’uomo moderno. Eppure, come tante altre realtà intersoggettive, essi hanno motivo di essere.
La dichiarazione dei diritti dell’uomo è un po’ come una polizza assicurativa che la razza umana ha stipulato con se stessa. È quella che assicura a tutte le persone diritti minimi garantiti. Tutte. Maschi e femmine. Ricchi e poveri. Alti e bassi. Bianchi e neri. Intelligenti e stupidi. Giovani e vecchi. Sani e malati.
Pericoloso accettare il concetto che una persona meriti di morire solo perché ha qualche caratteristica diversa da una qualche “norma”. Su questo, tornerò più avanti.
Parliamo di immigrazione
Probabilmente vi state chiedendo perché vi ho raccontato tutte queste cose in un articolo che dovrebbe parlare di immigrazione. Il problema è che non si può parlare di immigrazione senza avere chiari alcuni aspetti di base del mondo in cui viviamo, della storia che ci ha portato fino a qua e della natura umana.
Pochi argomenti sono polarizzanti come le discussioni sull’immigrazione, sia in USA che in Italia. Nel belpaese è praticamente impossibile aprire bocca sull’argomento senza essere classificati come appartenenti ad un fronte (‘i buonisti’, ‘i radical-chic’) o ad un altro (‘i razzisti’, ‘i cattivisti’, ‘i leghisti’).
In questo articolo provo ad affrontare nel modo più razionale possibile le domande principali intorno all’immigrazione, basandomi su quello che conosco io sulla psicologia umana e la storia dell’umanità. Userò i termini “buonisti” e “cattivisti” per fare riferimento ai due poli opposti della discussione, ma senza voler insinuare un giudizio morale sui sostenitori dei rispettivi “schieramenti”.

Perché ci sentiamo minacciati dagli immigrati?
Articoli di stampa e discussioni sui social vedono contrapposti buonisti e cattivisti. Secondo uno schema classico, i buonisti fanno vedere immagini di immigrati in difficoltà, gente disperata o addirittura bambini morti annegati. La loro assunzione è che tali immagini non possano non fare breccia nel senso di empatia e di umana pietà di ogni persona.
Come vediamo quotidianamente, però, non è così. O almeno non lo è più. Come è possibile che cittadini di uno stesso paese, persone affini per cultura ed educazione, arrivino a sviluppare sensibilità tanto diverse per la stessa situazione?
La psicologia spiega abbastanza facilmente tutti i meccanismi in gioco.
Iniziamo con l’empatia. Contrariamente a quanto potreste credere, essa non è un sentimento esclusivamente umano. Gli etologi hanno dimostrato che persino certe specie di scimmie hanno capacità di immedesimarsi con le sofferenze di altri esemplari della loro specie. È normale quindi che le moralità che si sono sviluppate in culture umane a latitudini ed età diverse prevedano più spesso che no il concetto di fratellanza e di sostegno reciproco tra essere umani.
È anche normale che chi avverte più profondo questo senso di pietà non riesca a concepire che altri siano sordi a quei sentimenti.
Vi è però un altro istinto che è naturale negli umani. Sto parlando dell’istinto a non fidarsi di coloro che sono avvertiti come esterni al gruppo. Questo istinto ci ha fatto ovviamente molto comodo duranti le ultime centinaia di migliaia di anni di evoluzione Darwiniana. Il senso degli animali per la paura non è nato per caso. Bensì è stato lo strumento che ha permesso a certe specie di andare avanti, mentre altre soccombevano.
Come accennavo in un precedente articolo, la paura è gestita dalla amigdala, ovvero da una parte del cervello che agisce a livello subconscio. Una volta che la paura è stata attivata, la mente umana crea e recepisce narrazioni sfruttando il bias da conferma ed altri bias per trovare supporto alle proprie strategie di difesa, anche se questo significa silenziare il proprio sentimento di empatia.
Davanti alle immagine dei bimbi morti annegati, i cattivisti rispondono negando la responsabilità per il problema immigratorio, negando che le persone siano in effettiva difficoltà, facendo riferimento a teorie complottistiche (es.: le navi di Soros), negando la veridicità delle informazioni, e generando un framing mentale di invasione del proprio territorio e di minaccia da cui occorre inevitabilmente difendersi.
In questo giocano un ruolo cruciale il web e i social media. L’anonimato, la responsabilità condivisa (e quindi non più personale) e la dimensione del gruppo sono tre ingredienti chiave dei social che fanno da catalizzatori al processo di ‘deindividuazione’ (perdita della consapevolezza di sé quando si agisce all’interno di un gruppo). Gruppi di persone che prese singolarmente sarebbero tenute a bada dai loro stessi freni inibitori, su Internet si scatenano facendo a gara a de-umanizzare gli immigrati (“sono tutti criminali”, “gli extracomunitari sono dei sozzi”, “i negri non possono essere italiani”).
Occorre anche osservare che la negritudine degli immigrati facilita il processo di deindividuazione. Istintivamente i sapiens trovano più facile de-umanizzare uno sconosciuto di razza diversa dalla propria.
Questo spiega molto facilmente come molti italiani siano arrivati a livelli di xenofobia e razzismo che 30 anni fa erano praticamente sconosciuti nel nostro paese.
Questa intervista di Nemo Nessuno Escluso (Rai 2) mostra la deindividuazione all’opera
In questo contesto ho trovato di particolare interesse che qualcuno si sia addirittura preso la briga di creare dei falsi con photoshop nel tentativo di dimostrare che le foto dei bambini annegati fossero fake news.

Più che un esempio di malvagità umana, vedo una persona che ha incredibili difficoltà nel trovare una sintesi tra i due istinti, un po’ come quei politici omosessuali latenti che hanno votato leggi contro i diritti dei gay prima di farsi beccare con le mani nel sacco.
Ovviamente il bias da conferma agisce anche per i buonisti, i quali ignorano a pié pari le difficoltà che il paese incontrerebbe dinanzi a un’ondata immigratoria incontrollata, a partire da criminalità e problemi di ordine pubblico.
Perché emigra la gente?
La gente lascia il proprio paese per diversi motivi. Questo articolo sul sito della BBC esamina la questione nel dettaglio, ma penso che si possano definire due gruppi: quelli che lasciano il loro paese perché devono (rischierebbero seriamente di morire) e quelli che lo lasciano perché vogliono, dal momento che cercano una vita migliore per una qualche definizione di vita migliore.
Ovviamente questa distinzione è rozza. Esistono situazioni di forte povertà dove il confine tra migrante economico e migrante di sopravvivenza non è facilmente distinguibile.
Trovare numeri attendibili sull’immigrazione non è facile. Google restituisce molto, ma solo in apparenza. I dati sono spesso confusi per una serie di motivi. Ad esempio:
- La definizione stessa di migrante è ambigua. Come considerare uno straniero che passa per l’Italia per andare in un paese del Nord Europa? E se poi quello decide di fermarsi in Italia? Per quanto tempo?
- Mancanza di distinzione tra immigrati regolari e irregolari.
- Diversi periodi di riferimento.
- La procedura che va da quando un immigrato richiede asilo a quando la pratica è risolta richiede molti mesi, a volte anni.
- Bias da conferma: i dati presentati sono scelti per rafforzare una presa di posizione predefinita, buonista o cattivista che sia. Non sono quindi sempre affidabili.
Il nostri Ministero degli Interni offre dati sul tema. Nel 2017, su 81mila immigranti irregolari che hanno richiesto asilo, circa 34mila (il 42%) hanno ricevuto una risposta positiva di qualche tipo che gli permetteva di rimanere nel territorio dello Stato per un periodo da 1 a 5 anni.
Questo significa che lo Stato italiano ha dato credito al loro resoconto di essere effettivamente in pericolo grave per la loro sicurezza e gli ha permesso di rimanere da noi. Tra questi ci sono i siriani fuggiti dalla guerra, ma non solo (le maglie delle commissioni sono state abbastanza larghe).
Gli altri lo hanno fatto perché non gli piaceva abbastanza il loro paese. L’Italia proverà a rimpatriarli (o si presume che ci proverà).
È giusto contrastare la migrazione economica?
I migranti economici sono persone che potrebbero (e dovrebbero) starsene nel loro paese o migrare in paesi che li accettano, ma che decidono di provare la fortuna entrando in paesi in cui non sono ammessi.
La protezione delle frontiere è una delle funzioni principali dello Stato. Ne consegue che lo Stato ha il diritto e il dovere di respingere i migranti economici perché questo è uno dei suoi compiti e delle sue ragion d’essere. Provare a contraddire questa realtà di fondo richiederebbe smontare il concetto stesso di Stato su cui si basano delicati equilibri mondiali. Sarebbe un’arrampicata sugli specchi di notevole fattura (a cui, per altro, alcuni non si sottraggono).
Ma oltre al diritto dal punto di vista legale, esiste anche un obbligo morale di contrastare l’immigrazione clandestina. Se i paesi europei non lo facessero, quello sarebbe il segnale per decine di milioni di altri potenziali migranti economici che il viaggio della disperazione ha possibilità concrete di essere coronato da successo. Ciò porterebbe ancora più immigrati a provare la loro fortuna in Italia e in Europa, mettendo a rischio le loro vite (incluse quelle di donne e bambini) durante il viaggio con mezzi di fortuna e portando ad un numero ancora maggiore di migranti morti.
Ma c’è di più. Un’immigrazione massiccia e incontrollata renderebbe progressivamente più difficile la gestione del problema, considerato anche che farsi carico di immigrati irregolari in Europa non significherebbe affatto diminuire la popolazione pronta a migrare negli anni a venire.
Come si vede dalla tabella sopra (Min. Interni), i paesi che maggiormente contribuiscono all’immigrazione clandestina verso l’Italia sono paesi africani con tassi di fertilità che vanno dai 4 ai 6 figli per donna.
Lasciare entrare indiscriminatamente centinaia di migliaia di persone sarebbe non solo sbagliato, ma non risolverebbe nulla. Quei popoli continuerebbero a fare più figli di quanto l’Europa è in grado di recepire.
Il problema vero qui è la sovrappopolazione del pianeta, che è un problema enorme che meriterebbe una discussione separata. Una cosa però si può dire. Non è trasferendo un pezzo consistente della popolazione africana in Europa che si risolvono i problemi dell’Africa. Facendo così, si comprometterebbe l’ecosistema europeo, senza spostare di un millimetro il problema africano.
Vi è poi anche un problema di correttezza. Perché un immigrato che arriva illegalmente dovrebbe avere la precedenza su chi si mette in fila per entrare in modo legale?
Detto questo non ha senso criminalizzare più del necessario i migranti economici. Per quanto non legittimati a venire in Europa, sono pur sempre esseri umani che provano a migliorare le proprie condizioni di vita e molti di noi, al loro posto, farebbero probabilmente la stessa cosa.
È giusto accogliere i rifugiati di guerra e altri sotto protezione umanitaria?
Un discorso a parte meritano invece i rifugiati di guerra e quelli che scappano da pericoli concreti per la propria incolumità. Qui entrano in gioco i diritti umani. Il senso di umanità e di fratellanza è patrimonio comune dei popoli europei (o almeno lo è stato fino a pochi anni fa). Come spiegato sopra, davanti all’incremento del fenomeno migratorio, partiti di estrema destra e xenofobi non hanno esitato a creare un framing di minaccia e di invasione che, negli anni, ha reso una grossa fetta della popolazione meno sensibile sui diritti umani.
Quello che molti sostenitori di misure estreme anti-immigrati non comprendono, però, è che la dichiarazione dei diritti umani è una specie di polizza assicurativa anche per loro. Essa è stata scritta per bloccare sul nascere narrazioni che sminuiscano l’importanza della vita umana, col rischio di sfociare in ideologie totalitarie tipo quelle che abbiamo conosciuto nel secolo scorso.
Facile prendersela con gli immigrati clandestini che, oltre ad essere dei poveri cristi, si pongono anche al di fuori della legalità. Però pensiamo a questo. Se oggi accettiamo di sacrificare i diritti umani perché ci fa comodo, cosa impedirà il formarsi di altre narrazioni che considerano la nostra vita sacrificabile?
Si potrebbe arrivare a un mondo in cui appare giusto che i vecchi muoiano prima perché non ci sono soldi per le pensioni o per le cure. Oppure uno dove è giusto che un povero sacrifichi la sua vita o alcuni suoi organi per una ricompensa in denaro da un ricco. O anche la situazione in cui uno Stato si faccia regime e neutralizzi i dissidenti politici con metodi violenti. O ancora giustificare che una nazione potente militarmente invada e soggioghi un altro paese in nome di qualche buffa scusa (oramai abbiamo capito tutti che i sapiens sono bravissimi a inventarne di nuove e fantasiose).
Insomma, la narrazione sui diritti umani non difende solo le vite dei disgraziati che si buttano in mare su un gommone, ma anche le nostre in un mondo che cambia fin troppo rapidamente. Rinunciarvi sarebbe il primo passo per riportare il mondo indietro di 500 anni e lasciare che la buona vecchia “legge del più forte” torni a essere lo strumento con cui si dirimono controversie. Non conviene a molti, neanche ai cittadini dei paesi occidentali.
Ha ragione l’Italia a lamentarsi con l’Europa di essere stata lasciata sola?
A volte mi chiedo come si sarebbe comportata la Germania se si fosse trovata da sola a gestire l’ondata migratoria dall’Africa come ha fatto l’Italia. Avrebbe chiesto all’Europa di farsi carico del problema e rivedere i trattati, o si sarebbe fatta carico del problema autonomamente?
Sospetto la seconda, anche se, in fondo, immaginarsi questi “universi paralleli” è un esercizio inutile. Se l’Europa è unita, occorre che i migranti, una volta arrivati in Italia e non respinti per qualche motivo, possano procedere ed andare in altri paesi Schengen. Se gli altri paesi Schengen non sono d’accordo (e non lo sono, visto che respingono attivamente i migranti provenienti dall’Italia alla loro frontiera), allora devono avere il coraggio di prendersi le proprie responsabilità e convergere ad uno strategia europea in cui oneri e spese nella gestione dei migranti sia condivisa.
Trovo triste che per fare una qualche differenza sia servito il metodo Salvini e la necessità di lasciare quei poveri immigrati disgraziati in alto mare per vari giorni, con l’Italia a fare la figura dei cattivi dopo anni passati a farsi carico del problema. L’Europa avrebbe dovuto dare prova di maggiore coesione e farsi carico del problema collegialmente già nel momento in cui il problema veniva sollevato civilmente dal governo italiano nelle sedi europee proprie in passato.
Da europeista, voglio essere speranzoso che le cose migliorino in futuro.
Sei a favore o contro gli stranieri in Italia?
Questa domanda che suona assurda a chiunque abbia messo piede fuori dal nostro paese almeno una volta, suona normale a molti connazionali. Se vi chiedessero “Sei a favore o contro quelli che hanno visitato Firenze?” probabilmente pensereste che chi vi ha fatto la domanda sia un cretino. Purtroppo quando si tratta di stranieri, molti italiani non percepiscono affatto la domanda come assurda e si finisce incastrati in discussioni surreali che non distinguono una badante regolare da una spacciatore immigrato clandestino.
Non è più concesso andare tanto per il sottile. Se provate a distinguere tra stranieri, immigrati, regolari e clandestini, finirete sicuramente annoverati tra i buonisti dai cattivisti, e tra i cattivisti dai buonisti.
I cattivisti fanno di tutta l’erba un fascio e mettono tutti gli stranieri in uno stesso gruppo di cui provano a dimostrare la cattiveria e il male che questi fanno all’Italia. Dall’altro lato, i “buonisti” a difendere tutto ciò che è straniero a prescindere.
La realtà è ovviamente più complessa. In Italia sono arrivati negli anni milioni di immigrati regolari che hanno fatto lavori che gli italiani non fanno più. Essere contro gli stanieri tout-court è una posizione senza senso. Si può e si deve distinguere tra lo straniero che viene in Italia per vie legali da quello che arriva illegalmente.
Tra tutti gli stranieri ci sono sicuramente anche dei criminali, ma non così tanti da giustificare l’equazione straniero = criminale, come la propaganda xenofoba vorrebbe far passare utilizzando l’euristica della disponibilità.
Molti immigrati col tempo sono diventati cittadini italiani e i loro figli sono madrelingua italiani. Quelli di razza “caucasica” sono indistinguibili da qualsiasi altro italiano. Gli arabi possono facilmente essere confusi con i nostri meridionali. Quelli di altre razze rischiano ancora di sentirsi discriminati da qualche idiota che crede ad astratti concetti di stirpe italica pura.
L’Italia ha bisogno di immigrati?
La risposta è sì, assolutamente. Con una fertilità femminile di 1,34 figli per donna, solo l’arrivo degli stranieri ci permette di essere un paese vecchio anziché totalmente decrepito.
Lo straniero medio in italia ha circa 33 anni. L’italiano medio ne ha 44. Non c’è da stupirsi quindi che la comunità di stranieri che lavorano in Italia contribuisca al sistema pensionistico e previdenziale più di quanto riceva. Diceva l’anno passato il capo dell’INPS Tito Boeri che gli stranieri contribuiscono 8 miliardi al sistema pensionistico, ma ne ricevono 3. Ciò ha mandato più volte su tutte le furie il capo politico della Lega che alcuni giorni fa ha ventilato la defenestrazione di Boeri, ma i numeri parlano chiaro. O Salvini dimostra che Boeri ha falsificato i dati, oppure la realtà per nulla sorprendente è che davvero il nostro sistema pensionistico si sostenga sullo slancio vitale portato dagli immigrati (e Salvini fa solo la sua solita propaganda).
Ovviamente, è fondamentale insistere che gli immigrati siano regolari. Gli USA, che nell’immigrazione hanno sempre trovato la loro forza, hanno regole per evitare che più del 7% degli immigrati arrivi da un singolo paese. Chi entra deve iniziare un percorso di americanizzazione. Altrimenti può tornarsene da dove è venuto.
Il sistema dei visti USA, inoltre, è strutturato in modo da incentivare l’arrivo di immigrati per cui c’è richiesta delle relative competenze. Una cosa che dovrebbe fare anche l’Italia, anziché accanirsi contro la legge che avrebbe reso italiani centinaia di migliaia di persone che italiani lo sono già di fatto (mi riferisco alla proposta di legge erroneamente chiamata “ius solis”).
La proposta di legge denominata “Ius Solis” sarebbe positiva o negativa per l’Italia?
Data la bassissima fertilità degli italiani, è sciocco non dare la cittadinanza a centinaia di migliaia di persone che sono italiani linguisticamente, culturalmente e hanno legami con il paese di origine loro o dei genitori assolutamente tenui. Proprio perché si vuole tenere forte la tempra del paese (e tenere a bada l’immigrazione clandestina), occorre inglobare le forze vitali che il sistema italia ha investito nel formare.
Conosco personalmente decine di “italiani di fatto” che ho scoperto non essere italiani solo perché me lo hanno rivelato loro, e non certo perché traditi dal loro eloquio con cadenza milanese, romanesca, bergamasca, fiorentina o napoletana. Che senso può avere per uno stato moderno commettere delle angherie nei confronti di quelli che sono propri cittadini da praticamente tutti i punti di vista? Eppure è esattamente ciò che accade nel momento in cui le forze politiche italiane rifiutano di facilitarne la naturalizzazione.
Ho trovato significativa nei giorni passati la notizia delle 4 atlete italiane di colore che hanno vinto l’oro ai XXVIII giochi atletici del Mediterraneo in Spagna:
Su questa notizia il fronte buonista è andato a nozze, mentre quello cattivista si è un po’ spezzato. Mentre molti (tra cui Salvini e la Meloni) hanno capito che non avevano margini per prendersela con gli immigrati, alcuni commenti razzisti non rimossi su IlGiornale.it lasciano francamente allibiti:
“Capisco la necessità di Salvini di fare breccia anche tra coloro che non hanno ancora capito la profonda rivoluzione che il suo governo sta portando in Italia. Comprendo e sottoscrivo, ma sono convinto che il suo reale pensiero sia ben altro e distingua molto bene tra italiani e africani che hanno la cittadinanza italiana. A questo proposito, si dovrà intervenire anche sulla concessione della cittadinanza che oggi è legata a cose burocratiche come il matrimonio, ecc. Andrà riportata al concesso essenziale della razza, senza per questo essere razzisti ma solo logici. Anche sulla cittadinanza tireremo dritto.” – perSilvio46
e ancora:
“cari Salvini e Meloni, piuttosto delle dichiarazioni scontate avrei preferito il vostro silenzio. No, io non mi sento proprio rappresentato da queste, perché non sono italiane, punto. Non voglio vedere un’Italia fatta da persone con la pelle scura. Si fermi questo scempio.” – Anticomunista75
Ovviamente il nick anonimizzante è parte integrante del processo di deindividuazione che ho nominato precedentemente. Se dovessero usare il loro nome vero le persone avrebbero molte più remore a farsi avanti.
Perché l’Italia e i paesi occidentali non fanno più figli?
Ovviamente la retorica leghista del “prima gli italiani” prova a spostare il discorso sulla mancanza di lavoro per i giovani “autoctoni”. La realtà non è esattamente che manca il lavoro, ma piuttosto che manca il lavoro che piacerebbe a loro con lo stipendio che piacerebbe a loro.
Ci sono tutta una serie di lavori che vanno dal pizzaiolo, all’aiuto in cucina, al lavoro in fattoria e nei campi, all’operaio, alla badante, che gli “italiani veri” semplicemente non vogliono fare, ma che gli stranieri intraprendono con serietà e abnegazione.
Se vivete in una città italiana medio-grande, sapete esattamente di cosa parlo perché conoscete voi stessi decine di lavoratori stranieri che sfornano pizze, che vi servono ai tavoli, che badano a un anziano, che tinteggiano gli appartamenti, ecc… Siccome questi lavoratori sono mediamente più giovani e pagano le tasse senza rubare il lavoro a nessuno, ecco facilmente spiegati gli otto miliardi segnalati da Boeri.
Ovviamente l’immagine dello straniero che ruba il lavoro all’italiano è potente se lo scopo è quello di generare paura nei confronti degli immigrati. Ma la realtà rimane: è una cazzata. Gli stranieri fanno i lavoro che gli italiani non vogliono fare perché non guadagnerebbero abbastanza.
Quanti immigrati dovrebbe accogliere l’Italia?
Questa è una domanda che pongo io di routine quando parla con i buonisti di #ApriteiPorti. Anche prendendo per buono con beneficio di inventario il ragionamento che gli immigrati siano ancora pochi rispetto alle capacità ricettive dell’Italia e dell’Europa, le due domande che seguono sono: “Quanti immigrati può accogliere l’Italia o l’Europa?” e “Cosa dovremmo fare una volta raggiunto quel limite qualora gli immigrati continuassero ad arrivare?”.
Mai una volta ho ricevuto risposte esaurienti ad alcuna di queste due domande. Alcuni “globalisti” parlano di frontiere che non dovrebbero esistere, ma questa mi sembra pura pazzia. Sarebbe uno shock assurdo per i lavoratori di quel paese e si metterebbero a rischio identità, cultura, lingua del paese ospitante.
L’Africa è composta da 1,3 miliardi di persone. Se anche solo il 2% migrasse verso l’Europa, l’impatto per l’ecosistema europeo sarebbe distruttivo.
Inoltre, molti paesi africani hanno tassi di fertilità di 5 o 6 figli per donna. Far venire milioni di africani qua non contribuirebbe affatto a risolvere i problemi di sovrappopolazione dell’Africa.
In breve, un meccanismo per fermare i flussi migratori va trovato. E va trovato proprio per preservare quella società occidentale che i diritti umani li ha inventati e che può aiutare l’Africa e gli altri paesi in via di sviluppo a raggiungere livelli di vita dignitosi. Il fine ultimo è che quelle popolazioni non sentano più la necessità di migrare e decidano di rimanere nel loro paese.
Purtroppo, anche se comprensibilmente, gli immigrati continueranno a provare a venire in Europa con ogni mezzo, sperando che i diritti umani dei paesi occidentali, o qualche altro miracolo, permetta loro di non essere respinti.
Probabilmente ci troveremo nuovamente di fronte alle immagini di bambini annegati e alla necessità di guardare dall’altra parte.
Si possono aiutare gli immigrati a casa loro?
Certo che si. Infatti, anche se non sono notizie che troviamo tutti i giorni sui giornali, organizzazioni internazionali quali il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, World Food Organization esistono da decenni e hanno raggiunto risultati importanti nel migliorare le condizioni di vita degli abitanti di vari paesi in via di sviluppo.
Ovviamente tutto questo meriterebbe un discorso a parte, incluso le polemiche di chi contesta l’efficienza di queste organizzazioni. Eppure rimane un fatto che l’accesso al cibo, all’acqua potabile, e la mortalità nei paesi in via di sviluppo sono migliorati esponenzialmente negli ultimi 60 anni. Oggi anche i paesi africani più svantaggiati hanno aspettative di vita simili a quelli europei 60 anni fa (oltre i 55 anni di vita media).
Si possono tenere gli immigrati a casa loro?
Un’obiezione comune è quella che le migrazioni ci sono sempre state e sempre ci saranno, ed è praticamente impossibile fermarle.
Da un punto di vista strettamente tecnico, questo non è vero. Se si mette un esercito a sparare su chi attraversa il confine, ecco bloccato il flusso migratorio da quel lato.
Ovviamente questo sarebbe disumano. Per questo occorrono altri metodi per convincere i migranti a rimanere nei loro paesi. Il supporto alle organizzazioni internazionali è ovviamente lo strumento principe, ma occorrono anche meccanismi di contrasto “fisici”.
Purtroppo, fintanto che i migranti saranno disposti ad anteporre tutto il loro carico di umanità disperata alle strategie poste in atto dai paesi occidentali per disincentivarli, le foto di immigrati morti sfidando la fortuna nei loro viaggi della speranza continueranno a turbare le nostre coscienze.
La strategia di contrasto agli sbarchi del ministro Minniti
A fine 2016, al culmine degli sbarchi sulle coste italiane, il governo Gentiloni nominò Marco Minniti ministro dell’interno per far fronte alla crisi. Minniti rafforzò le strutture per il rimpatrio dei clandestini e trovò accordi con il governo libico e varie tribù di quel paese affinché fermassero loro i migranti africani prima che si imbarcassero verso l’Italia.
Da un punto di vista numerico, il metodo Minniti ha funzionato bene. Il numero di migranti nel 2017 è calato di circa il 40% rispetto al 2016. Tra il 2018 e il 2017 la differenza potrebbe essere di circa il 70% (vedi tabella sottostante).
Tutto bene, quindi? Non esattamente. Se è vero che l’Italia tutela i rifugiati, come ha fatto e come dice di voler continuare a fare, come è possibile determinare la presenza di rifugiati se a questi è impedito di raggiungere le nostre frontiere?
Questa è una domanda non da poco. Bloccare il flusso ha significato appaltare alla Libia, un paese in preda alla guerra civile, la detenzione di migliaia di persone senza alcuna garanzia sui loro diritti e sulla qualità della loro detenzione. Le organizzazioni umanitarie hanno parlato di veri e propri “campi di concentramento” e di crimini contro l’umanità perpetrati dall’Italia. La cosa non sorprende. La grossa differenza è che la gestione libica avviene lontano dalle telecamere e senza il rischio di turbare le nostre anime radical-chic.
Del resto, Minniti stesso era cosciente della responsabilità per il “lavoro sporco” che aveva accettato. Le voci di protesta interne al governo Gentiloni (tipo quella di Graziano Delrio) sono state superate con la minaccia di dimissioni e un endorsement del lavoro del ministro ad altissimo livello, la Presidenza della Repubblica.
Nel bene e nel male, Minniti ha fatto il grosso del lavoro sporco per Salvini.
Non sono forse stati anche gli italiani un popolo di migranti?
Naturalmente sì, anche se i cattivisti identificano alcune differenze fondamentali tra l’immigrazione italiana del passato e quella di oggi. In primis il fatto che gli italiani andassero legalmente in posti dove c’era lavoro per loro. Arrivati nel nuovo paese, gli italiani facevano il loro lavoro onestamente. Non eravamo dei criminali (come, sottinteso, lo sarebbero praticamente tutti gli stranieri in italia). A volte esplicitamente, altre volte in sottofondo, c’è anche l’aspetto che noi non eravamo negri o asiatici come molti degli immigrati odierni.

Sono narrazioni interessanti, ma, al solito, la domanda è: sono anche vere?
In effetti molti immigrati italiani andavano in posti dove la manodopera era richiesta. In USA anche gli italiani venivano respinti, magari per un’infezione a un occhio. Ancora oggi in USA ci sono numerosi italiani irregolari. Come abbiamo discusso sopra, i posti di lavoro per gli stranieri regolari in Italia ci sono, come può osservare chiunque nella quasi totalità dei ristoranti di ogni città italiana. Gli italiani del secolo scorso andavano tipicamente a fare lavori quali pizzaiolo, meccanico, muratore, idraulico, autista e altri impieghi che la popolazione locale disdegnava. In USA eravamo anche disprezzati da buona parte della popolazione anglosassone. Una conoscente americana di cognome Rossman mi ha raccontato di come il nonno fosse Russomanno, ma cambiò il cognome per evitare discriminazioni.
Insomma, gli immigrati sui barconi di oggi sono probabilmente ancora più sfigati dei nostri 100 anni fa, ma le differenze occorre rivederle alla moviola per sicurezza.
Riguardo al fatto che gli italiani fossero tutta brava gente e onesti lavoratori, qualche americano potrebbe eccepire che abbiamo esportato la mafia, mica qualche ladruncolo qualunque.
Sul fatto che gli italiani non erano di razza negra, questo è effettivamente vero. Non meritavamo di essere discriminati come ci sentiamo in diritto di discriminare le altre razze oggi.
Risultato netto: migranti italiani 2, migranti extra-comunitari zero. Noi emigravamo in posti dove ci accettavano (o quantomeno ci tolleravano) ed eravamo grosso modo di razza bianca.
Che fine ha fatto la sinistra?
Leggendo i giornali italiani dal 5 marzo a questa parte, questo è il tema ricorrente ed il tormentone dell’estate 2018.
È una domanda capziosa e francamente senza senso, dal momento che le categorie di “destra” e “sinistra” non sono mai state definite esattamente da nessuno.
Quando chiedo a qualche amico che si professa “di sinistra” cosa significhi essere di sinistra, puntualmente non arriva nessuna risposta, ma solo mosse per sviare la domanda (“Non mi freghi!”).
Conoscendo la narrazione e i suoi meccanismi, decifrare le categorie di sinistra e destra è in realtà abbastanza semplice.
Chi riceve (o pensa di ricevere) meno della media dalla società fa propria una narrazione in virtù della quale la ricchezza andrebbe redistribuita equamente tra tutti i cittadini (in fondo siamo tutti uguali, no?) Il cambiamento è benvenuto ovviamente. Niente di meglio di una nuova lotteria per vedere se esce un numero più fortunato. Ridistribuire equamente è il compito principale dello Stato e pensarlo significa essere di sinistra.
Chi riceve di più della media, per merito o per privilegio, abbraccerà invece la tesi su quanto sia giusto che uno si goda in pace i benefici di tanto e tale duro lavoro, senza che gli sia imposto di condividere il benessere con gli altri (e no, non si possono mettere sullo stesso piano uno che ha lavorato duro con uno sfaticato. Non siamo tutti uguali!) Le cose vanno bene così come stanno. Non c’è bisogno di cambiare. Lo Stato ha il dovere sacrosanto di difendere la proprietà privata. Ecco servito il famoso “di destra”.
In questo contesto non c’è da stupirsi se gli ultimi “di ieri”, quelli che barravano allegramente il simbolo con falce e martello, trovandosi oggi penultimi cambino narrazione con nonchalance per non dover condividere quello che hanno con i nuovi ultimi. La narrazione secondo cui Soros e la finanza mondiale complottano contro di loro mettendo gli immigrati sui gommoni va benissimo. Il risultato netto è il voto ai 5 Stelle o anche alla Lega.
Conclusione
Il mondo cambia velocemente e le narrazioni egualitarie di sinistra faticano a sostenere il confronto con una realtà in cui gli ultimi di ieri sono diventati i penultimi (o anche i terzultimi) di oggi.
Per quanto sia triste affermarlo, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo è diventata difficile da sostenere nel momento in cui decine di milioni di persone non vogliono più starsene a casa loro e vorrebbero tanto venire in occidente.
L’unica strada percorribile appare quella che disincentiva i migranti irregolari nei modi più umani possibili, permettendo invece un’immigrazione controllata e pianificata sia per numero che per paese di provenienza dell’immigrato. Ovviamente l’Occidente deve anche adoperarsi per rendere vivibili i paesi da cui provengono il grosso degli immigrati irregolari.
Questo potrebbe evitare che la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani venga frantumata sotto il peso dell’ondata migratoria irregolare, aprendo alla possibilità che narrazioni non rispettose dei diritti umani si affermino negli anni a venire. Il prezzo da pagare potrebbe essere salato. Ad esempio, potrebbero riaffermarsi narrazioni in cui il più forte ha ragione, con il carico di guerra e di violenza che questo rischia di portarsi dietro. E con i risultati che abbiamo visto nel secolo scorso.
Alla fine del discorso, come ci comportiamo verso i nostri simili non farà molta differenza nell’ordine dell’universo.
Eppure, se un domani la meteora Bad Boy arriverà davvero a mettere fine alla razza umana e alle sue buffe narrazioni, io mi chiederò se i diritti umani sono ancora lì, come plastica dimostrazione che l’uomo si è elevato dalla dimensione animale in cui ha cercato di relegarlo la natura, riuscendo a superare la logica della violenza come unica vera moneta di scambio “non intersoggettiva”.
Dalla risposta trarrò la mia conclusione: se in quel momento ci staremo meritando di scomparire oppure no.
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