Sono passate da poco le due del pomeriggio di sabato, mentre la città si colora di verde per il Saint Patrick’s Day, quando arrivo allo Yankee Stadium per assistere alla terza giornata di campionato: New York City FC contro l’Orlando City SC.
Il calcio di inizio è previsto per le 15:30 ed io, memore delle esperienze in Italia, mi sono messa in viaggio quasi tre ore prima per evitare la calca di tifosi. Nella metro ho osservato attentamente gli altri passeggeri: c’erano molte persone, ma nessuna di queste sembrava andare nella mia stessa destinazione. Più il treno si avvicinava al Bronx e più i dubbi mi assalivano: ho sbagliato a controllare l’orario? È capitato un imprevisto e il match è stato sospeso a mia insaputa?

Uscita dalla stazione, però, noto con un certo sollievo che ai cancelli si sono già formate delle piccole file ordinate. Prima di dirigermi al gate per i media, mi trattengo a chiacchierare con una coppia giunta sin qui da Brooklyn con tre figli di 5, 8 e 11 anni. Tifano per il NYCFC dal marzo del 2015, da quella prima partita ufficiale pareggiata 1-1 proprio contro l’Orlando. Chiedo se e quali squadre seguono al di fuori della Major League Soccer – l’equivalente nordamericano, se tale si può definire, della nostra serie A. Così come tanti altri a cui rivolgo la medesima domanda nelle ore successive, anche loro citano il Barcellona, il Bayern Monaco, l’Arsenal, il Manchester City, la Juventus e persino la Stella Rossa Belgrado. Ci salutiamo con qualche commento su Andrea Pirlo, ritiratosi dal calcio a novembre: “I feel terrible”, mi dice uno dei bambini, mentre il padre tiene a sottolineare che Pirlo è stato infortunato per gran parte dell’ultima stagione e che i cambiamenti sono inevitabili per ogni squadra.
All’esterno dello stadio lascio un ambiente fin troppo pacato per gli standard di forze di polizia in tenuta antisommossa, bagarini aggressivi e ultrà infuocati ai quali l’Italia mi ha abituato. Nel momento in cui mi accomodo in tribuna stampa è addirittura il vuoto: a quarantacinque minuti dal fischio dell’arbitro mi sbalordisce che non ci sia neanche uno spettatore!

Devo aspettare le 15 per vedere le gradinate popolarsi. Ci sono tantissime donne, giovani, famiglie con bambine e bambini. Per convincerli a venire non c’è stato bisogno di tariffe scontate sugli ingressi o biglietti omaggio, perché è il clima conviviale a costituire la maggior attrattiva per gli appassionati di calcio. “Mi sento tranquilla qui da sola con lui”, mi spiega una madre riferendosi al suo piccolo tifoso. Rocco ha sette anni, adora David Villa ed è molto orgoglioso delle sue origini italo-americane. A quanto pare non è il solo, in una platea prevalentemente ispanica: “Un anno fa sventolavano sempre bandiere italiane”, mi racconta Gianluca, un nostro connazionale. Teresa e Domingo, invece, si lamentano della difficoltà di parcheggiare nei pressi dello stadio. “Dovrebbero cercare una soluzione al problema… il numero di spettatori aumenterebbe” incalza Teresa, mentre Domingo corregge il tiro: “Ma non vogliamo che la squadra se ne vada dalla città. Speriamo che possa trovare una nuova dimora rimanendo in zona”. A tre anni dall’esordio del NYCFC, gli Yankees fanno ancora da anfitrioni nel santuario del baseball, a riprova del fatto che costruire un impianto sportivo non è un’impresa semplice nemmeno negli Stati Uniti, figuriamoci in Italia.
Paragonato alle strutture nostrane, a me lo Yankee Stadium pare perfetto com’è. Percorrendo gli anelli esterni trovo decine di stand dove procurarsi da bere e da mangiare, tra cui pure un baracchino di hot dog ‘strictly kosher’. I posti, numerati, sono splendenti, così come gli schermi. Esiste una mezzora “accademica” dall’orario previsto prima che le squadre entrino in campo, in modo che i tifosi possano accomodarsi con calma. La palla viene calciata quando sono all’incirca le 16:10 e dopo qualche minuto mi abituo persino al campo a forma di diamante, l’unico vero difetto di una struttura altrimenti impeccabile.

Il match finisce 2 a 0 e il NYCFC riesce a vincere senza la sua superstar David Villa, non convocato. Anche se la qualità del gioco è a distanze abissali dai livelli europei e i pochi accenni di tattica sono ancora troppo timidi, sento di poter invidiare molto a questo tanto denigrato calcio americano. Qui nessuno ha mormorato durante il minuto di silenzio per commemorare i due vigili del fuoco del Fire Department di New York morti in Iraq giovedì. Nessuno ha sommerso di fischi l’inno nazionale o l’annuncio della formazione dell’Orlando. Nel corso della partita la palla è sempre stata restituita agli steward senza causare diverbi o malumori. I motivetti dei cori, molto simili a quelli delle nostre curve, non hanno mai avuto parole riprovevoli nei confronti dell’arbitro o dell’avversario.

Ciò che mi ha colpito maggiormente, però, è stato il trattamento riservato alla stampa. Da subito ho capito di essere la benvenuta: dalla rapidissima procedura di accreditamento online all’accoglienza nella “press box” con tanto di riscaldamento e buffet. Al termine della partita Patrick Vieira ha cordialmente risposto alle nostre domande e ci ha quindi accompagnato negli spogliatoi, dove i giocatori hanno rilasciato interviste e dichiarazioni. A me ha detto di ritenersi estremamente fortunato per aver partecipato agli allenamenti infrasettimanali del Napoli e di aver trascorso una settimana incredibile a Castel Volturno lo scorso dicembre.
Rifletto sulla classe di questo grande campione e non posso non pensare alle turbolenti relazioni tra alcune società italiane e i giornalisti, i silenzi stampa , le fughe in motorino di De Laurentiis, l’ultimo commento sessista di Maurizio Sarri.
Per competere con gli altri campionati la Major League Soccer ha una lunga strada da percorrere, ma il NYCFC sta sicuramente preparando un terreno fertile in questa direzione. Alla fine della giornata gli spalti erano pieni e il pubblico festeggiava per una squadra che ha fatto capolino nel panorama calcistico e sportivo della città appena tre anni fa.
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