Calma, fermi tutti. Fermate gli accusatori (o attaccanti, dato lo sport), fermate i difensori, fermate gli ordini, le donne, le femministe e i maschi pentiti. E fermate anche Sarri, finché siete in tempo. Passo indietro, per tutti quelli, al di qua e al di là dell’Oceano, che siano comodamente seduti a farsi i fatti propri incuranti del calcio e dei suoi perché tutti italiani, o meglio ancora, facciano qualcosa di notevolmente più produttivo. Ma per noi che ci siamo dentro e ne siamo prima vittime e poi narratori, la capa voltata stavolta non s’ha da fare. Dunque, Sarri è Maurizio, Sarri, toscano, nato a Napoli, allenatore del Napoli, la squadra di calcio, l’unica, della città. Una squadra che dopo 30 anni circa, mese più mese meno, lotta di nuovo per lo scudetto. Merito di Sarri, chiariamolo subito. Merito sue le gioie, il bel gioco e il plauso del Mondo intero alla squadra e perché no, pure alla città che di plausi ha bisogno eccome. Per cui per MISTER Sarri, encomi e applausi come se piovesse, persino ora che il Napoli inciampa nel suo percorso senza cadere ma capace di rialzarsi. Applausi. L’ho già detto vero? Quindi, di cosa parliamo? Parliamo di un grande allenatore, molto meno grande quando la seduta non è una panchina ma la sala conferenze di Milano dopo una gara pareggiata dal Napoli (e per questo bruttina, in vista della corsa scudetto). Sulla meno sportiva sedia di quella sala, Maurizio Sarri pensa male di insultare una collega (ma lo dico subito, poteva essere anche un collega). Botta e risposta (più o meno così): “Dopo il pari contro l’Inter, lo scudetto è compromesso?” Sarri tace. Riflette (più o meno) e poi va liscio: “Sei una donna e sei carina per questo non ti mando a fanc…”.
Fermatevi un attimo e rileggete. Fatto? Ok. Vi infastidisce? Sì, dovrebbe, perlomeno. E non avete ancora letto il meglio ossia che i maschi presenti anziché alzarsi ed andarsene, che hanno fatto? Riso. Che manco fossero tutti all’”Osteria dei buon camionista” e la donna poi quella risposta se la fosse pure cercata. Una tragedia, insomma. E badate bene che ancora vi sfugge qualcosa, vi sfugge il peggio di questa vicenda, vi sfugge la domanda fondamentale di tutta la vicenda: quanto vale una domanda? Quanto vale la dignità di un giornalista (uomo o donna che sia) che la pone? Quanto vale il rispetto di chi a mezzanotte passata, aspetta al freddo per lavorare, pagato svariati zeri in meno di colui a cui la domanda viene posta? Quanto vale se tutto questo avviene nel calcio? Se dovessimo far riferimento a ciò che è successo ieri, la risposta sarebbe semplice: ZERO. Vale esattamente zero. Non è certo la prima volta che una domanda vale un fanc…, ma se lo fa il Governatore della Regione Campania Vincenzo De Lica (che lo fa spesso), si aprono i dibattiti parlamentari svegliando i deputati che dormono (a giusta ragione. I dibattiti, non i parlamentari che dormono). Se lo fa l’allenatore del Napoli si minimizza, la si butta sul ridere (come hanno fatto i maschi presenti), si dice che “non è un comunicatore” (come se non saper comunicare volesse dire insultare) o che è uno “ruspante”, si chiede scusa alla fine e tutto torna a posto. Ma è veramente tutto a posto? No. No, veramente, non lo è. Non lo è perché se lo fosse, allora non avrebbe senso essere un o una giornalista. E io non posso pensare che anni di lavoro, sacrifici, corse e pagamenti spesso offensivi se non chimera, meritino un “fanc…” come risposta. Che sia fatto ad una giornalista o ad un giornalista, poco cambia: è stato fatto ad una persona. E ditemi voi se questo è un uomo, un allenatore o cos’altro. E se il calcio può giustificare davvero tutto: cori beceri dopo il silenzio in uno stadio per il ricordo di un ragazzo venuto a mancare; insulti razzisti come se piovesse. E mi fermo pure qui. Non è colpa di Sarri, in fondo: è colpa più di chi concede che il rispetto sia un optional, di quelli “non necessari”.