Corrono, sudano, sognano. Sono più di 9.000 le persone che si sono riunite domenica 29 gennaio a Roma nella 18ma edizione della Corsa di Miguel, dedicata al podista, operaio e poeta Miguel Benancio Sánchez, tra le 30.000 vittime della dittatura militare argentina, i “desaparecidos”.
In una fredda ma splendida giornata di sole, alle 9.30 parte dal Foro Italico il primo gruppo di partecipanti, tre giovani tetraplegici che amano lo sport e la vita, portati in carrozzine speciali, “joelette”, da 75 ragazzi.
La seconda ondata vede in prima linea i corridori professionisti, fra i quali le Fiamme Gialle, Yuri Floriani, che vincerà la gara maschile, e Rosaria Console, primo posto donne, con i fantastici tempi di 00.29.56 e 00.33.04, rispettivamente per i 10 KM.
Sono presenti runner amatoriali, uomini e donne di età diverse, dai giovanissimi a chi ha i capelli bianchi, alcuni di loro arrivati a Roma decine di anni fa scappando dalla dittatura argentina, come Hernán Varela.
E c’é anche un gruppo di corridori contro il razzismo, che parte dal Ponte della Musica per fare un percorso di 4 KM.
“Prima si correva per la Memoria, per ricordare Miguel. Eravamo noi che portavamo qualcosa a lui e a tutti i “desaparecidos”, sportivi e non sportivi, sotto la crudele dittatura degli anni ’70-’80 del secolo scorso”, spiega a LVNY Valerio Piccioni, il creatore della Corsa.

“Ora, invece, Miguel è un simbolo che ci aiuta. Aiuta i ragazzi che non possono camminare e corrono con le joelette, aiuta i terremotati con la partecipazione di gruppi di Amatrice, Norcia, Accumuli e tanti altri, aiuta i Medici Senza Frontiere, ci aiuta a lottare per scoprire chi ha ucciso Giulio Regeni …”, aggiunge Piccioni. “Oggi l’identitá della Corsa è Memoria e Futuro”, sottolineando che in questa edizione “il numero 1 lo porta un ragazzo di Camerino, Samuele Grasselli, che dal giorno del terremoto non riusciva a correre e che di cuore somiglia Miguel”. Infatti, il mezzofondista che prima correva per allenarsi, ora lo fa per aiutare il suo paese. “Io non crollo” è lo slogan di Samuele.
Al traguardo nello Stadio Olimpico sono arrivati 4.415 runner (3.412 uomini e 1.003 donne) mentre per le altre prove hanno partecipato oltre 5.000 persone, tra le quali, gli studenti dei licei romani che hanno ospitato i ragazzi delle scuole delle zone terremotate del Lazio, Umbria e Marche.
E ci sono anche i rappresentanti della consolidata gara Amatrice-Configno “amata da tutti”, dice il suo animatore, Bruno D’Alessio, che vede nella Corsa di Miguel, “un simbolo forte, un discorso morale, soprattutto per le scuole, deposito della cultura e della democrazia”.
L’idea della corsa romana è nata nel 1998, quando il giornalista Valerio Piccioni ha trovato a Buenos Aires il libro “El terror y la gloria”, di Abel Gilbert e Miguel Vitagliano, che riportava la storia di Miguel Sánchez, atleta argentino tesserato e vittima della dittatura (1976-83).
“Un anno dopo ho conosciuto la sorella di Miguel, Elvira, e da quel momento non mi sono risparmiato pur di fare la Corsa a Roma”, ricorda Piccioni, che insieme a Giorgio Lo Giudice ha organizzato la prima edizione nel 2000.
La mattina del 29 Lo Giudice è il responsabile della Corsa. Parla con tutti, pensa a tutti i particolari, organizza e segue con attenzione i momenti che precedono la partenza.
“Nel 2000 c’erano 356 podisti. Oggi siamo intorno ai 9.000. Una crescita esponenziale. Ci sono molte gare, in Italia e a Roma, ma in questa c’è l’etica, c’è un messaggio, un segnale: noi non dimentichiamo mai chi si è battuto per la democrazia”, afferma Lo Giudice. “Le corse sono un miracolo che unisce tutti. Tutti sono uguali, corrono, si divertono, volano in libertà”, sintetizza.
Lo Giudice e Varela, durante il baciamano dell’udienza generale del 25 gennaio hanno portato un regalo molto particolare a Papa Francesco: due magliette della Corsa di Miguel.“Una di quest’anno e l’altra del 2013, anno in cui è stato eletto il Papa e ha abbandonato il nome di padre Jorge (Bergoglio), arrivato in Vaticano dalla ‘ fine del mondo’, la sua Argentina natale”, racconta Varela a La Voce di New York.

“In due minuti ho spiegato a Francesco chi era Miguel e il significato della Corsa. Il Papa ha detto ‘Bene, bene’ e poi, mentre si allontanava sorridendo, io ho ripetuto lo slogan peronista ‘Volveremos’, ma non so se lui mi ha ascoltato”.
Varela partecipa alla Corsa di Miguel dal 2001 e pensa di farlo ancora “perché cosí ricordiamo la storia dei ‘desaparecidos’ e diciamo forte ‘mai più. Mai più in Argentina, mai più nel mondo”. “Un mai più ripetuto tante volte dopo il nazifascismo, ma che non ci stancheremo mai di mettere oggi in primo piano contro i muri e le strage del mondo cosidetto globale”, conclude.
Per questo messaggio, la vita e la morte di Miguel Sánchez è un simbolo per tutti.
Nato nel 1952 a Bella Vista (provincia di Tucumán, 1.200 km al Nordovest di Buenos Aires), 18 anni dopo e portando soltanto una piccola valigia di cartone, era arrivato nella capitale argentina in cerca di una vita diversa, dedicata allo sport.
Attratto inizialmente dal calcio ma subito dopo innamorato dell’atletica, si allenava all’alba e la sera tardi perché di giorno lavorava. Nei primi tempi faceva l’imbianchino, e la sera andava a scuola per finire gli studi abbandonati anni prima in provincia.
Era anche impegnato politicamente contro la dittatura aderendo alla Gioventù Peronista del suo quartiere.
Ma, nonostante questi grandi sforzi, mentre il suo sogno andava avanti, nella notte tra l’8 e il 9 gennaio, un gruppo paramilitare lo sequestrò per portarlo in un centro di tortura e morte.
“La maglietta è un simbolo della Corsa di Miguel e il suo messaggio” dice Lo Giudice. Indossiamola tutti per correre insieme.

Dora Salas, nata a Buenos Aires, di origine calabrese, è stata imprigionata (“desaparecida”) insieme al suo compagno durante la dittatura militare in Argentina. Liberata dal campo di concentramento cominciò subito la lotta in difesa dei Diritti Umani e fu nuovamente minacciata dal regime. Decise di cercare una vita più serena in Italia, dove trovò lavoro nella agenzia di stampa IPS di Roma. Dopo una decina di anni ritornò a Buenos Aires, lavorando all’Università di Scienze Sociali e all’agenzia Ansa, senza smettere mai di cercare giustizia per i 30 mila scomparsi e assassinati dai generali, tra i quali il suo compagno.