La si può girare come si vuole e come si crede, ma il comportamento delle autorità egiziane non ha alcuna spiegazione logica, tantomeno giustificazione. Come possono pensare che si sia talmente imbecilli da credere che una banda di rapinatori sequestri e torturi senza motivo un ragazzo, ne abbandoni il corpo sul ciglio di una strada, e conservi per due mesi i documenti che provano la loro colpevolezza? Perché questo, alla fine, dicono gli egiziani a proposito dell’affaire Regeni.
Una versione che più strampalata non si può, più fragile di un castello di carte da gioco. Non per niente si viene a sapere che sì, i documenti sono di Regeni; ma non lo sono il borsone, i cellulari, gli occhiali, e neppure quell’hashish fatto trovare a bella posta per far intendere frequentazioni equivoche. Quanto ai presunti rapinatori loro non possono dire e spiegare più nulla: sono stati provvidenzialmente uccisi dalla polizia egiziana nel corso di un furibondo scontro a fuoco.
Non è la prima volta che ci provano a propinarci verità che non stanno in piedi. All’inizio parlano di incidente stradale. Poi, visti gli inequivocabili segni di torture sul corpo, di omicidio a sfondo omosessuale; poi rapina finita male; poi di delitto di estremisti islamici per imbarazzare il regime del generale Abdel Fattah al Sisi; poi vendetta per motivi personali; poi arriva un testimone: dice di aver visto Regeni litigare con uno straniero vicino al consolato italiano; ci sarebbe anche di un video, avrebbe immortalato la scena; peccato che le telecamere del consolato fossero disattivate. Il testimone ritratta, spiega che ha raccontato la balla per tutelare l’onore del suo paese.
Una quantità di goffi depistaggi, uno più maldestro dell’altro. I genitori del ragazzo, nel corso di una conferenza stampa hanno denunciato l’incredibile catena di depistaggi e menzogne. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi chiede che sia fatta piena luce; il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni vuole la verità; basta con le prese in giro, dicono un po’ tutti. Certo: non ci si deve rassegnare, sono inaccettabili, intollerabili i depistaggi messi in essere in questi giorni.
Gli egiziani stanno facendo un gioco sporco. E’ possibile che il povero Regeni sia rimasto vittima di faide e manovre dei servizi segreti del Cairo, di cui è ben nota la spietata spregiudicatezza. C’è chi si pone la classica domanda: cui prodest?, anche se le vecchie volpi di questi mondi torbidi avvertono che in vicende come queste è proprio la domanda da scartare. L’unica certezza è che dell’inchiesta trasparente promessa dagli egiziani non si vede neppure l’ombra.
Poi, ma qui si entra in un contesto, che va ben al di là della vicenda Regeni. Proprio lo stesso giorno della conferenza dei genitori di Giulio – coincidenza, ma come si dice, il caso fa bene le cose – si apprende che l’ENI apre un negoziato con la russa Lukoil per cederle il 20 per cento del consorzio di Zohr; Zohr è la più grande scoperta di gas nel Mediterraneo fatta dall’ENI lo scorso agosto. L’autorizzazione egiziana per l’estrazione è arrivata a fine febbraio, dovrebbe partire nel 2017, e raggiungere 500mila barili al 2019. Un progetto, si stima, che vale circa cinque miliardi di euro, e che richiede un iniziale investimento di dodici. Per questo l’ENI non terrà a lungo il 100 per cento di Zohr, e aprirà ai russi. La scoperta di Zohr è una potente boccata d’ossigeno per il regime di al Sisi; e i russi sono tra i più strenui sostenitori del generale. Egitto e Russia, per inciso, sono molto interessati al controllo di quella parte di Libia che si chiama Cirenaica; anche noi italiani abbiamo molti interessi, in Libia, in Tripolitania; per inciso, sempre di ENI, si tratta. Tutto può essere, ma è molto improbabile che l’ambasciatore italiano al Cairo venga richiamato a Roma. Siamo, come tutti, molto “pragmatici”, quando sono in ballo interessi come questi. Follow the money, seguire il denaro, è sempre una buona regola per cercare di capire quello che accade, o può accadere.