Qualche giorno fa nella sede della UEFA a Nyon in Svizzera si sono svolti i sorteggi per definire i prossimi incontri di Champions League e di Europa League e gli allenatori delle squadre italiane hanno commentato a loro modo il sorteggio definendo ciascuna delle rispettive avversarie come fosse il Real Madrid. In realtà nonostante i commenti catastrofici da mercato al ribasso il sorteggio non penalizza affatto le italiane impegnate in Europa e vediamo perchè:
La Juventus affronterà il Borussia Dortmund , squadra che veleggia nei bassifondi della Bundesliga, accendendo timidi entusiasmi tra i sostenitori bianconeri che comunque hanno festeggiato per lo scampato pericolo di ritrovarsi di fronte squadre di caratura superiore come il Bayern, Real Madrid, Barcellona ed almeno altre otto squadre di livello decisamente troppo alto per far dormire sonni tranquilli ai tifosi juventini.
In Europa League sorride il Napoli che affronterà il Trabzonspor , squadra turca della mitica città di Trebisonda fondata già nel VIII secolo a.C. ma che in termini calcistici non ha mai ottenuto i fasti che le si riconoscono invece nella storia.
La AS Roma ospiterà gli olandesi del Feyenoord, attualmente quarti nel modesto campionato olandese mentre il Torino riceverà i baschi dell'Atletich Bilbao, squadra questa che non sembra essere la stessa che eliminò il Napoli nei preliminari di Champions. Entrambe le squadre sono alla portata delle italiane e pare non dovrebbero esserci eccessivi patemi per il passaggio al turno successivo salvo imprevisti di percorso dovuti ad eventi non pronosticabili.
Avversario invece temibile per la Fiorentina che farà visita ai londinesi del Tottenham i quali non hanno troppo brillato nelle qualificazioni arrivando secondi nel loro girone, ma restando pur sempre una squadra ostica da affrontare specialmente sul loro terreno. Un team con tradizione ed esperienza in Europa, il Celtic, affronterà l’Inter nei sedicesimi di finale. Sarà una sfida affascinante che rievocherà un calcio d’altri tempi quando entrambe occupavano un posto di rilievo in Europa, ruolo che oggi a fatica riescono a confermare .
Vittimismo italico
Per le italiane, ogni sorteggio in Europa presume quasi sempre un atteggiamento di autocommiserazione qualunque sia la squadra da affrontare. La penuria di risultati, frutto di una mentalità comunque poco offensiva e di un paio di fallimenti ai Mondiali di calcio aprono un'infinità di discussioni sui tavoli dei Padroni del Vapore delle Società di calcio e della carta stampata, intere colonne nelle testate giornalistiche accreditate ipotizzano alcune domande alle quali cercheremo di dare delle risposte. Alla luce del risultato dell'ultimo Mondiale in Brasile in Italia si è creata una specie di «sindrome dello Straniero» attribuendo la disfatta azzurra al fatto che in Italia giocano comunque troppi giocatori stranieri togliendo la possibilità ai calciatori nostrani di potersi mettere in mostra e di emergere nel panorama calcistico nazionale. I fatti come al solito sono leggermente diversi da ciò che comunemente si dice al Bar dello Sport, nonostante la percentuale di stranieri che giocano in serie A sia effettivamente abbastanza alta.
Regole restrittive rispetto all'Europa.
In Italia nonostante alcuni siano convinti del contrario, esistono regole restrittive per la regolamentazione del flusso dei calciatori esteri nei nostri campionati. Come recita il Vademecum della Federazione Gioco Calcio in effetti le società possono tesserare “al massimo due stranieri extracomunitari per squadra” a condizione che ne escano altrettanti in virtù della legge che regolamenta il movimento migratorio, con annesso certificato internazionale di trasferimento, permesso di soggiorno e certificato di residenza nel nostro paese. I giocatori comunitari non hanno invece limite numerico al tesseramento come prevede una normativa europea della Corte di Strasburgo in termini di trasferimenti tra stati membri e non solo riferiti ai calciatori. La percentuale di stranieri che giocano in Italia in Italia è del 57 % . In Francia la percentuale si assesta al 45% così come nella Bundesliga tedesca. E se nella Premier League inglese la percentuale sale fino al 68 % nella Liga spagnola la cifra “precipita” al 39 % .
Ma quali sono le contromosse delle altre federazioni per arginare l’ingresso dei calciatori di paesi extracomunitari?
In Inghilterra sono state avanzati alcuni suggerimenti che diventeranno normativa vigente già dal 2015. Queste le misure proposte: ridurre il tesseramento di calciatori extracomunitari ai soli club che partecipano alla Premier League e vietarne la cessione in prestito ad altri team; limitare la preferenza dei calciatori non europei alla top 50 (e non più top 70) del ranking della Federazione Internazionale (FIFA). Diminuisce la percentuale di partite giocate con la propria nazionale, che scende dal 75 % al 30% negli ultimi due anni a condizione però che si tratti di Paesi inseriti fra i primi 30 del ranking FIFA.
In linea con le attuali normative che vogliono comunque che il calciatore extracomunitario aggiunga valore al campionato, il Presidente della federazione inglese Greg Dyke ha dichiarato che “ci sono molti calciatori extracomunitari che non sono i migliori, che non giocano molto e che, soprattutto nei campionati minori, spariscono dopo poco più di un anno. E allora lasciate che arrivino solo i migliori e diamo spazio ai giovani inglesi”. In altre parole, straniero sei il benvenuto in terra d’Albione se il tuo arrivo ci può migliorare qualitativamente .
In Spagna le norme prevedono che un calciatore il quale giochi almeno cinque anni di fila nelle Liga può chiedere la naturalizzazione e diventare spagnolo. Ad alcuni può far storcere il naso ma alcuni fuoriclasse come Diego Costa che militano nella Nazionale Spagnola sono stati arruolati grazie a questo artificio legislativo. Un po come succedeva in Italia alcuni decenni orsono per gli “oriundi" , calciatori nati altrove e diventati italiani per il riconoscimento del grado di parentela con consanguinei italiani fino alla seconda generazione .
La Germania è in controtendenza rispetto alle regole del nostro Paese. In Bundesliga puoi prendere tutti gli stranieri che vuoi senza limitazioni. Eppure la Germania ha appena vinto un Mondiale non avendo le restrizioni che abbiamo qui in Italia. Assurdo paradosso? Direi di no. Analizzando bene le fasce d’età si evince che in Bundesliga i calciatori al di sotto dei 25 anni sono quasi tutti tedeschi. In Italia accade esattamente il contrario. E non è stato un caso se i sette gol rifilati dai panzer al Brasile siano stati segnati quasi tutti da giovani delle nuove leve, eccetto per l'intramontabile Klose. Da questo confronto si può determinare una differenza di età piuttosto che di colore della pelle. Il Bacino di raccolta delle giovani promesse teutoniche è enorme e ha radici lontane ma una data precisa: il fallimento della Germania agli europei del 2000 . Infatti finendo ultima nel girone di qualificazione ed incassando un assordante tre a zero dal Portogallo, la federcalcio tedesca ha così approntato un piano di “svecchiamento” con l’elargizione di fondi ai vivai delle società di calcio valorizzando le giovani promesse e tutelandone il patrimonio.
L’Italia dei mercanti
E in Italia qual’è la situazione allo stato attuale? Al di la delle regole esiste un problema puramente commerciale legato alle transazioni. Il cartellino è di proprietà del calciatore che si affida quasi sempre ad un procuratore il quale cura gli interessi del giocatore legato da un contratto. Lo svincolo permette al procuratore di “piazzare” il suo assistito nella squadra che vuole in due fasi annuali della compravendita, il Calciomercato. Queste intermediazioni slegano di fatto alcune Società dal calciatore, che però sono sempre più legate ai procuratori. Questo vale per i calciatori già affermati ma il meccanismo pare incepparsi quando la trattativa interessa i giovani tesserati. Ma non solo dei giovani, perché esiste un cavillo tecnico-burocratico che impedisce il libero trasferimento tra società dei giovani italiani tesserati, infatti l'acquisto tra società di club italiane deve essere garantito da una fideiussione bancaria a copertura dell'intero ammontare del costo della transazione. Per i giocatori comprati all'estero questa garanzia non viene richiesta. Per cui alcune società italiane si rivolgono all'estero per tesserare calciatori non avendo i mezzi opportuni per rivolgersi al mercato italiano. «Quando ero al Genoa sono stato 'costretto' a scegliere calciatori stranieri – ha detto tempo fa a il Direttore Sportivo Delli Carri in un'intervista televisiva – non eravamo in grado di presentare le garanzie bancarie necessarie per comprare in Italia». E questo è un problema che attanaglia tutte le società minori che militano in Serie A . A volte si sceglie un giocatore straniero di modesto livello ma che costa un decimo rispetto ad un italiano, con la possibilità di pagarlo a rate e senza coperture bancarie. Questa normativa rende difficilissimo e complicato il passaggio tra due società di Club di Serie A che pescano sempre più nel vasto mercato europeo ed extracomunitario .
Generazione "Usa e Getta"
In Italia la politica degli incentivi elargiti alle società di calcio che impiegano calciatori "under" prelevati direttamente dalla Lega Pro, oltre che a diminuire notevolmente il livello tecnico del campionato di Serie A, anche se un comunicato della FIGC di questi giorni affermerebbe il contrario, ha consapevolmente creato una sorta di giovani calciatori “usa e getta” acquistati dalle società di serie A in virtù dei suddetti incentivi statali, ma che poi una volta superato il limite di età vengono relegati in qualche angolo di penisola svincolati a parametro zero.
Senza poi fare i conti con il business. In Italia un giovane calciatore costa tantissimo rispetto ad un suo omologo straniero. E' storia recente che una società di Serie A che cercava un difensore per il suo vivaio giovanile scopre un giovanotto di belle speranze che ha le carte in regola per fare bene. Il procuratore del giovane avanza richieste assurde condite da cifre a 7 zeri ed ecco che a questo punto il Club torna sui propri passi e ripiega su un giovane francese di colore che gli costa dieci volte di meno.
ll Commissario tecnico della Nazionale italiana ha recentemente fatto sentire la propria voce spiegando che "diventa sempre più difficile trovare giovani talenti per la Nazionale di calcio " e che continuando di questo passo il nostro patrimonio fatto di giovani promesse rischierà di sparire entro pochi anni. Quindi la mia opinione è che in questo sistema di regole i giovani vengono disincentivati dal proseguire la propria attività poiché le società hanno uno scarso rientro economico nel piazzare giovani in Italia appunto per una questione di normativa: incentivo dato fino a circa 22 anni (legato alla media della somma degli anni dei calciatori di un club) e garanzia bancaria per l'intero ammontare del costo del cartellino.
Altro deterrente alla crescita dei giovani calciatori nostrani è quello di "autofinanziarsi" l'ingaggio. A volte è il papà del calciatore in erba che finanzia con soldi propri la carriera del figlio nei settori giovanili e non tutti i papà possono permettersi questo investimento. I talent scouts afferrano al volo l'affare promettendo mari e monti ma solo al fine di collocare il giovane fino al fatidico incentivo. Oggi lasciare la scuola per il calcio non rappresenta più una svolta nella vita di un giovane, ma piuttosto un incognita . In questo modo i sogni spesso restano dietro l'angolo …
Rapporti umani
A mio avviso il fallimento della Nazionale di Calcio e delle squadre di club in Europa è un problema a margine e gli allarmismi per la cordata degli "stranieri" un modo per distogliere l'attenzione dal problema reale. La difficoltà a reperire giovani talenti e valorizzarli senza incentivi nè autoingaggi, ma cercando semplicemente di guidare il giovane verso una strada fatta di sacrifici e rinunce ma anche di soddisfazioni e, a volte, di gloria potrebbe essere un modo per arginare il triste declino del calcio italiano, fatto ormai quasi totalmente di procuratori ed affari, cercando di migliorare il rapporto tra calciatori ed allenatore senza intermediazioni a soli scopi commerciali. I una recente intervista, un Maestro del calcio, Giovanni Galeone, ha rivelato di aver gentilmente declinato l'invito ad allenare una squadra di club di Serie A spiegando a chiare lettere che ormai è venuto meno il rapporto di lavoro che legava un calciatore al suo allenatore. La figura sempre più ambigua del procuratore che "segue" il ragazzino fin dai suoi primi passi rende difficile anche il rapporto umano che un allenatore, e Galeone in particolare , aveva con tutti i suoi giocatori.
Altro problema che non aiuta di certo l'armonia tra il calcio e i giovani sta anche nella condizione disastrosa in cui versano gli impianti sportivi di tutta la penisola. Stadi fatiscenti ed obsoleti, dotati per lo più con la pista di atletica che nega una visuale efficace. Scarso servizio d'ordine spesso affidato a steward inesperti. Impianti che non si adeguano agli standard qualitativi degli altri paesi europei. Parcheggi spesso inadeguati al flusso delle auto e mezzi pubblici gestiti "all'italiana" non invogliano affatto le famiglie ad assistere ad un incontro di sport e di spettacolo come dovrebbe essere una partita di calcio. Morale: gli italiani preferiscono vedersi le partite davanti alla TV invece che allo stadio, con buona pace degli sponsor che vedono gonfiati i loro incassi in abbonamenti ed introiti pubblicitari.
Il 2015 si apre con un discreto numero di squadre in Europa, ed una sola in Champions. I Mondiali di calcio nel 2022 verranno affidati ad una stato che non sa nemmeno se il pallone si tira con le mani oppure con i piedi, e ne sarà programmata una atipica versione invernale per evitare i 50 gradi all'ombra previsti in Qatar in estate. Decisioni come queste non favoriscono certo l'equilibrio tra il fattore umano ed il mero aspetto economico, ma in fondo uno spiraglio deve pur esserci. Possiamo ancora aiutare il calcio, ma a volte non basta solo scriverlo.