Durante le vacanze di Natale, ho rivisto per motivi di ricerca e insegnamento alcuni film italiani degli anni dieci del secolo scorso. Per l’esattezza mi riferisco a quei film che vengono chiamati diva-film, un genere abbastanza eterogeneo ma che hanno in comune una forte presenza dell’attrice protagonista. Della diva, appunto. Nomi leggendari come quelli di Lyda Borelli (1887-1959), Pina Menechelli (1890-1981), Francesca Bertini (1892-1985) e altre. Le storie sono spesso dei melodrammi, in alcuni casi, la donna è una femme fatale spesso punita alla fine dal destino oppure una storia a lieto fine come il caso di Sangue Bleu (1914) diretto da Nino Oxilia (1889-1917) con Francesca Bertini.
Il film Ma l’amore mio non muore (1913), diretto da Mario Caserini (1874-1920) per la casa di produzione Gloria di Torino, consacra Lyda Borelli, la protagonista del film, già da lungo tempo famosa al grande pubblico per le sue interpretazioni teatrali, soprattutto della Salomè. Infatti in Ma l’amore mio non muore!, una storia d’ amore e di spionaggio, la protagonista Elsa, quando viene mandata in esilio in Svizzera, nella seconda parte del fim, interpreta un’attrice di teatro che raggiunge una grande popolarità. Proprio come la Borelli nella vita e come lei la vediamo vestita da Salomè, con I suoi lunghissimi capelli biondi, lo sguardo sognante e con un corpo che segna con le sue movenze un linguaggio unico e universale. La grande diva italiana con L’amore mio non muore!, decreta l’inizio di questo genere di film che avrà un enorme successo nazionale e internazionale. Ma il film segna anche l’inizio della carriera cinematografica di Lyda Borelli che non potendo usare la parola come a teatro, regge e costruisce la scena con il suo corpo, i movimenti sinuosi, la grande espressività degli occhi e i suoi costumi elegantissimi e memorabili.
Lo stesso Antonio Gramsci aveva descritto l’ attrice come "l’artista per eccellenza del film in cui la lingua è il corpo umano nella sua plasticità sempre rinnovantisi". Ma a rinnovarsi e articolarsi continuamente sono le sfumature, la bellezza eterea e sensuale dell’attrice che si configura come il medium più importante del film stesso. Il cinema era allora una nuova arte e tecnologia che aveva rivoluzionato la visione e la percezione del mondo e della realtà. Dalla scena teatrale alla scena filmica, un passaggio in cui la diva è colei che coagula e veicola allo stesso tempo, la forma cinematografica e le sue emozioni. Il gioco di trasparenze e veli che si muovono al vento mentre avanza sulla scena oppure il ruolo dello specchio nel film di Caserini nel camerino di Elsa/Lyda. Qui abbiamo uno specchio che è triplice e inquadra moltiplicandola la persona che si specchia e che gioca con la macchina da presa inquadrando ora le spalle, ora il volto e che ha una funzione di montaggio del film.

Lyda Borelli in una fotografia di Mario Nunes Vais
La diva come la Borelli legittima il lavoro dell’attrice e dell’artista come anche quello dell’arte cinematografica. In un periodo storico in cui con i movimenti di avanguardia nella letteratura e nella pittura, si metteva in discussione proprio il ruolo dell’artista, il cinema sembra invece, attraverso la presenza femminile dei diva-film, battere una strada diversa. Il cinema fa un patto con il diavolo. E ne vediamo di diavoli e spiritelli e magie negli esperimenti cinematografici dei primissimi anni del Novecento e proprio in quei film che durano 8 o 10 minuti e che il critico Tom Gunning ha definito "cinema of attraction".
Il diva-film sembra continuare questo tipo di spettacolo trasformando alchemicamente la modernità in spettacolo grazie alla presenza di attrici come Lyda Borelli, la cui immagine sarà riprodotta in tantissime cartoline che andavano così di moda all’epoca e le giovani donne imitavano le attrici con le movenze, i gesti, gli abiti e i capelli e insomma fino a far nascere un fenomeno che con un neologismo è stato definito borellismo. Le cartoline, i periodici, le pubblicità delle case cinematografiche e i film erano i twitter e gli instagram di oggi. Le dive e il diva-film materializzavano i desideri e le proiezioni dei fan e davano corpo alla cultura popolare.

Rapsodia Satanica: foto di scena
Ma il grande capolavoro che vede ancora una volta Lyda Borelli come protagonista è un film del torinese Nino Oxilia, Rapsodia Satanica (1915). In questo film un’anziana nobildonna fa un patto con il diavolo per riconquistare la sua giovinezza che le viene concessa a patto che non si innamori. Naturalmente il sogno di eterna giovinezza non si realizza e la protagonista alla fine soccombe all’incedere del tempo inesorabile. Nino Oxilia (1889- 1917) era un poeta, giornalista e drammaturgo che girò molti film di successo come il già citato Sangue Bleu. In questi film, la pittura, la fotografia sembrano fondersi con il lavoro della macchina da presa. Ci sono scene di Rapsodia Satanica che sembrano dei quadri di Klimt, alcuni fotogrammi sono colorati a mano come si usava in alcuni film dell’epoca. Questi film, con la loro bellezza, esprimono anche una grande fragilità che scorre parallela a un periodo di grandi trasformazioni sociali, politiche e scientifiche. Ma anche un periodo che vedrà per la prima volta l’Europa funestata da un conflitto mondiale che sconvolgerà tutti gli ordini e le certezze. Oxilia infatti che aveva saputo così bene esprimere la fugacità del tempo e della giovinezza, non tornerà più dal fronte. Sarà tragicamente colpito da una granata austriaca nel 1917. A cento anni di distanza da questi film e dallo scoppio della Prima guerra mondiale, il rivisitarli potrebbe suggerirci nuove letture sulla storia italiana ed europea dei primi anni del Novecento.
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