L’acuirsi della conflittualità tra aspetto naturale ed l’adeguamento ai canoni estetici contemporanei mutuati da cinema e tv ed una personale percezione della propria corporeità, impone la necessità di una riflessione collettiva sulle implicazioni della chirurgia estetica in una prospettiva etico-deontologica.
Il ricorso al chirurgo plastico è sempre più frequente ed assume un rilievo fondamentale nella dilatazione e, nella conseguente dinamicità del concetto di salute psico-fisica, giustificato e legittimato giuridicamente e socialmente, che soddisfa la richiesta della modificazione del quadro morfologico non gradito al paziente, che desidera la correzione di un difetto fisico, spesso valutabile come tale da questi soltanto, in un’ottica di inconsapevole “dismorfofobia”, come richiamato dall’ottimo contributo di Vito Tenore, presidente di Sezione della Corte dei conti e docente SNA (da Formiche).
La bellezza esteriore, nella precarietà del mondo contemporaneo, rappresenta, in una chiave di lettura etica e sociologica della corporeità, un “valore” che condiziona pesantemente l’esistenza di quanti, ritenendo di non rientrare in un ideale di gradevolezza estetica, giungono a costruire situazioni di reale disagio psichico, favorendo un ricorso in molta parte eccessivo alla chirurgia estetica che solo il rigore scientifico del chirurgo può arginare, ridimensionare e riportare sul binario giusto, lontano da risultati grotteschi che rischiano di impattare negativamente forse più del difetto fisico che si è ritenuto di voler correggere.
Il richiamo al corpo esile per le giovani donne, ma espressione di una potente e plastica sensualità, evidenziato da labbra e seni procaci e il ritrovamento di forme e tonicità in età adulta, alimentano la ricerca al ripristino artificiale di un aspetto giovanile sfiorito con l’età. Il mito della bellezza e della giovinezza, miti greci che ritornano, nella dissoluzione della spiritualità, soppiantata dal mito del corpo “vivo e perfettamente conservato”, nonostante l’insulto degli anni e del vissuto, delle malattie talvolta. Giovani e immortali, come gli dei dell’Olimpo, come nel celebre romanzo di Oscar Wilde, doni da conquistare che hanno alimentato leggende e romanzi, dalla ricerca del Santo Graal fino alla Pietra filosofale di Harry Potter e, invece, alla portata di tutti, oggi, anche low cost, anche a rate, appena dietro l’angolo.
La convenienza economica è requisito del ricorso all’estetica rapido e scellerato accesso da parte della gente comune al mondo dorato della medicina estetica, negli anni precedenti esclusivo appannaggio di attori e ricchi industriali, i cui risultati rispetto ad abilità tecniche ed etica del lavoro, sono spesso frutto di omologazione, spersonalizzazione, cui solo il ruolo di una formazione scientifica e di una onesta comunicazione medico-paziente può porre rimedio. Il ruolo del no del chirurgo, come confine etico ai “desiderata” dei pazienti, alla loro ricerca ossessiva, alle modificazioni chirurgiche ingiustificate, è il giusto equilibrio tra la percezione del disagio e il buon risultato medico ed estetico.
Il processo di invecchiamento comincia dalla nascita, come ci ricorda anche Seneca “Cotidie Mori” e, accettarlo, è la reale rivoluzione che si opera sovvertendo le priorità di parte della società contemporanea e modificando i messaggi distorti che ci arrivano dai media. Il mito del corpo ci induce ad una lotta impari, perché alla fine “il tempo vince su tutto” in ogni caso e la negazione della vecchiaia, del disfacimento e dunque della morte è una aberrazione.
Saggio è darsi pace, riempire la propria lista di priorità e di valori con pensieri profondi, buone ispirazioni, e concentrarsi su risultati medico-estetici “mirati” e quanto più possibile “naturali”, l’operazione meglio riuscita è quella il cui risultato “non si nota”, passa da una buona comunicazione medico-paziente, e dal ridimensionamento di ciò che si desidera, se questo è un pericoloso sconfinamento nel grottesco.
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