Diventare madre dopo una diagnosi di tumore è una delle principali preoccupazioni per le donne giovani, soprattutto per quelle pazienti a cui è stato diagnosticato un carcinoma alla mammella, in quanto la chemioterapia, come altri trattamenti antitumorali, può compromettere la fertilità o la capacità riproduttiva.
Le attuali linee guida raccomandano di non scoraggiare il desiderio di maternità nelle donne che abbiano superato una diagnosi di tumore al seno, ricorrendo anche, in extremis, ad opzioni come il congelamento di ovociti e l’assunzione di farmaci come gli analoghi dell’LH-RH che mettono a riposo le ovaie.
Studi recenti mostrano che grazie ai progressi della scienza, avere una gravidanza dopo un cancro al seno non aumenta il rischio di sviluppare una recidiva ed attestano che avere un figlio dopo una diagnosi del genere è sicuro sia per la madre che per il neonato.

Sulle analisi di campione di donne affette da tumore al seno, dopo un follow up di 8 anni, non si sono riscontrate differenze nella prognosi tra le donne che avevano avuto un figlio e le altre, cui era stata diagnosticata la malattia, ma non avevano avuto gravidanze. Al tempo stesso, si è potuto constatare la mancanza di un’incidenza di aborti superiore rispetto alla popolazione generale.
Il messaggio è dunque chiaro ed incoraggiante: avere un figlio dopo una diagnosi di tumore alla mammella, all’esito delle terapie, non incide su né su prognosi, né su recidive, né sulla salute del nascituro. La preoccupazione esiste per conservare la fertilità di queste pazienti, in quanto, talvolta, mancano informazioni su come preservarla. I trattamenti gonadotossici, che danneggiano in modo totale o parziale le ovaie e minano la fertilità, dipendono da fattori tra i quali l’età della paziente, i farmaci utilizzati, le dosi di farmaci.