Stati Uniti, UK e Unione Europea stanno tutti considerando l’introduzione di una qualche forma di passaporto vaccinale per andare incontro alla stagione estiva e aiutare la ripresa dell’economia.
Nel consiglio europeo tenutosi giovedì, il primo per il presidente Draghi da premier italiano, leader dell’UE hanno fatto passi avanti verso un accordo. Il cancelliere austriaco Kurz ha dichiarato: “vogliamo un passaporto a livello dell’Unione europea, con il quale si possa viaggiare liberamente, spostarsi senza restrizioni per affari e andare in vacanza, oltre a godere finalmente di gastronomia, cultura, eventi e altre cose”. Per rispondere a questa esigenza entro 3 mesi, prima della fine della primavera, verrà sviluppato “un sistema interoperabile a livello europeo”, nelle parole della presidentessa Von Der Leyen.
Trovare una soluzione comunitaria per salvare la stagione estiva in Europa è dirimente, o si rischia una scoordinata azione dei singoli Stati membri che, avendo competenza sulla sanità ed i confini, potrebbero procedere individualmente, come già annunciato dal cancelliere austriaco Kurz e lo quello greco Mitsotakis.
Per ora si parla di una sorta di certificato elettronico per COVID, che conterrà informazioni molto semplici e succinte, senza condividere i dati sensibili non. Quali informazioni si troverebbero su questo certificato? Avvenuta vaccinazione, ma anche negatività a test PCR o immunità acquisita alla malattia, avendola già avuta.
Quindi l’idea dell’UE, per ora, non sembra essere quella di un “passaporto vaccinale” in senso stretto: potrebbero viaggiare anche le persone non vaccinate, eventualmente, prendendo le dovute precauzioni come testarsi prima della partenza. Il premier greco Kyriakos Mitsotakis ha spiegato che il certificato “aprirà una corsia preferenziale per i viaggi, senza vincoli causati da test diagnostici o quarantena obbligatoria”.
Richiedere un documento che accerti la vaccinazione per poter viaggiare o accedere a determinati servizi (ristoranti, teatri…), infatti, non sembrerebbe una buona idea per due motivi. Il primo è di natura etica e logistica. Come riporta l’Associated Press, in Israele viene già applicato un principio simile, con i centri commerciali di Tel Aviv accessibili solo a chi può mostrare un documento che attesti di essere stato vaccinato. È facile capire però che, nella situazione attuale, Israele è l’eccezione, essendo il solo paese con una distribuzione tale del vaccino Pfizer da potersi permettere questo tipo di politica.
Come sarebbe possibile applicare le stesse regole in Unione Europea, dove le carenze di dosi costringono fasce di popolazione giovane e certamente attiva e vogliosa di tornare ad uscire ad aspettare fino alla fine dell’anno, o forse anche oltre, per essere vaccinate? Ancor peggio, come si può pensare di imporre la vaccinazione per varcare i confini nazionali (o europei nel caso dell’UE), quando la distribuzione è gravemente disomogenea nel mondo? I governi sono allarmati che questo potrebbe esacerbare ulteriormente le differenze tra popoli in base a ricchezza ed accesso al vaccino.
Il secondo problema è di natura scientifica: non c’è nessuno studio che ci dica che un vaccinato non possa portare la malattia. Come evidenziato dall’epidemiologa Deepti Gurdasani, della Queen Mary University di Londra, alla CNBC, l’idea di un passaporto vaccinale promuove l’idea che il vaccino sia una “falsa sicurezza”. Potrebbe avere un senso in futuro, ma attualmente l’evidenza scientifica disponibile non assicura che i vaccinati non possano essere infettati, trascorrere il decorso come asintomatici, e poter dunque essere vettori. Un passaporto vaccinale farebbe passare l’idea che il vaccino sia una sorta di “tana libera tutti”, per poter tornare senza nessuna precauzione alla vita di prima, ma al momento non c’è nessuna evidenza scientifica che accogliere entro i propri confini un vaccinato sia più sicuro che accogliere un non vaccinato.