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February 22, 2021
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Covid: in Italia è ora delle decisioni politiche, a New York la variante sudafricana

La penisola all'apice non di gravità ma di complessità per il governo Draghi; negli USA a 500mila morti si accelera sulle vaccinazioni, due mega centri a NYC

Sonia TurrinibySonia Turrini
Geopandemia: l’occasione per rilanciare la globalizzazione e rinascere dal caos

Image Pixabay

Time: 4 mins read

È passato poco più di un anno esatto dall’ufficializzazione, dopo la mezzanotte del 21 Febbraio 2020, dell’infezione di Mattia Maestri, primo caso di Sars-Cov-2 ricoverato all’ospedale di Codogno.

Oggi, l’Italia si trova a gestire una pandemia nella pandemia, e cioè quella delle varianti. Secondo la relazione tecnica della prima indagine sulla variante inglese dell’Istituto Superiore di Sanità, il livello di prevalenza su scala nazionale è stimato a circa il 17.8%, in linea con le percentuali di Francia e Germania. 852 campioni analizzati da 16 regioni sembrano suggerire “una diversa maturità della sub-epidemia determinata probabilmente da differenze nella data di introduzione della variante stessa. È presumibile, pertanto, che tali differenze vadano ad appiattirsi nel corso del tempo”. Vale a dire che in alcune zone la concentrazione di casi di variante inglese è più alta che in altre, ma che a lungo andare se non saranno imposte restrizioni mirate, tutto il Paese si troverà ad un paragonabile livello di diffusione.

In particolare, secondo Corrado Spinella, direttore del Dipartimento di Scienze fisiche del Cnr, in Abruzzo, Marche, Toscana, Umbria e nelle province autonome di Trento e Bolzano le varianti “sarebbero, secondo le simulazioni sull’andamento dei ricoverati, già tra il 40% e il 50% del totale dei positivi. Questo trend è in aumento”. Secondo il direttore della Prevenzione del ministero della Salute, Gianni Rezza, la variante inglese è la più diffusa ed è destinata a diventare dominante e occorre “agire molto tempestivamente e in modo aggressivo contro le varianti non ancora molto diffuse, ovvero la brasiliana e la sudafricana”.

Anche il professor Crisanti non è ottimista. Sebbene la variante inglese e quella brasiliana sembrino suscettibili al vaccino, considerata la loro maggiore trasmissibilità perché questo sia efficace a livello di popolazione occorrerà immunizzare il 75-80% dei cittadini anziché il 70% cui si mirava ai bei tempi del “vecchio” Covid. “Questo significa che i tre milioni di persone che abbiamo già vaccinato di fatto è come se non le avessimo vaccinate e dobbiamo ripartire da zero”, ha detto Crisanti.

La prima vaccinata in Italia durante il v-day (salute.gov.it)

Come scrive il Corriere, la pandemia raggiunge un nuovo picco, non di gravità ma di complessità. I trend non sono quelli di Marzo 2020, così eloquenti da dettare chiaramente la via maestra del lockdown totale. In questo momento l’indice Rt oscilla sulla soglia critica, governo e regioni temporeggiano, ma aleggia la sensazione che le varianti potrebbero cambiare drasticamente la situazione in ogni momento.

Sono state messe sul tavolo le ipotesi più varie, si parla di interrompere il sistema dei colori delle regioni mettendo tutta l’Italia in zona arancione per due o tre settimane con zone rosse localizzate, di fare un lockdown totale, o di continuare con lo stesso metodo usato da novembre. Ora, è la politica a dover scegliere: si sono intrecciate la curva dei contagi originale, quella delle varianti, l’andamento della campagna vaccinale, gli effetti sociali ed economici. In questo contesto, la scienza fornisce le informazioni di base, e la politica deve finalmente decidere senza scaricare la responsabilità sul comitato tecnico scientifico.

A New York, nel frattempo, procedono di pari passo lutto, speranza e preoccupazione. Lutto, a causa del terribile record di mezzo milione di morti appena infranto (Sopra il video con il messaggio agli americani del presidente Joe Biden). Speranza, perché mercoledì apriranno i centri di vaccinazione più grandi della città, al Medgar Evers College di Brooklyn e al York College nel Queens. Entrambi potranno amministrare fino a 3000 dosi al giorno, rifornimenti permettendo. I cittadini possono controllare qui se sono idonei alla vaccinazione e prenotare di conseguenza il loro posto. Preoccupazione, perché si registra nello stato di New York il primo caso di variante sudafricana, in un residente di Long Island.

In fila a Manhattan in attesa del test per il covid-19 (Foto d Terry W. Sanders)

La variante B.1.351, nota appunto come sudafricana, è quella che preoccupa di più gli immunologi a causa della sua ridotta sensibilità al vaccino. Il New England Journal of Medicine riporta che il vaccino Pfizer ha efficacia ridotta di due terzi in questa variante, da risultati simili sono stati riportati anche per il vaccino Johnson&Johnson, AstraZeneca e Novavax. Moderna riporta una protezione ridotta ma ancora accettabile.

La variante sudafricana è stata trovata in almeno 9 Stati. Il governatore Cuomo, domenica, ha detto che “con la scoperta di un caso della variante sudafricana nello Stato, è più importante che mai per i newyorkesi essere vigilanti, portare le mascherine, lavare le mani e mantenere il distanziamento”. Ha continuato dicendo che “ora siamo in una corsa, tra la nostra capacità di vaccinare e queste varianti che stanno attivamente cercando di proliferare, e vinceremo la gara solo se saremo astuti e diligenti”.

Il dottor Fauci concorda con lui, affermando che con ogni probabilità gli americani dovranno continuare a portare le loro mascherine ancora nel 2022, sebbene un “significativo grado di normalità” dovrebbe essere raggiunto entro la fine dell’anno. Del resto, per ottenere un effetto di immunità di gregge servirà vaccinare i quattro quinti della popolazione; poiché circa un quarto dei cittadini sono minorenni, e dunque non idonei alla somministrazione di nessuno dei vaccini approvati finora, raggiungere il livello di immunizzazione necessario sarà impossibile finchè non sarà approvato un farmaco adatto anche per i più giovani.

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Sonia Turrini

Sonia Turrini

Sono laureata in psicologia, attualmente impegnata in un PhD in Neuroscienze a Bologna. Sono cresciuta con la cultura americana nell’aria, l’Herald Tribune in salotto, i libri dei grandi presidenti sulle mensole di casa, e Bruce Springsteen nelle orecchie. Non ho memoria di quando ancora non conoscevo Streets of Philadelphia, perché ero troppo piccola per ricordare. E pensavo parlasse di formaggio. Ho visitato gli Stati Uniti la prima volta, ancora ragazzina, nell’estate 2008, e ho passeggiato con la mia spilletta Yes We Can appuntata sullo zaino. Seguo con passione la politica americana da anni, e oggi ne scrivo sperando di portarci il valore aggiunto della mia formazione scientifica: le opinioni sono sempre ben accette, ma solo sulla base di fatti oggettivi, dimostrati e condivisi.

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