Gli USA sono in un tira e molla di buone e cattive notizie. Da una parte, negli ultimi giorni, la variante brasiliana e quella sudafricana sono ufficialmente arrivate dentro i confini federali, approdando rispettivamente nel Minnesota e nel South Carolina. D’altra parte, gli Stati Uniti stanno avendo il primo vero calo consistente nel numero dei contagi dall’inizio della pandemia.
Tutti gli Stati, eccetto Rhode Island, mostrano una decrescita nei nuovi casi e nelle ospedalizzazioni. A livello nazionale, rispetto all’inizio di gennaio, si registra una decrescita dei contagi giornalieri di un terzo (da circa 260’000 di inizio mese ai 160’000 malcontati degli ultimi giorni), e una decrescita delle ospedalizzazioni indicativamente di un decimo.
Osservando la curva dei contagi degli ultimi mesi, sono già avvenuti dei periodi di decrescita felice che potevano far ben sperare: appena dopo il Ringraziamento per una settimana i casi erano sembrati in netto declino, per poi risalire in picchiata; una seconda discesa illusoria si era registrata attorno a Natale, seguita da un ulteriore aumento vertiginoso che ha infranto tutti i record di contagi nella prima settimana di gennaio.
Ora i casi tornano a scendere. Che sia la volta buona? Secondo Donald McNeil, reporter scientifico del New York Times, potrebbe esserlo. I motivi sono due.

In primo luogo, questo calo dei contagi non dovrebbe essere illusorio. Appena prima del Ringraziamento si era registrato un grande aumento dovuto al fatto che molti si erano testati prima di viaggiare, dando origine ad un picco di positivi asintomatici; passata la festa e la necessità di spostarsi, i casi sono diminuiti secondo McNeil perché meno persone si sono testate volontariamente.
Come è noto, spostarsi e riunirsi per celebrare le feste aumenta la diffusione del virus, e dunque dopo il primo calo fittizio dei casi, questi hanno cominciato a salire. Hanno raggiunto un ulteriore picco attorno al Natale per la stessa ragione: persone che viaggiano e devono testarsi prima di partire. Si ripete lo stesso copione, e subito dopo Natale i casi scendono, per poi tornare a schizzare in alto.
Stavolta dovrebbe essere diverso: il numero dei contagiati cala nonostante la quantità di tamponi sia circa la stessa da inizio anno. Dovrebbe trattarsi veramente di un rallentamento nella diffusione, non di un artefatto.
In secondo luogo, ha senso che i casi calino perché negli USA sarebbero stati infettati un terzo dei cittadini. I casi registrati sono quasi 26 milioni, ma la maggior parte dei modelli epidemiologici moltiplicano il numero degli accertati per quattro. Questo significa che negli USA dovrebbero avere contratto il virus circa 110 milioni di persone, che a questo punto dovrebbero essere immuni. È noto che per qualunque popolazione, umana o animale, per qualsiasi epidemia quando un terzo degli individui sono immuni la diffusione rallenta. È come se ci fossero tante tesserine del domino messe in fila; togliendone una ogni tre, è più facile che la catena si interrompa. È il principio dell’immunità di gregge che, a inizio pandemia, veniva invocato dai sovranisti da ambo i lati dell’oceano. Negli USA potremmo cominciare a vederne gli effetti, un anno e 429mila morti dopo. Sta alla coscienza di ognuno valutare se ne sia valsa o meno la pena.
Mitigando l’ottimismo, occorre tener presente che l’arrivo della variante brasiliana e sudafricana, potenzialmente in grado di gabbare gli anticorpi anche di chi dovesse essere già stato infettato – anche se non ve ne sono ancora evidenze scientifiche certe-, devono essere un campanello d’allarme per non abbassare la guardia. Il dottor Fauci ha recentemente suggerito anche l’uso di una doppia mascherina, sfoggiata anche da Pete Buttigieg e Amanda Gorman il giorno dell’inaugurazione presidenziale, confermando che la doppia protezione fornisce certamente una sicurezza in più.
Nonostante le buone notizie all’orizzonte, meglio una sicurezza in più che una in meno.