Il 2020 è stato un anno complesso per tutti. Per chi soffre di problemi di salute mentale come ansia o depressione, forse un po’ di più. Per chi combatte contro la dipendenza da sostanze, sicuramente di più, secondo i dati.
Secondo i dati dell’Università di Baltimora e del CDC, durante la pandemia il 13.3% della popolazione ha iniziato ad utilizzare sostanze, o ne ha aumentato la quantità. I decessi causati da overdose negli USA nei primi mesi del 2020 (aggiornati a Maggio) sono aumentati del 18% a livello nazionale rispetto all’anno precedente, con picchi vicini al +40% in stati del Midwest e del Sud quali Iowa, Wyoming o Louisiana. Ancor più preoccupante, il numero di arresti cardiaci dovuti a overdose, che computa dunque anche gli incidenti non fatali, in Aprile 2020 è più che raddoppiato rispetto agli anni precedenti (incremento del 123.4%). I dati naturalmente non rispecchiano ancora appieno l’andamento dell’intero anno, ma descrivono già un quadro cupo.
Secondo la dottoressa Jordan, professoressa a Yale e psichiatra, il trend non è sorprendente: l’isolamento imposto dalla pandemia, lo stress economico e le difficoltà lavorative sono fattori di rischio. L’abuso di sostanze rappresenta, secondo la professoressa, una “gratificazione immediata, che permette di sfuggire al dolore di questa realtà”,
Da qui, l’aumento del 32% nella positività ai test per il fentanyl (oppiaceo pericolosissimo, da 100 a 1000 volte più forte della morfina), del 20% per le metanfetamine, del 12% per l’eroina e del 10% per la cocaina, in tutti gli USA.
Come ricorda anche l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) italiano, così come il COVID è fattore di rischio per la dipendenza, essa a sua volta è fattore di rischio per il COVID: “Poiché gli oppiacei agiscono sul tronco encefalico e riducono la frequenza respiratoria, il loro consumo (…) può anche causare una pericolosa riduzione del livello di ossigeno nel sangue. (…) La ridotta capacità polmonare causata da COVID-19 può mettere in grave pericolo questo gruppo di persone. Anche una dipendenza da metanfetamina può essere rischiosa. Difatti, la molecola restringe i vasi sanguigni e può contribuire sia al danno polmonare che all’ipertensione. I medici devono essere preparati a monitorare i possibili effetti avversi del consumo di metanfetamina (che per esempio negli Stati Uniti sta aumentando esponenzialmente) nel trattamento di pazienti con COVID-19.”
Come in molti altri ambiti, la pandemia non ha che rivelato e inasprito criticità che erano già presenti. Già prima dello stato di emergenza, negli USA, il sistema non era in grado di fornire assistenza a tutte le vittime, purtroppo sempre più numerose, dell’epidemia degli oppiacei e della dipendenza patologica. La dottoressa Jordan commenta che “finché il paese non rende l’accesso ai servizi di igiene mentale, inclusi i trattamenti delle dipendenze, più semplice dell’accesso alle droghe, la situazione continuerà a peggiorare”.
La dottoressa Volkov, direttrice della sezione del National Institute of Health che si occupa di dipendenze, il National Institute on Drug Abuse (NIDA), sottolinea che alcune migliorie al sistema sono state apportate dalla primavera, per garantire l’accesso a domicilio ai farmaci necessari per il recupero, e per fornire assistenza online.
Tuttavia, tramite un sondaggio condotto su oltre mille persone, l’Addiction Policy Forum evidenzia la reale difficoltà dei pazienti con dipendenza: oltre un terzo degli intervistati riportano di avere avuto difficoltà ad accedere ai servizi di recupero, incluso l’accesso a farmaci essenziali per superare l’astinenza da oppiacei come il naloxone. In particolare, la mancanza di gruppi di supporto di persona, e l’impossibilità di socializzare a confrontarsi sono emersi tra le principali preoccupazioni dei pazienti.
E nel resto del mondo? Il caso degli USA è particolare, in quanto nella maggior parte degli Stati non sono mai stati imposti dei totali stay at home orders, e dunque l’accesso alle sostanze illegali da spaccio è rimasto possibile.
Il caso dell’Italia è diverso, ma a suo modo altrettanto preoccupante. L’ISS riporta un sensibile calo nello spaccio di stupefacenti da strada, ma avverte della possibilità che esso si sia spostato sul dark web. Gli operatori che lavorano nel campo delle dipendenze sono particolarmente preoccupati per chi fa uso di narcotici, come i nuovi oppioidi sintetici e le nuove benzodiazepine, già in aumento nel 2019 secondo i dati dell’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze. Tuttavia, non sono presenti dati certi sull’abuso di droghe durante il 2020.
Si registra un aumento nella dipendenza da gioco d’azzardo e nel consumo di alcool. Ad Ottobre, la Società Italiana di Acologia ha segnalato che circa il 20% degli alcolisti hanno avuto una ricaduta tra febbraio e giugno, e che si registra un aumento del 15% dei nuovi dipendenti. Simili tendenze si riscontrano anche nel Regno Unito, dove il Britain Liver Trust ha registrato un aumento del 500% delle telefonate alla sua helpline, nel 2020.
Concludendo il suo rapporto annuale di Epidemiologia e monitoraggio alcol-correlato in Italia e nelle Regioni, a giugno 2020 l’ISS avvertiva che in tutto il mondo, e anche in italia, i servizi di home delivery di bevande alcoliche hanno registrato incrementi percentuali tra il +180% e +250%. La Società Italiana di Alcologia riporta che, nei mesi di pandemia, nel Bel Paese i soggetti a rischio di dipendenza da alcol abbiano raggiunto quota 10 milioni, di cui un milione minorenni. Un numero spaventosamente alto, in una popolazione sotto i 60 milioni.
Emanuele Scafato, che all’OMS si occupa di ricerca e promozione della salute sull’Alcol e di problematiche alcolcorrelate ritiene che in Italia “molti abbiano trovato nell’alcol il ‘farmaco’ per rilassarsi e per allontanarsi da una realtà che non volevano vivere”, oppure perché le “persone che avevano a che fare con altre dipendenze, come quelle da sostanza, una volta perso il canale preferenziale dello spacciatore si sono rivolte all’alcol”.
In Italia i servizi territoriali sono stati soppressi, con ambulatori e sportelli spesso chiusi e numeri verdi perennemente occupati. Questi dati devono mettere in allarme in nostro sistema sanitario, ricordando che la dipendenza è una malattia da trattare, e non una colpa da stigmatizzare.