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November 28, 2020
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Mentre l’UE guarda al Natale con cautela, negli USA ospedali sotto stress finanziario

In Europa le misure di contenimento sembrano funzionare, intanto il CDC prevede negli Stati Uniti 321,000 morti entro la metà di dicembre

Sonia TurrinibySonia Turrini
Mentre l’UE guarda al Natale con cautela, negli USA ospedali sotto stress finanziario

Natale 2020 durante la pandemia (pixabay)

Time: 4 mins read

Col Ringraziamento ufficialmente alle spalle, Stati Uniti ed Europa cominciano a guardare al periodo delle feste natalizie, ma con occhi drasticamente differenti.

La situazione statunitense, già molto preoccupante, rischia di portare i sistemi sanitari dei diversi Stati al tracollo, a causa dei potenziali contagi causati dalle riunioni familiari di questo Ringraziamento. A livello federale, gli Stati Uniti raggiungono ogni giorno nuovi record di ospedalizzazioni, che si aggirano attorno alle 90,000 unità, e di contagi, circa 200,000 quotidiani ultimamente.

Sulla base di questi numeri, il CDC ha fornito la sconfortante previsione di 321,000 morti entro la metà di dicembre, a cui si aggiungeranno presto le vittime delle festività.

Le terapie intensive continuano a crescere (pixabay)

Il problema, ormai lo abbiamo sentito dire in tutte le salse, è multiplo: in primavera, colti alla sprovvista, gli ospedali statunitensi come quelli di tutto il resto del mondo si erano trovati a corto di letti, PPE, ventilatori, unità di terapia intensiva. A questo problema si è ovviato, con più o meno successo, in molti Stati. Tuttavia rimane la penuria di personale medico e infermieristico: come ha ricordato Laura Appel, senior vice president della Michigan Health and Hospital Association, “possiamo comprare molti letti e metterli dappertutto, ma non possiamo creare più lavoratori sanitari nella notte”.

La situazione in cui si trovano gli ospedali d’America, incapaci di gestire tutti i pazienti COVID e costretti a rimandare le visite e operazioni di routine, è tristemente familiare a noi europei. Con l’aggiunta, però, di una differenza economica non da poco: la sanità europea, dalla Germania alla Spagna, è principalmente pubblica, pertanto gli ospedali non devono preoccuparsi troppo delle loro entrate. Negli USA, invece, l’ondata di contagi sta ponendo le singole strutture ospedaliere sotto stress finanziario: con l’aumento dei pazienti COVID, e con la percezione che negli ospedali vi sia un alto rischio di contagio, è sceso il numero di procedure molto lucrose ma non urgenti, come ad esempio le sostituzioni di protesi di anche e ginocchia, a discapito del fatturato degli ospedali.

Boss Baby, Herald Square, NY, nel Giorno del Ringraziamento (di Terry W Sanders)

Nel Midwest, epicentro della pandemia in questi mesi, le Associazioni di medici e esperti si trovano a dover fare appello alla popolazione, implorando cautela, pregando di stare a casa, cercando di convincere sull’importanza di indossare le mascherine. Devono farlo loro, perché spesso i governi locali non lo fanno in loro vece. Nel South Dakota, la governatrice Noem (R) non ha imposto nessun obbligo di mascherina e nessuna restrizione sociale. Anzi, ha addirittura distribuito uno spot su reti nazionali come Fox News, invitando a visitare il suo Stato, nonostante abbia un tasso di positività dei tamponi del 43%, secondo la Johns Hopkins University.

L’opposizione strenua ad ogni tipo di restrizione drastica continua da questa primavera, ed il caso del Michigan è emblematico: la governatrice Whitmer (D) ha cercato di imporre restrizioni ma si è scontrata con il congresso repubblicano, fermamente contrario ad un lockdown. Le iniziative della Governatrice sono state aspramente criticate dalla stessa task force creata dal presidente Trump per gestire l’emergenza, con la controversa dichiarazione di un membro, il dottor Scott Atlas, che ha invitato il popolo del Michigan a “ribellarsi”, poiché “you get what you accept”. L’ambivalenza del governo federale su come gestire la pandemia, insomma, continua a mietere vittime.

Mentre le montagne russe della pandemia, negli USA, sembrano in una continua e ripida salita, l’Europa comincia a guardare al Natale con cauta speranza. Nel Vecchio Continente, l’arrivo della seconda ondata è stato riconosciuto da tutti gli Stati attorno ad ottobre. Rispetto alla primavera, quando inizialmente l’Italia si è trovata sola e guardata con sospetto dai nostri vicini di casa, l’autunno ha dato prova di una maggiore coordinazione.

La mappa della Johns Hopkins University aggiornata al 28 Novembre

Indicativamente tutti gli stati hanno seguito la stessa linea, imponendo severe restrizioni a spostamenti e ritrovi sociali quasi in contemporanea, cercando di preservare il più possibile il valore dell’istruzione, e mantenere le scuole aperte. Così, nelle ultime settimane, i primi paesi toccati dalla seconda ondata, come Belgio, Repubblica Ceca e Irlanda, hanno iniziato a vedere i contagi calare fino a dimezzarsi, e negli ultimi giorni finalmente tirano un sospiro di sollievo vedendo anche il numero di morti abbassarsi. Seguono a stretto giro Germania e Francia, che con un ritardo di un paio di settimane sono sulla stessa traiettoria.

Anche in Italia, spesso la Cenerentola d’Europa (patriotticamente, perché è la più bella), l’andamento comincia a migliorare e, sebbene i morti siano al loro picco nella seconda ondata, contagi e ospedalizzazioni sono in decrescita. Il virologo Pregliasco, uno dei maggiori esperti del Bel Paese, si definisce ottimista sui risultati ottenuti. Nonostante questo, a conclusione del 2020 l’Istat riporta per gli italiani un dato preoccupante: il COVID ha dato il colpo di grazia ad un andamento demografico già in calo, e la popolazione è ufficialmente scesa sotto i 60 milioni.

L’Europa, nel complesso, sente di poter dire che le misure, ancora una volta, stiano funzionando. L’intervento dello Stato nell’economia è cosa sdoganata e molto comune, e la popolazione si è sentita in un rapporto biunivoco con il suo governo: costretta a non uscire di casa, ma protetta da sussidi economici, informata dai governi centrali trasparenti, consapevole della posta in gioco. Guarda speranzosa al 2021, con l’arrivo annunciato dei primi vaccini, e aspetta con ansia di arrivare dall’altra parte della tempesta, insieme agli Stati Uniti.

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Sonia Turrini

Sonia Turrini

Sono laureata in psicologia, attualmente impegnata in un PhD in Neuroscienze a Bologna. Sono cresciuta con la cultura americana nell’aria, l’Herald Tribune in salotto, i libri dei grandi presidenti sulle mensole di casa, e Bruce Springsteen nelle orecchie. Non ho memoria di quando ancora non conoscevo Streets of Philadelphia, perché ero troppo piccola per ricordare. E pensavo parlasse di formaggio. Ho visitato gli Stati Uniti la prima volta, ancora ragazzina, nell’estate 2008, e ho passeggiato con la mia spilletta Yes We Can appuntata sullo zaino. Seguo con passione la politica americana da anni, e oggi ne scrivo sperando di portarci il valore aggiunto della mia formazione scientifica: le opinioni sono sempre ben accette, ma solo sulla base di fatti oggettivi, dimostrati e condivisi.

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