All’una di questa notte (ora locale) è approdato presso Cameron, sulle coste della Louisiana, il feroce uragano di nome Laura, con venti a oltre 240 km/h e onde alte 5-6 metri che potrebbero anche irrompere per decine di chilometri nelle zone interne. Stante la sua terribile forza, cresciuta in 24 ore del 70%, il ciclone ha già causato il black-out elettrico per più di 500.000 abitazioni e ha fatto sì che mezzo milione di persone siano state messe sull’avviso di mobilitazione.
Laura si è presentata di categoria 4 (la scala Saffir-Simpson va da 1 a 5, dal grado minimo a quello disastroso), “fortissima” ma possibilmente tendente a 5. Dunque è un uragano memorabile, forse peggio di Katrina (2005), quella che ha causato quasi 2.000 vittime e danni per oltre 80 miliardi di dollari. Nelle ultime ore è stata per il momento declassata a categoria inferiore.
Queste violente ed estese tempeste, dalla tipica forma circolare, che, nate sulle acque calde degli oceani tropicali, si muovono poi per giorni (di norma dai 5 ai 9, ma alcune volte per un paio di settimane) lungo il bordo delle grandi strutture di alta pressione, liberando la loro enorme energia con venti fortissimi, onde gigantesche e piogge torrenziali. Una sessantina di cicloni interessano ogni anno una cinquantina di paesi tropicali e milioni di persone.
Si chiamano cicloni nella parte settentrionale dell’Oceano Indiano, tifoni in Cina, Corea e Giappone, baguios nelle Filippine, willy-willy in Australia, cordonazos nella parte meridionale del Messico e dell’America centrale e uragani nel resto del mondo, e questo è il caso dei Caraibi e degli Stati uniti.
Considerando il diametro della zona impegnata dai fenomeni, dai 300 ai 500 Km, e la possibile velocità dei venti, dai 120 ai 300 km/h, l’ energia in gioco è spaventosa, inferiore solo a quella di un terremoto o di un ordigno nucleare: 10.000 miliardi di kilowattora al giorno, tanti quanti vengono prodotti in elettricità negli USA.
La sorveglianza di Laura è affidata al Centro Nazionale Uragani (NHC, Miami), che dispone di sistemi radar color Doppler e di complessi modelli matematici ospitati dai suoi potenti e veloci computer. Per ora Laura è diretta a nord con una velocità di spostamento di 25 km/h, verso il cuore della Louisiana e verso l’Arkansas. Anche se, lasciata la costa e affrontato l’interno, sta perdendo parte della sua terribile forza, nata dall’energia fornita dall’evaporazione marina (i meteorologi sono soliti dire che gli uragani, prima o poi sono destinati “a morire di sete”), l’uragano può ancora essere pericoloso e distruttivo con il vento e con i nubifragi.
Venerdì e sabato Laura, indebolita, piegherà probabilmente a est nord-est, verso il Tennessee, il Kentucky, il Wyoming e l’Ohio, con effetti meno gravosi sugli stati limitrofi. Tra la fine del week-end e l’inizio della settimana prossima la traiettoria tornerà a interessare le acque dell’Atlantico occidentale, il che può causare un possibile, nuovo rinvigorimento della tempesta. Ma gli effetti sul New Jersey e su New York dovrebbero essere, se non marginali, almeno contenuti.
Va comunque messo in evidenza che le previsioni degli uragani, anche a breve-medio termine (2-5 giorni) e anche se indubbiamente utili per la capacità di indagine dei centri come l’NHC di Miami, possono essere parzialmente o del tutto smentite dagli improvvisi cambiamenti di rotta e di potenza dei cicloni tropicali.
Nella prossima settimana è in vista sulle Antille una nuova tempesta, con ogni probabilità e per fortuna più debole e meno devastante.
A proposito di New York City, si ricordano ancora gli effetti disastrosi dell’uragano Sandy (2012), dovuti non solo alla forza della natura, ma anche agli errori progettuali nella costruzione di nuovi edifici sulla fascia costiera di Manhattan, lambita dai fiumi Hudson e East River. Le fondamenta poggiavano su materiale di scarto utilizzato dopo la terribile sciagura delle Twin Towers. A protezione della Lower Manhattan, delle opere, delle strutture e dei 200.000 abitanti di quei 16 km di fascia costiera, sono stati lanciati inviti dal Municipio cittadino per progettare piani di difesa.
Tra i piani di ingegneria “verde” (progettazione civile e naturalistica), si è distinto il “Big U” (il nome richiama la forma di una grande lettera U dell’area protettiva), per la realizzazione di paratie mobili, di aree di sicurezza coperte da vegetazione e passibili di inondazioni senza sconfinamento nella zona abitata, nonché per la riqualificazione paesaggistica delle aree degradate da Sandy.