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August 13, 2020
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Rischi e pericoli della corsa sfrenata per arrivare primi al vaccino anti coronavirus

Covid-19: come spesso accade durante le guerre o le catastrofi ambientali, quello che per alcuni è un momento tragico, per altri diventa il grande affare...

C.Alessandro MauceribyC.Alessandro Mauceri
Coronavirus fuori controllo? Negli USA viene aggiunta la sfumatura “rosso livido”

Illustration by Antonella Martino

Time: 8 mins read

Conclusa la fase 1 dell’epidemia (ma in alcune zone del pianeta pare che sia tutt’altro che finita, almeno stando ai numeri), c’è già chi pensa alla fase 2: definire misure preventive e, tra queste, i vaccini. In tutto il mondo è in atto una corsa sfrenata al vaccino che possa salvare da una nuova epidemia di corona virus. Un vaccino che sia non solo funzionale ma soprattutto “vendibile”.

La Russia ha voluto fare la prima donna: il presidente Vladimir Putin ha annunciato di aver già registrato il suo vaccino anti-coronavirus. “So che funziona in modo abbastanza efficace, garantisce un’immunità stabile e ha superato tutti i controlli”, ha assicurato Putin, confessando di averlo testato addirittura su una delle sue figlie.  “Si tratta di un momento Sputnik”, ha detto Kirill Dmitriev, a capo del Fondo russo per gli investimenti diretti che sta finanziando la ricerca del vaccino (con un chiaro riferimento al lancio dello Sputnik sovietico, nel 1957, primo satellite messo in orbita al mondo una chiara allusione alla lotta con gli USA anche su questo fronte). “Gli americani sono rimasti sorpresi allora e lo stesso è col vaccino, la Russia ci arriverà per prima”.

Il Presidente della Russia Vladimir Putin (foto Kremlin)

In una recente intervista Anthony Fauci, direttore dell’Istituto nazionale di allergie e malattie infettive negli ultimi tre decenni e esperto di pandemie negli ultimi quattro decenni (nonché consulente di Trump) si è detto dubbioso circa la sicurezza e l’efficacia del vaccino presentato dalla Russia: “Avere un vaccino e dimostrare che un vaccino è sicuro ed efficace, sono due cose diverse”. In precedenza, lo stesso Fauci aveva dichiarato che era improbabile che un vaccino potesse essere realizzato prima del 2021 e che possa fornire il 100% di immunità (secondo lui il miglior risultato realistico, basato su altri vaccini, sarebbe tra il 70% e il 75%). Molti hanno contestato il modo in cui Fauci ha gestito la pandemia di corona virus. Una politica disfattista e poco propositiva basata più su divieti e limitazioni alle libertà che su proposte concrete. Anche in vista della riapertura delle scuole (alcuni hanno addirittura chiesto che Fauci venga rimosso dall’incarico).

Anthony Fauci, direttore dell’Istituto nazionale per le allergie e le malattie infettive, spiega alla Camera la crisi del Coronavirus negli USA il 31 luglio 2020 (YouTube)

Intanto anche negli USA la corsa al vaccino è frenetica: la scorsa settimana, il governo americano ha annunciato di aver concesso un altro miliardo di dollari al progetto del gruppo farmaceutico Johnson & Johnson per un farmaco che possa combattere l’epidemia. E la californiana Gilead con il Remdesivir, un antivirale contro SARS, MERS, Ebola e altre malattie infettive (tra cui Covid-19), sarebbe in corsa.

Lo stesso ha fatto AbbVie che produce la co-formulazione lopinavir / ritonavir, attulamente utilizzata per il trattamento dell’HIV.

In Brasile, il governo avrebbe stanziato 1,99 miliardi di reais (358 milioni di dollari) per la ricerca del vaccino: realizzato  presso l’Università di Oxford, il vaccino sarebbe in fase di sperimentazione in Brasile grazie alla collaborazione con la Fundacion Oswaldo Cruz.

Anche la società farmaceutica indiana Eli Lilly, in collaborazione con la società di biotecnologia AbCellera di Vancouver, starebbe mettendo a punto un trattamento contro Covid-19 a base di anticorpi. Anzi pare che abbiano già scoperto “centinaia” di anticorpi che potrebbero essere efficaci contro la malattia. “In 11 giorni, abbiamo scoperto centinaia di anticorpi contro il virus SARS-CoV-2 responsabili dell’attuale epidemia”, ha dichiarato il CEO di AbCellera Carl Hansen in una nota.

Ultimo in questa corsa sfrenata al vaccino lo Spallanzani di Roma: il vaccino “made in Italy” dovrebbe avviare i test sui volontari tra poche settimane. Test che hanno visto una migliaia di persone offrirsi volontarie e disponibili a testarlo in prima persona.

L’Istituto nazionale per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma

Sarebbero ben tremila i candidati al gruppo di una settantina di persone che verranno usate come cavie da laboratorio. Non è ancora chiaro se tale elevato numero di volontari sia realmente dovuto ad uno spiccato senso civico e di umanità o al fatto che i “volontari” scelti riceveranno un compenso di 700 euro ciascuno. In Italia, a farsi carico delle spese per il vaccino non saranno solo imprese e istituti dotati di senso civico e di spirito umanitario: per questa ricerca  sono già stati stanziati 5 milioni di Euro a carico della Regione Lazio e altri 3 milioni a carico del Ministero dell’Università e della Ricerca scientifica. Senza contare che il vaccino che verrà testato a breve è già stato brevettato dalla società biotecnologica italiana ReiThera….

Cauta l’Organizzazione mondiale della sanità: “Attualmente ci sono centinaia di vaccini in fase di sperimentazione e devono essere conformi alle linee guida e ai regolamenti per procedere in sicurezza”, ha detto  Christian Lindmeier, aggiungendo che a volte “sono stati riportati risultati che poi richiedono tempo per passare tutte le fasi necessarie”.  Dimenticando che, non molto tempo fa, per far fronte all’epidemia di Ebola, la stessa OMS autorizzò l’uso di vaccini non testati sull’uomo (e con pessimi risultati, almeno stando allo stato dell’epidemia di Ebola in Africa). 

Stando ai dati dell’Istituto Milken di Pasadena sarebbero quasi duecento i nuovi prodotti già in fase di sviluppo. Una ventina sarebbero già arrivati alla fase clinica di sperimentazione. E tra questi, 5 sarebbero addirittura all’ultimo step della sperimentazione sull’uomo, la cosiddetta fase III. Si tratta di tre vaccini cinesi – due prodotti da Sinopharm nei suoi laboratori di Wuhan e di Pechino, e uno prodotto da Sinovac – di quello prodotto dallo Jenner Institute (Università di Oxford) in collaborazione con Irbm-Advent e di quello americano prodotto da Moderna, società biotech di Cambridge, cittadella della ricerca nei pressi di Boston.

La realtà (ma questo i media che si sono precipitati a dare le notizie sul lavoro dello Spallanzani e degli altri istituti di ricerca non lo hanno detto) è che sviluppare un vaccino richiede  anni. A volte addirittura decenni. Anche sfruttando i progressi della tecnologia (come la capacità di sequenziare rapidamente i genomi dei virus e di creare vaccini dall’RNA messaggero) la creazione di nuovi trattamenti farmacologici ha bisogno di tempo. Com’è possibile che, in così poco tempo, siano pronti così tanti vaccini?

Esistono diverse tecniche per creare un vaccino: tradizionalmente si utilizzano versioni indebolite dei virus. Nel caso dell’influenza stagionale solitamente si adoperano i principali ceppi rilevati all’inizio della stagione, disabilitandoli completamente. Secondo Peter Hotez, del Baylor College di Houston, “a livello tecnico, non è molto complicato sviluppare un vaccino. La parte difficile è produrlo secondo i criteri di qualità e assicurare che sia sicuro e funzioni anche su una sperimentazione più vasta”. 

Molte delle società che starebbero testando i vaccini contro il corona virus, quindi, in realtà, non avrebbero inventato nulla di nuovo: avrebbero semplicemente modificato “vecchi” farmaci già esistenti e poi cercato di vedere se sono efficaci contro il “nuovo” corona virus. Un modo per fare soldi anche in un periodo di crisi per molti ma non per tutti. “Le aziende farmaceutiche vedono Covid-19 come un’opportunità di business irripetibile”, ha affermato Gerald Posner, autore di Pharma: Greed, Lies, and the Poisoning of America. 

Come spesso accade durante le guerre o le catastrofi ambientali, quello che per alcuni è un momento tragico, per altri può diventare un grande affare. Una pandemia come quella attuale è un’opportunità irripetibile per le grandi case farmaceutiche per fare soldi. Una possibilità irrinunciabile per tutte le case farmaceutiche, ma prima di tutto per quelle più grandi. Non sorprende scoprire che, da anni, il settore dei vaccini è nelle mani di Big Pharma. Di quattro di loro in modo particolare: la britannica GlaxoSmithKline, la francese Sanofi e le americane Merck e Pfizer. Secondo la società di gestione Ab Bernstein, sono loro ad avere in mano l’85% del settore che vale complessivamente 35 miliardi di dollari. Sei volte di più di quanto valeva 20 anni fa (già questo dovrebbe essere un dato significativo).

Dove ci sono soldi non possono mancare le banche. Specie quelle di di investimenti, come Morgan &Stanley. È già in atto la corsa a scommettere su chi vincerà la gara per i vaccini: proprio Morgan &Stanley ha indicato Moderna e Regeneron come i possibili vincitori. Ma ben quotate sono anche Abbvie, Geovax, Gilead, J&J e Vaxvart. In Giappone, invece,  il  governo punta tutto sull’Avigan (favipiravir) prodotto dal laboratorio della Toyama Chemical, che fa parte del gruppo Fujifilm.  

Ma non basta. Quando si parla di vaccini, c’è anche un altro aspetto importante da considerare: il prezzo al quale vengono venduti sul mercato e l’accessibilità per i governi che dovranno farsene carico. Non è un caso se già ad Aprile (ben prima che negli USA scoppiasse la pandemia), alcuni deputati americani, tra i quali Jan Schakowsky, Peter DeFazio, Rosa DeLauro e Lloyd Doggett, avevano cercato di indicare quali dovevano essere, secondo loro, i principi di base per lo sviluppo e prezzi delle terapie e dei vaccini contro il corona  virus. Le aziende farmaceutiche avrebbero dovuto fissare prezzi ragionevoli per i farmaci e vaccini usati per trattare o prevenire il Covid-19 e avrebbero dovuto rendere pubblici i costi di ricerca e produzione di questi prodotti. Durante la pandemia, hanno affermato i deputati americani, le aziende non dovrebbero trarre profitto esclusivamente da questi farmaci potenzialmente salvavita.

Trump and the Covid-19 pandemic in the USA in an illustration by Antonella Martino

Purtroppo non avevano considerato il potere delle aziende alle quali avevano cercato di limitare i lauti guadagni: solo pochi giorni dopo, una  coalizione di gruppi conservatori ha attaccato questa proposta definendola “pericolosa, dirompente e inaccettabile”. E in una lettera pubblicata il 7 maggio scorso, i rappresentanti di 31 gruppi, tra cui l’Hudson Institute, il Council for Citizens Against Government Waste e Consumer Action for a Strong Economy, hanno invitato il Congresso a respingere le linee guida sui prezzi dei farmaci e difendere i brevetti e il diritto esclusivo di trarre profitto dai farmaci come “le grandi risorse d’America”.

Questo pomeriggio, di costi legati alla pandemia al corona virus ha parlato anche la Speaker del Congresso USA Nancy Pelosi. Un gesto che dovrebbe far riflettere. E che dovrebbe far capire tante cose. Non solo agli elettori americani, ormai a poche settimane dal voto, ma tutti i cittadini del mondo. Oggi purtroppo, la “grande risorsa” non è la vita delle persone (gli ultimi dati parlano di oltre 750mila morti a causa del corona virus in tutto il mondo, ma anche su questi numeri no mancano le polemiche), ma la libertà delle aziende di trarne profitto. Di guadagnare sulla vita (e sulla morte) delle persone.

A breve inizierà la fase 3 della pandemia. E allora sarà evidente chi ha guadagnato di più grazie al Covid-19. Ma anche chi, potendo evitare questa diffusione mettendo a disposizione dei vaccini, forse già lo scorso anno se non prima, ha preferito aspettare e avere un mercato ben più ampio su cui operare e un potere maggiore per fare business. E la redditività dei farmaci è spesso doppia o tripla rispetto a quella dei vaccini …

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C.Alessandro Mauceri

C.Alessandro Mauceri

Sono nato a Palermo, città al centro del Mediterraneo, e la cultura mediterranea è da sempre parte di me. Amo viaggiare, esplorare la natura e capire il punto di vista della gente e il loro modus vivendi (anche quando è diverso dal mio). Quello che vedo, mi piace raccontarlo con la macchina fotografica o con la penna. Per questo scrivo, da sempre: lo facevo da ragazzino (i miei primi “articoli” risalgono a quando ero ancora scolaro e dei giornalisti de L’Ora mi chiesero di raccontare qualcosa). Che si tratti di un libro, uno studio di settore o un articolo, raramente mi limito a riportare una notizia: preferisco scavare a fondo e cercare, supportato da numeri e fatti, quello che c’è dietro. Poi, raccontarlo.

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